Periodico di informazione religiosa

Fra Luca Fallica, prossimo Abate di Montecassino, ordinato presbitero in sant’Ambrogio a Milano

by | 10 Mar 2023 | Monasteria

Mercoledì 8 marzo, alle 17.30 l’Arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini ha presieduto nella Basilica di Sant’Ambrogio l’ordinazione presbiterale di Fra Luca Fallica, già priore della comunità del Monastero della Santissima Trinità di Dumenza, in provincia di Varese.

Originario di Ripatransone (AP), formatosi nelle file dell’Azione Cattolica, nel 1989 bussò alle porte della Chiesa di Milano e fu accolto dall’allora Arcivescovo, il cardinale Carlo Maria Martini, per dare inizio a una nuova comunità monastica, insieme con altri fratelli. Da allora diversi gli spostamenti: Desio, Canzo, Vertemate nella diocesi di Como, infine il ritorno nella diocesi di Milano a Dumenza, in provincia di Varese, immersa nella tranquillità di un bosco a 1000 m sul Lago Maggiore, al confine con la Svizzera. Fra Luca, che ha emesso la professione solenne nel 1996, è succeduto a Fra Adalberto Piovano, storica guida della comunità dalla sua nascita fino al 2010. Poi è stata la volta di Fra Luca che ha svolto il servizio di priore per dodici anni, fino al 2 dicembre del 2022.

Il 9 gennaio 2023 Papa Francesco lo ha nominato Abate territoriale dell’Abbazia di Montecassino, immediatamente soggetta alla Santa Sede ed inserita nella Regione Ecclesiastica del Lazio. Per questo motivo non si può ricorrere alla recente disposizione del Sommo Pontefice, secondo la quale è possibile nominare religiosi, che non siano sacerdoti, superiori maggiori di comunità. Fra Luca, 64 anni, infatti non era sacerdote. E da qui la necessità di provvedere all’ordinazione presbiterale. Poi, da ultimo, la benedizione abbaziale, che non si terrà però il 21 marzo, giorno della solennità del transito di San Benedetto, ma dopo Pasqua. Un passaggio molto particolare, da una delle comunità più giovani d’Italia a quella fondata da San Benedetto stesso, dopo Subiaco.

Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata dell’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini:

