Periodico di informazione religiosa

Sabato della VII settimana di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 18 Mag 2024 | Monasteria

Sabato della VII settimana di Pasqua

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.ora mi resta solo la corona di giustizia che il signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” (2Tm 4, 6-8)”: Paolo arriva a Roma con questi sentimenti. A Roma gli è Paolo di vivere fuori dalla prigione agli arresti domiciliari, con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, non potendo andare in sinagoga, convoca i notabili dei giudei: ovunque sia andato Paolo si è sempre rivolto ai primi destinatario della promessa, che amava tanto da dire: “Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Prima del suo arrivo aveva scritto una lettera ai Romani, e trattando alcuni temi aveva detto che le promesse di Dio e Israele non erano venute meno, ma avevano trovato il loro compimento in Gesù per usare misericordia a tutti. Paolo spiega di essersi appellato a Cesare non per accusare il suo popolo, ma perché alcuni giudei insistevano nel volerlo uccidere dopo l’equivoco di Gerusalemme. A Roma non sanno nulla di questo, ma vogliono sapere di più su Gesù. Così numerosi giudei romani si recano da Paolo che, davanti a tutti, rende testimonianza sul regno di Dio, su Gesù, sul compimento della legge e dei profeti, instancabilmente parlando da mattina a sera. Alcuni furono persuasi, mentre altri non credevano. Luca sottolinea la libertà della fede, mentre forse noi abbiamo in mente una società completamente cristiana a cui tutti automaticamente aderiscono. Invece il testo degli Atti ci ricorda che le cose non stanno così: Cristo è segno di contraddizione e non si impone; senza la libertà di accogliere o di non accogliere non ci può essere una vera fede e quindi la vera religione L’amore senza libertà non è vero amore. Allora non è tanto un momento di sconforto, piuttosto un prendere atto di quello che la predicazione cristiana sempre comporta: alcuni credono e altre no.

Nei due versetti di chiusura degli Atti troviamo Paolo per due anni impegnato nella predicazione. In questo finale, invero piuttosto sobrio, Paolo apre la storia di Gesù agli estremi confini della terra, accogliendo tutti, ebrei e pagani. Quella casa presa in affitto è l’icona più bella e semplice della chiesa nascente. Paolo vi abita come prigioniero, come servo della parola. Nessuna brama di avere, di potere, di apparire in lui: prigioniero per amore, Paolo è pienamente libero di dare testimonianza a Gesù; pur se incatenati, la parola di Dio non potrà mai essere incatenata. Non sappiamo di preciso come vada a finire la vicenda di Paolo, ma da questo momento ciò che conta non è più la sua vita, ma una chiesa – non una fortezza, come ripete Papa Francesco – vitale e aperta a tutti, che non rimanga chiusa dentro gli schemi rigidi, tiepidi e stanchi delle tradizioni.

Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe XVIII, 60

Mediante il dono dello Spirito la santa chiesa comprende ciò che prima la sinagoga, per mezzo della lettera, non era affatto in grado di comprendere. Perciò Mosè, quando parlava al popolo, si copriva la faccia, a significare che il popolo giudaico conosceva sì i precetti della legge, ma non era assolutamente in grado di vedere la chiarezza della legge. Per cui anche Paolo dice: “Fino ad oggi, quando si legge un velo è steso sul loro cuore” (2Cor 3, 15).

Non è assolutamente possibile penetrare il senso della parola di Dio senza la sua sapienza; chi non riceve il suo Spirito non può in alcun modo conoscere la sua parola. Ecco perché, a proposito di questa investigazione della sapienza di Dio, soggiunge: “Ma la sapienza donde si trae? E il luogo dell’intelligenza dov’è?” (Gb 28, 12).

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