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V domenica di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 28 Apr 2024 | Monasteria

V domenica di Pasqua

Nel suo insegnamento Gesù prende spunto da immagini familiari e sotto gli occhi di tutti i suoi ascoltatori. In particolare è la vita dei campi che gli fornisce immagini e spunti e oggi il Vangelo presenta l’immagine del tralcio e della vite. L’affermazione più importante in queste parole è che noi siamo uniti a Gesù con un vincolo così profondo e vitale, come quello che unisce il tralcio alla vite. Il tralcio è una emanazione, è una parte della vite e tra le due scorre la stessa linfa. Non si potrebbe pensare ad una unione più intima. Sul piano spirituale questa linfa è la vita divina che abbiamo ricevuto con il battesimo. Giovanni insiste molto sul verbo “rimanere”, un’insistenza da cui risulta un’intimità e una reciprocità del tutto straordinaria fra maestro e discepoli. Si tratta di essere l’uno nelle braccia dell’altro, l’uno nell’altro, Gesù in noi e noi in lui. Sentire in sé la presenza di Dio e allo stesso tempo sentirsi all’interno dell’abbraccio di Dio. Questa è il senso, semplice, senza aggiunte, che esprime il verbo rimanere. Con questa immagine della vite e dei tralci Gesù vuole spiegare quale sia la straordinaria realtà di comunione di vita con lui, che viene offerta ai credenti, quale impegno essa comporti e quali siano le attese di Dio. Il frequente ricorrere, in pochi versetti, del verbo rimanere fa subito comprendere che essa è la parola chiave del brano. Rimanere attaccati alla vite significa, in senso negativo, non abbandonare gli impegni assunti con il battesimo, dare frutti di santità, di giustizia e di pace. Rimanere in Cristo significa anche qualcosa in positivo: rimanere nel suo amore è un invito a lasciarsi amare, come il Figlio si è lasciato amare dal Padre, come il Figlio ha imparato ad amare dal Padre nella comunione dello Spirito Santo. È permettergli di amarci, di far scorrere in noi la sua linfa che è il suo Spirito, evitando di porre tra lui e noi le barriere dell’autosufficienza, dell’egoismo e del peccato. 

Questo è quello che San Paolo chiama la vita in Cristo: non è una imitazione dall’esterno, è Cristo stesso che vive dentro di noi e noi in lui, come la vite nutre i tralci. E questa vita divina è stata impiantata con il battesimo nel nostro cuore e con gli altri sacramenti, soprattutto con l’eucarestia si sviluppa e cresce. L’amore non è l’esperienza di un momento, ma è esperienza di perseveranza e di comunione.

Per quanto riguarda il destino del tralcio, Gesù prospetta due casi: il primo è negativo, cioè il tralcio secco non porta frutto e perciò viene tagliato e buttato via; il secondo è positivo: il tralcio è ancora vivo e viene perciò potato. La potatura non è un atto ostile verso il trancio, il vignaiolo si attende ancora molto e sa che può portare frutti ed essere fecondo. Così avviene sul piano spirituale: quando Dio interviene nella nostra vita con la croce, non vuol dire che si è arrabbiato con noi e ci sta mandando la sua punzione. Proprio il contrario, Dio corregge chi ama. Se resta a lungo senza essere potata, la vite si inselvatichisce e produce molte foglie e poco frutto. Così nella vita bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, lasciare alcuni interessi secondari e concentrarsi su alcuni primari. Potare. La Madre Teresa di Calcutta nel suo ultimo viaggio a Roma diceva alle novizie che questo capitolo è il modo più bello per capire che cosa siamo noi per Gesù e che cosa è Gesù per noi. “Il Padre, essendo il vignaiolo, deve potare il trancio perché dia più frutto e il frutto che dobbiamo produrre nel mondo è bellissimo: l’amore del Padre e la gioia. Il vignaiolo pota i tralci per produrre più frutto e il tralcio, silenzioso e pieno di amore, incondizionatamente si lascia potare“. Noi sappiamo che cos’è la potatura: quanto più siamo vicino a Gesù e siamo innestati in lui, tanto più la croce ci tocca e la potatura è più intima e delicata. 

La santità somiglia proprio alla potatura o anche alla scultura, che è l’arte di levare l’eccesso, levare i pezzi di marmo che sono di troppo per far emergere la figura che è dentro. Anche la perfezione cristiana si ottiene così, potando, levando, facendo cadere tutti i pezzi inutili, quei desideri, quei progetti e quelle tendenze che ci disperdono da tutte le parti e non ci fanno concludere niente. Anche Dio ci vede così, come dei tralci da potare e dei blocchi di pietra ancora informi: lì dentro è nascosta una creatura nuova e bella che aspetta di venire alla luce, si nasconde l’immagine del Figlio, che dobbiamo tirare fuori. E allora, benché con mano tremante, prende le forbici e comincia a potare, prende lo scalpello e comincia a levare, prende cioè la croce e comincia a lavorarci su. Sofferenza, fatica, pianti: non è facile sopportare i colpi delle cesoie e dello scalpello di Dio. È naturale che alcune potature siano particolarmente dolorose e difficilmente comprensibili; ma non dovrebbe mancare mai la speranza. E qual è questa speranza? Che tutto questo non è senza uno scopo: dopo la potatura ci sarà la primavera e i frutti che matureranno. Ognuno di noi è un collaboratore di Cristo, un tralcio di quella vite. Essere un collaboratore di Cristo, significa dimorare nel suo amore, avere la sua gioia diffondere la sua compassione e testimoniare la sua presenza. E potremmo finalmente dire con San Paolo “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.

Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele II, 4, 14

Ogni giorno si legge il Vangelo e si annuncia la vita futura. Perciò il Nuovo Testamento terminerà, quando il Signore compirà ciò che ha promesso. Il Nuovo Testamento terminerà, perché si compirà. Infatti quando si vedrà colui di cui si parla, cesseranno le parole del medesimo Testamento. Perciò a chi aspetta il giorno della vera luce della santa Chiesa come si aspetta la primavera, vien detto con la voce dello sposo: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi”. Sia infatti la santa Chiesa, sia ogni singola anima eletta, è amica dello Sposo celeste per amore, colomba in virtù dello Spirito, bella per lo splendore dei costumi. Per colei che è già liberata dalla corruzione della carne, l’inverno senza dubbio è passato, perché il torpore della vita presente si è allontanato. Anche la pioggia è cessata, se n’è andata, poiché una volta iniziata alla contemplazione di Dio onnipotente nella sua essenza, non saranno più necessarie le gocce delle parole perché debba scendere la pioggia della predicazione. Vedrà perfettamente ciò di cui ha appena sentito parlare. Allora appariranno i fiori sulla terra, perché quando l’anima comincia a gustare le soavi primizie della vita eterna beata, uscendo aspira già nel profumo dei fiori ciò che una volta uscita avrà più abbondantemente nel frutto. Per cui lì si soggiunge: “Il tempo della potatura è venuto”. Nella potatura si recidono i sarmenti sterili perché quelli che rimangono producano frutto più abbondante. Viene il tempo della nostra potatura allorché abbandoniamo la infruttuosa e dannosa corruzione della carne per giungere al frutto dell’anima. Il frutto più ricco consisterà per noi nella visione dell’Uno. Lui solo regna in cielo insieme col Padre e lo Spirito Santo, come passero solitario dell’edificio. Allo stesso modo che compì la Legge mediante il mistero dell’incarnazione e della sua perfetta umanità, così compirà le promesse del Nuovo Testamento manifestando lo splendore della sua gloria.

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