Periodico di informazione religiosa

San Marco. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 25 Apr 2024 | Monasteria

Marco era figlio di Maria di Gerusalemme, nella cui casa si rifugia Pietro liberato dal carcere. Collaborò con Paolo nella sua opera apostolica e gli fu vicino anche nella prigionia di Roma. Secondo la tradizione, Marco fu poi discepolo fedele di Pietro e scrisse il secondo vangelo, raccogliendo la predicazione di Pietro apostolo sui detti e sui fatti di Gesù. Il suo Vangelo è riconosciuto comunemente come il più antico, poi utilizzato e completato da Matteo e da Luca. La festa dell’evangelista Marco ci sollecita ad approfondire il significato del termine vangelo, con il quale egli inizia la sua opera. Il vangelo è di Dio, perché contiene ed esprime tutto il progetto salvifico che il Padre vuole realizzare per mezzo del Figlio a favore dell’umanità; dal cuore di Dio che sgorga questo vangelo, questa buona notizia che è capace di colmare di gioia ogni cuore umano, disponibile ad accettare il dono della salvezza. Sant’Ignazio di Antiochia diceva che il vangelo ha qualche cosa di più speciale: la venuta del Salvatore nostro Gesù Cristo, la sua passione, la sua resurrezione, annunciato dai profeti, ma il vangelo è il compimento dell’incorruttibilità. Cos’è questo qualcosa di speciale? La caratteristica di Marco è di delineare l’immagine di Gesù più vicina alla sua realtà umana, mentre gli altri evangelisti ne trasfigurano quasi la vita compenetrando nella luce pasquale la sua umanità. Marco, riproducendo l’esperienza del Cristo durante la sua attività pubblica, ci mostra che questa non aveva come fine l’annientamento, ma il viverla pienamente nella libertà e nell’amore. Amando liberamente fino all’estremo, Gesù ha donato a tutti la vita: a malati, a peccatori, ad emarginati, a disprezzati. Ripentendo la profezia di Isaia dichiara di essere stato “mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”. Gesù ha scelto e voluto dare vita, dando così senso anche alla croce, quando vi è stato appeso. Anche oggi è molto attuale questa lezione di libertà, di totale dedizione, di generosità e di fedeltà di Gesù. Come disse Papa Francesco nell’udienza del 12 settembre 2018: “L’amore vero è la vera libertà: distacca dal possesso, ricostruisce le relazioni, sa accogliere e valorizzare il prossimo, trasforma in dono gioioso ogni fatica e rende capaci di comunione. L’amore rende liberi anche in carcere, anche se deboli e limitati. Questa è la libertà che riceviamo dal nostro Redentore, il Signore nostro Gesù Cristo”. L’amore vero vive di libertà.

Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli II, 27, 1

Tutto va riferito alla carità, il precetto del Signore. Essendo le Sacre Scritture piene di precetti del Signore, perché Egli dice della carità, come di un comandamento speciale: “Questo è il mio comando: che vi amiate gli uni gli altri”, se non perché ogni precetto riguarda comunque la carità e tutti si sintetizzano in questo solo? Tutto ciò che viene comandato si fonda infatti nella carità. Come i molti rami di un albero traggono vita dall’unica radice, così molte virtù sgorgano dalla carità, e il ramo dell’opera buona manca di freschezza se non resta radicato nella carità. I precetti del Signore sono dunque molti ma riconducibili a un’unità: molti per la diversità delle azioni compiute, ma riferibili all’unica radice che è la carità. Come deve essere attuata questa virtù, lo fa capire Colui che suggerisce, in molti passi della Scrittura, di amare gli amici in Lui e i nemici per Lui. Ha infatti veramente la carità chi ama l’amico in Dio e il nemico per amor di Dio. Vi sono alcuni che amano i congiunti, ma per i vincoli della parentela e del sangue, e a questo tipo di sentimento non si oppone la Parola divina.
Altro è però il tributo che si dà spontaneamente alla natura e altro è ciò che si compie, per virtù di carità, in obbedienza ai precetti del Signore. Anche nel primo caso si ama il prossimo, ma senza conseguire i premi sublimi riservati alla carità, perché si tratta di un amore elargito per impulso umano, non su valori di natura spirituale. Perciò, quando il Signore dice: “Questo è il mio comando: che vi amiate gli uni gli altri”, subito aggiunge: “come io ho amato voi”, e cioè: Praticate la carità come io l’ho attuata verso di voi.

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