Che dire dunque dell’imprevisto e dell’imprevedibile? L’imprevisto, l’imprevedibile irrompe in ogni vita, in ogni storia; l’immaginario che pensa di programmare la vita, di prevedere le scadenze, di organizzare un progetto, forse può avere riscontro quando si tratta di programmare una macchina, di organizzare un evento, di condurre avanti una organizzazione. Ma quando la programmazione si applica a una vita d’uomo, si rivela una presunzione. L’imprevisto irrompe con le forme più diverse. Può essere una malattia, o addirittura una pandemia; può essere un incontro, o addirittura un innamoramento. Può essere l’atteggiamento ostile del nemico, di cui parla la pagina di Matteo, l’avversario che ti porta in tribunale, l’importuno, che ti costringe a fare un miglio. Può essere un incarico che viene dall’alto. Può essere la frustrazione di una legittima aspettativa, come è stata per Abramo, quella di essersi sposato con Sara e constatare di non avere figli. Può essere, come è stato ed è per Fra Luca, una chiamata dal Papa. Che dire dell’imprevisto? Nella vita di Abramo la frustrazione del sogno della paternità è un imprevisto mortificante; ma Abramo e Sara sono gente devota, perciò chiamano la smentita delle loro attese volontà di Dio e si rassegnano. Si vede che la promessa iscritta nel matrimonio si deve realizzare in altro modo: almeno Ismaele, prega Abramo. Chiamare volontà di Dio la frustrazione è un linguaggio consueto della gente devota, ma Dio non è d’accordo. La volontà di Dio non è mai di umiliare, di mortificare, di smentire la speranza. Se i devoti sono quelli che chiamano l’imprevisto volontà di Dio, Dio li disapprova. L’uomo stolto non ci fa caso, come questa figura del pigro: il pigro vive alla giornata, non si aspetta nulla e dunque non rimane deluso. Non fa nessun progetto; per lui dunque non esiste l’imprevisto, perché non prevede niente. Quello che capita, capita. E finché c’è da mangiare, si mangia. Perché stai a preoccuparti? Sta’ tranquillo, goditi la vita, così come viene. Lo stolto non sente neppure la smentita delle sue speranze, perché non ha speranze. Ma l’uomo di Dio chiama l’imprevisto come la situazione in cui si mette alla prova la sua fede: la libertà è provocata dalla costrizione, la vita è sconvolta e le aspettative, il bene programmato, la situazione desiderabile si rivelano impossibili. E l’animo è turbato. Nell’imprevisto l’uomo di Dio non riconosce la volontà di Dio di mortificarlo, ma non può neppure accettare che Dio non c’entri. Non può ammettere che gli venga chiesto semplicemente di adeguarsi. La parola di Gesù, del vangelo che abbiamo ascoltato, indica la via. Proprio lì, quando sei costretto, proprio sulla via nella quale ti trascina una incomprensibile ostilità oppure una inimmaginabile fiducia e stima, proprio lì sei chiamato a diventare perfetto, come perfetto è il Padre che è nei cieli. Dunque per questa vita di perfezione, che chiama Fra Luca e chissà quanti di noi, siamo radunati per pregare, per celebrare questa ordinazione presbiterale molto particolare, nelle procedure e nella destinazione. La parola di Gesù ci provoca a definire questa via, che sembra impraticabile, che si paragona con la perfezione di Dio: perfetti, come è perfetto è il Padre. Quale perfezione, dunque? Il Padre chiama alla