Il mondo nuovo dell’Italia. Il referendum e la cittadinanza come sigillo di un’epoca che cambia
L’8-9 giugno 2025, milioni di italiane e italiani saranno chiamati alle urne per un referendum destinato – si spera – a lasciare il segno. Tra i quesiti più attesi c’è quello che riguarda l’estensione del diritto di cittadinanza. Un tema cruciale che riguarda non un futuro ipotetico, ma il presente concreto. Riguarda migliaia di ragazze e ragazzi nati o cresciuti in Italia, che parlano italiano, studiano nelle nostre scuole, lavorano nelle nostre città, eppure ancora privi di pieno riconoscimento giuridico. Con questo voto, l’Italia non decide soltanto una modifica normativa: decide se accettare se stessa per quella che già è. Decide se diventare davvero il Paese che già abita. Anche Papa Leone, citando Benedetto XVI nella messa di Pentecoste, ha ricordato che “la Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati”.
Un mondo nuovo è già nato
Molti continuano a parlare di “immigrati”, di “integrazione”, come se si trattasse di un processo ancora in corso, come se ci fosse ancora un confine netto tra un “noi” e un “loro”. Ma quella frontiera è già caduta. Viviamo in un mondo nuovo che ha superato la dicotomia tra Oriente e Occidente: un mondo che potremmo chiamare Occiriente, come lo definisce la professoressa Renata Pepicelli, dove culture, lingue, religioni e identità si intrecciano ogni giorno nei mercati, nelle scuole, negli ospedali, nei luoghi di culto e di lavoro. Un mondo fatto di biografie miste, di storie che non cominciano né finiscono in un solo luogo, di appartenenze che non si escludono, ma si moltiplicano.
È finito il tempo della nostalgia per un’identità nazionale monolitica e idealizzata. È il tempo, semmai, della consapevolezza. E la cittadinanza ne è il sigillo giuridico e simbolico.
Quella paura che viene da Oriente
In questo nuovo mondo euromediterraneo, l’Islam non è un elemento esterno, ma una delle voci del nostro presente. L’Europa è già casa per milioni di musulmani che non sono più “ospiti”, ma parte integrante della società. Vivono un Islam europeo, urbano, plurale: un’identità religiosa intrecciata con una cultura europea che li ha cresciuti. In Italia, nelle grandi città e nei centri minori, l’Islam si declina nei volti degli studenti, degli infermieri, degli artisti, degli sportivi. Eppure, questa normalità è ancora invisibile nelle narrazioni ufficiali, nei media, nei discorsi politici.
Il referendum è anche un banco di prova su questo: se l’Italia sarà capace di riconoscere – nel senso pieno della parola – queste vite, queste storie, come parte legittima della comunità nazionale.
La scuola come specchio del cambiamento
Chi frequenta una scuola italiana lo sa: l’Italia è già cambiata. Nell’anno scolastico 2022/2023, più dell’11% degli studenti non aveva la cittadinanza italiana, ma il 65,4% di loro era nato in Italia. Questi bambini e ragazzi non sono più “nuovi italiani”: sono italiani, senza aggettivi. Parlano l’italiano, spesso anche il dialetto. Condividono ricreazioni, interrogazioni, compiti in classe, sogni e fatiche. Eppure, vivono in un Paese che continua a considerarli “altri”.
Come alla scuola “Iqbal Masih” di Pioltello (Milano), dove il 43% degli alunni è di origine non italiana. In questo comune, che spesso si ritrova alla ribalta delle notizie nazionali, si è scelto di sospendere le lezioni per la festa di Aid al-Fitr, non per multiculturalismo ideologico, ma per puro buonsenso: metà della classe sarebbe stata assente. Riconoscere significa vivere la realtà, non negarla. E la realtà dell’Italia oggi è plurale.
Una “quarta umanità” in diaspora
Quanto sta avvenendo in Italia tra le due sponde del Mediterraneo è parte di un fenomeno globale inarrestabile. Il movimento migratorio degli ultimi decenni ha creato una vera e propria “quarta umanità”: se i migranti fossero una nazione, sarebbero la quarta più popolosa del mondo. Ma più che numeri, sono agenti di trasformazione. La diaspora cambia chi parte e chi accoglie. Cambia la cultura, cambia le istituzioni, cambia la lingua. E, soprattutto, cambia il modo in cui pensiamo noi stessi.
Non c’è un “loro” da assimilare o accogliere: c’è un “noi” nuovo da comprendere e costruire insieme. La cittadinanza non è un premio, ma una presa d’atto.
Il linguaggio del futuro: parole nuove per un Paese nuovo
Per capire il cambiamento, dobbiamo anche cambiare le parole. Espressioni come “straniero”, “integrazione”, “immigrato di seconda generazione”, “come parli bene l’italiano” non descrivono più la realtà: la deformano. Dobbiamo imparare a usare un linguaggio capace di raccontare ciò che siamo diventati. Un linguaggio decoloniale, capace di superare le vecchie gerarchie, i vecchi centri e le vecchie periferie. Perché oggi i margini parlano al centro. O meglio: il centro non esiste più.
Anche in Italia è dai margini che nascono le storie più potenti. Ed è lì, nei margini – che poi sono le nostre periferie urbane, i cortili scolastici, le cucine miste, i romanzi e le canzoni dei “nuovi italiani” – che si intravede il futuro.
Un voto per riconoscere ciò che siamo già
Il referendum dell’8-9 giugno è un’occasione storica per l’Italia. Se vince il sì, verranno ridotti da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni. Questa semplice modifica rappresenterebbe una conquista decisiva per la vita di molti cittadini di origine straniera (secondo le stime si tratterebbe di circa 2.500.000 persone) che, in questo Paese, non solo nascono e crescono, ma da anni vi abitano, lavorano e contribuiscono alla sua crescita.
Partecipare agevolmente a percorsi di studio all’estero, rappresentare l’Italia nelle competizioni sportive senza restrizioni, poter votare, poter partecipare a concorsi pubblici come tutti gli altri cittadini italiani. Diritti oggi negati. Il Referendum vuole allineare l’Italia ai maggiori paesi europei che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantisca ricchezza e crescita per l’intero Paese. Siamo figlie e figli d’Italia.
Non per “cambiare” la propria identità, ma per riconoscerla. Non per fare un passo nel buio, ma per mettere per iscritto una realtà che esiste già. Votare per l’estensione della cittadinanza significa uscire dalla nostalgia del passato ed entrare nella verità del presente. Significa dare volto, voce e diritto a chi già costruisce ogni giorno questo Paese.