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Con cuore di padre. La figura di san Giuseppe

by | 30 Apr 2023 | Teologia

Con cuore di padre è il titolo della Lettera apostolica che papa Francesco ha scritto in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale – l’8 dicembre 2020.

San Giuseppe occupa un vasto spazio nei pronunciamenti magisteriali: il beato Pio IX lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica; il venerabile Pio XII lo presentò come Patrono dei lavoratori; san Giovanni Paolo II gli dedicò il documento Custode del Redentore; Benedetto XVI volle che si menzionasse obbligatoriamente nelle preghiere eucaristiche II, III e IV del Messale Romano.

Accostiamo la Patris corde a partire dalle sue parole-chiave: sogni, coraggio creativo, giustizia, obbedienza, congiunzione, fede, poveri, paternità.

L’uomo dei sogni. Scrive il Papa: «Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. Giuseppe è fortemente angustiato davanti all’incomprensibile gravidanza di Maria» (Patris corde 3); Giuseppe viene visitato da Dio per mezzo di quattro sogni: cfr. Mt 1,20-21; Mt 2,13; Mt 2,19-20; Mt 2,22-23. Nel primo sogno egli è aiutato dall’angelo a risolvere il grave dilemma sulla condizione della propria promessa sposa; nel secondo intervento divino, Giuseppe è invitato a fuggire in Egitto per salvare il bambino; il terzo sogno gli suggerisce il ritorno in terra d’Israele, poiché erano morti coloro che attentavano alla vita del neonato; grazie alla quarta manifestazione divina, Giuseppe si ritira in Galilea, per timore di Archelao, il quale regnava nella Giudea al posto di suo padre Erode.

Coraggio creativo. Nella Lettera di Francesco leggiamo: «Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest’uomo, che giungendo a Betlemme e non trovando un alloggio dove Maria possa partorire, sistema una stalla e la riassetta, affinché diventi quanto più possibile un luogo accogliente per il Figlio di Dio che viene nel mondo» (Patris corde 5); il coraggio creativo emerge – soprattutto – quando si incontrano difficoltà: davanti a queste, ci si scoraggia e si abbandona il campo di battaglia, oppure ci si ingegna al fine di rimanere resilienti. Dalle narrazioni evangeliche emerge come Giuseppe non sia mai stato un uomo rassegnato passivamente agli eventi: egli esprime un grande coraggio e un forte protagonismo.

L’essere giusto davanti a Dio, sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella Legge, cfr. Mt 1,19. Il Papa – nel presente Documento – presenta san Giuseppe come «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine. La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, si pose al servizio dell’intero disegno salvifico»; egli manifesta una stupenda oblazione di sé: del proprio cuore e di ogni sua capacità umana e spirituale.

Obbedienza. La pratica di questa virtù emerge fortemente nella vita di san Giuseppe; «in ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani» (Patris corde 3). Nell’esistenza ordinaria e nascosta di Nazaret, il Figlio di Dio imparò dal padre putativo la piena obbedienza alla volontà del Padre, divenendo il suo quotidiano alimento (cfr. Gv 4,34). Il Papa scrive di san Giuseppe: «Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo» (Patris corde 4). La sua obbedienza esprime anche fiducia e pazienza nell’adesione al disegno divino e salvifico.

Congiunzione. «Come discendente di Davide (cfr Mt 1,16.20), dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal profeta Natan (cfr 2 Sam 7), e come sposo di Maria di Nazaret, San Giuseppe è la cerniera che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento» (Patris corde 1); la sua missione – portata a termine con fede, libertà, tenacia – rivela un compimento: dice come la storia tenda a Dio e al pieno ricongiungimento nel suo amore salvifico e provvidenziale.

Fede. Quella che scorgiamo in san Giuseppe risulta ricca di fortezza e piena di speranza; «la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste. Lungi da noi allora il pensare che credere significhi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità» (Patris corde 4).

Gli ultimi, i poveri. Leggiamo nel Documento: «L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27)». Oggi particolarmente, i poveri sono tutte le persone umane costrette a lasciare la propria terra a causa delle guerre, dell’odio, della persecuzione e della miseria; il Papa invoca la speciale custodia di san Giuseppe su ciascuna di esse: «ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi, perché Gesù ha posto in essi una preferenza, una sua personale identificazione. Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre» (Patris corde 5).

La paternità. La testimonianza di san Giuseppe mostra il primato della custodia della famiglia e del lavoro: egli è riuscito a sconfiggere difficoltà e tensioni, fratture e dissolvimento. «Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri» (Patris corde7). Giuseppe ci consegna un amore che libera, il dono di sé, gesti concreti di fiducia; egli è per tutti un segno che rinvia a una paternità più alta.

Dalla figura di san Giuseppe e da questa Lettera di papa Francesco vogliamo attingere quella tenerezza che, sola, ci fa esperire la misericordia divina e la compassione che siamo chiamati a usare verso noi stessi; per gustare in pienezza l’abbraccio che ci giunge da Dio Padre misericordioso, e divenire balsamo di guarigione anche per gli altri.

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