perfezione della misericordia. La perfezione che i figli possono imitare non è quella di essere ineccepibili, non è quella di essere capaci di non lasciarci turbare da nulla; piuttosto la perfezione è la pratica dell’amore, che non trova mai una ragione sufficiente per il risentimento, per farla pagare all’avversario, per ricambiare il male con il male. L’imprevisto ha il volto della situazione che ti mette alla prova, dell’avversario che non ti lascia tregua. E la perfezione di Dio che gli uomini di Dio possono imitare è quella di continuare ad amare, a fare del bene. Mi ami ancora, dopo che ti ho dato uno schiaffo? Sì, ti amo ancora. Mi ami ancora, dopo che ti ho umiliato? Sì, ti amo ancora. Mi ami ancora, anche se ti ho portato via il mantello? Sì, ti amo ancora. Mi ami ancora, anche se ti ho trattato come un tappabuchi? Sì, ti amo ancora. Mi ami ancora, anche se ti ho sottovalutato, ti ho deluso, ti ho complicato la vita? Sì, ancora, ancora, ancora ti amo. La perfezione del Padre, che l’uomo di Dio è chiamato a imitare, è dono di grazia, dono dello Spirito Santo; non è il carattere arrendevole, non è l’arte di trovare una opportunità, anche nell’imprevisto; non è una specie di astuzia per trarre il bene anche dal male. È invece molto di più di un’astuzia o di una predisposizione: è una docilità all’opera di trasfigurazione, che lo Spirito Santo compie negli uomini di Dio. È una docilità a questa opera che lo Spirito continua in noi. Docili, sempre, come quegli esploratori che si avventurano nell’ignoto e interpretano con intelligenza i segni che orientano cammini inediti. È in questa docilità lo stupore per la scoperta di sé stessi. Non pensavo di essere capace anche di questo. Non avevo sperimentato questo mio limite. Non ho ancora messo a frutto quel mio talento. Lo Spirito conduce allo stupore nel conoscersi in un modo più profondo, nel riconoscere aspetti di sé che erano stati finora ignorati. È in questa docilità lo Spirito causa lo stupore nella rivelazione di Dio: non avevo ancora conosciuto di quale gioia viva il mistero che salva. Non avevo ancora conosciuto la fecondità dell’ultima ferita del fianco trafitto dal colpo di lancia. La perfezione del Padre, che l’uomo di Dio è chiamato a imitare, è il servire. Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve, dice Gesù, richiamando i suoi discepoli da ogni presunzione, da ogni orgoglioso motivo di vanto. Perfetti come il Padre vuol dire imitare perfettamente Gesù. Non c’è altra via per essere perfetti come il Padre, se non quella segnata da Gesù. Perfetti, perché perseveranti nell’imitazione di Gesù. A Fra Luca ora è chiesto questo particolare servizio alla comunità monastica di Montecassino. A ciascuno di noi ogni giorno è chiesto di stare in mezzo ai fratelli, come colui che serve. Sei prete: servi! Sei vescovo: servi! Sei marito, sei moglie, sei single, sei giovane, sei anziano, hai grandi responsabilità, oppure non hai nessun titolo e nessuna responsabilità: servi! Ecco, perfetti come è perfetto il Padre che sta nei cieli. Perfetti, perché praticano la misericordia. Perfetti, perché si lasciano trasfigurare dallo Spirito. Perfetti, perché imitano Gesù, che sta in mezzo ai suoi come colui che serve. Così siamo chiamati a diventare perfetti, noi uomini e donne di Dio”.

Al termine della messa, i saluti e i ringraziamenti del neo ordinato Fra Luca. Visibilmente commosso, la voce rotta dal pianto più di una volta, ha voluto fare memoria, in “tre respiri”, di tutti coloro, uomini e donne, che gli sono stati vicini in questi anni: i vescovi, le comunità monastiche e i familiari. Riportiamo integralmente le sue parole:

In questi giorni è affiorata più volte alla mia memoria, ed è tornata soprattutto nella preghiera, una parabola che Gesù racconta nel Vangelo di Matteo: quella dei chiamati dell’ultima ora. Mi sento un po’ così. Pur dentro la continuità della mia vocazione a vivere il battesimo nella vita monastica, avverto questa sorta di seconda chiamata nella chiamata raggiungermi, quando la mia vita si avvia a entrare – se non proprio nell’ultima – nella penultima ora. Già da qualche anno godo dei privilegi concessi a chi ha più di sessant’anni. Noi, di solito, quando ascoltiamo questa parabola, ci identifichiamo con gli operai della prima ora, che recriminano di essere stati trattati come gli altri. Ed è giusto che sia così, perché Gesù stesso ci induce a farlo per convertirci il cuore. Ma io oggi più facilmente mi identifico con quelli dell’ultima ora, che hanno ricevuto molto di più che hanno meritato. Ed è quello che mi accade: ricevo molto di più o comunque di molto diverso rispetto di quello che posso aver meritato o guadagnato o anche solo atteso. E non posso che riconoscere la bontà di Dio e ringraziarlo, perché Dio è buono e lo è davvero, anche quando ci sorprende, manifestandosi nella nostra vita in modo diverso da come avevamo progettato o solo immaginato. E dunque ringrazio la bontà di Dio e tutti coloro attraverso i quali mi ha raggiunto e mi ha toccato e qui dovrei davvero dire un grazie personale a ciascuno di voi, ognuno e ognuna con il proprio nome, ma non è possibile farlo, non solo perché mancherebbe il tempo, ma non ne avrei il fiato. E inoltre c’è anche un po’ di commozione che inizia a interrompere la voce. Permettetemi allora di raccogliere ogni grazie personale attorno a tre grandi grazie: il primo è all’Arcivescovo di Milano, che mi ha ordinato e con lui a tutta la chiesa ambrosiana qui presente con tanti vescovi ausiliari e collaboratori dell’Arcivescovo. E ringrazio in particolare il vicario generale Mons. Franco Agnesi, che mi ha ordinato diacono; i tanti preti che hanno concelebrato; un grazie anche all’Arcivescovo emerito, il card. Angelo Scola, che mi ha fatto giungere un suo messaggio personale. Sono molto grato a questa chiesa che ha accolto la nostra comunità, allora attraverso il card. Martini, che per noi è stato un vero padre. Ed è in questa chiesa che si è approfondito il mio cammino spirituale ed ecclesiale. E sono grato al Signore per il respiro più ampio che questa nostra assemblea assume, con la presenza di alcuni preti di Ancona, la chiesa da cui vengo, in cui è maturato il mio discernimento alla vita monastica. E poi anche la presenza dei preti della chiesa di Como, con cui abbiamo stretto un forte legame negli anni della nostra presenza a Vertemate. E ancora alla chiesa di Roma, presente con il vescovo ausiliare Mons. Salera e con alcuni suoi preti. Montecassino appartiene alla Regione Ecclesiastica del Lazio e quindi la loro presenza è per me tanto più significativa, oltre all’amicizia che a loro mi lega. C’è però un respiro ancora più ampio per la presenza della comunità ortodossa del Cristo Pantocratore di Arona e anche di don Giuliano, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della CEI. Anche grazie perché la vostra presenza ci conferma in quel respiro ecumenico, tipico della vita monastica. Il secondo grazie è per le comunità monastiche qui presenti e per tutte quelle che sono in comunione con noi nella preghiera; anzitutto per la mia comunità di origine di Dumenza, per fra Andrea, che come priore mi ha accompagnato e sostenuto in questi mesi per me molto esigenti; e poi per tutti i fratelli con cui ho avuto la gioia di camminare insieme e anche l’onore e il privilegio di servirli per dodici anni come priore, per le nostre sorelle Lucrezia e Graziella, per i membri della piccola Lavra; grazie ai fratelli di Montecassino, che non sono voluti mancare e che mi accolgono con fiducia e stima e che accolgo anch’io con gioia, come la mia nuova comunità; per le monache di Santa Maria della Rupe di Montecassino, per le altre comunità monastiche presenti qui con i loro abati: l’abate Donato di San Paolo fuori le mura, mio predecessore a Montecassino; Giordano di San Giacomo di Pontida, Giulio di Santa Giustina di Padova, Mauro di Santa Maria del Monte di Cesena. E ancora la comunità di Germagno, con il priore Claudio e altri fratelli, quella di Chiaravalle di Milano, con il priore Davide e gli altri fratelli; la comunità di Bose, con il vice priore Marcello; le monache Maria Antonietta e Cristina di Viboldone; la comunità di Via Sambuco di Milano. E poi con loro vorrei ringraziare le altre comunità maschili di vita consacrata qui presenti e tante suore, che stanno pregando con noi; gli istituti secolari maschili e femminili. Con tutti loro, soprattutto con gli istituti di vita consacrata femminile in questi anni ho avuto tante occasioni per collaborare insieme. Ed è moltissimo quello che da loro ho ricevuto. Non posso fare i nomi di tutti, raccolgo anche qui il grazie in un solo nome, quello del domenicano Padre Raffaele, che mi segue dagli anni vissuti nell’Azione Cattolica di Ancona. Il terzo grazie è per la mia famiglia, soprattutto per le mie sorelle qui presenti, con le loro famiglie, per gli altri parenti e amici di lunga data, quelli di Ancona e quelli lombardi, sempre fedeli nei momenti infermo della mia vita. Per mia mamma che veglia dal cielo, per mio papà, che anziano infermo, non può essere qui presente, ma prega con noi e per noi e al quale non posso che guardare, per imparare a vivere bene quella paternità che adesso mi viene affidata da Papa Francesco come abate di Montecassino. E al Santo Padre va la mia riconoscenza per la fiducia del tutto sorprendente che mi accorda. Dimentico sicuramente qualcuno e me ne scuso, ma come sentite, il fiato inizia a mancare. Ma soprattutto vi chiederei di unirvi al mio ringraziamento, perché Dio è buono oltre ogni misura e davanti a Lui siamo davvero tutti operai che, chiamati a qualsiasi ora, devono riconoscere di ricevere comunque molto di più di quello che hanno meritato. E quindi non possono non rallegrarsi e far festa”.

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