Il 23 aprile ricorre la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, pensata dall’UNESCO dal 1996 per promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la tutela del copyright. Il 23 aprile è il giorno in cui sono morti nel 1616 tre scrittori considerati dei pilastri della cultura universale: Miguel de Cervantes, William Shakespeare e Garciloso de la Vega.
Tutti abbiamo letto dei libri che ci hanno cambiato la vita. Anzi, spesso si sente parlare dei libri e della lettura come fattori terapeutici. Non è un’esagerazione, è un discorso che va preso con rigore clinico. La lettura, in effetti, non è mai un esercizio puramente intellettuale, ma una pratica capace di suscitare emozioni profonde, legate a oggetti materiali, i libri, che possono essere definiti davvero “amici affidabili e modesti, da cui ogni giorno si può imparare qualcosa”, secondo una celebre immagine petrarchesca. Da anni ormai questi amici affidabili e modesti sono di aiuto per il trattamento di nevrosi, sintomi depressivi, nell’autismo e lo scioglimento di traumi. È la cosiddetta biblioterapia, la lettura di libri particolarmente indicati a uno scopo, che permette di inquadrare il proprio caso e accompagnare il processo di guarigione. Il libro non deve essere sottovalutato sotto questo profilo, in un tempo segnato dall’imperativo di trovare interventi non-farmacologici nelle pratiche di ricerca e cura, anche se non può completamente sostituire la collaborazione fra medico e paziente. Il libro, che sia un romanzo o una raccolta di poesie, è però miracoloso nei tanti casi di crisi esistenziali, da cui praticamente nessuno rimane preservato, tanto che il libro giusto al momento giusto ha evitato il suicidio di molte persone. Questo lo sa specialmente chi lavora, per esempio, fra i detenuti: gruppi di studio e letture in gruppo producono effetti terapeutici importanti e aiutano a ritrovare il senso perduto della vita. La biblioterapia mette a contatto con storie che favoriscono lo sviluppo dell’empatia attraverso l’identificazione nei personaggi. Così il paziente si cura da sé leggendo le storie indicategli, in modo da trarre da esse le informazioni, i racconti esperienziali e le soluzioni adatte al suo caso. La distanza creata dalla lettura aiuta i soggetti a considerare situazioni difficili senza il coinvolgimento personale. Anzi, l’effetto terapeutico di un libro è potenziato dallo studio in gruppo e dalla discussione che ne può seguire.
Viviamo in un mondo malato, ma per fortuna ancora curabile e la letteratura può e deve essere medicina contro le malattie dello spirito del nostro tempo. Un grande senso di vuoto va sempre più guadagnando terreno, particolarmente diffuso tra i giovani. Non c’è più l’uomo frustrato sessuale di Freud o che soffre un senso di inferiorità alla Adler, siamo piuttosto frustrati sul piano esistenziale, per un senso di assurdità e di vuoto esistenziale. Nella società dei consumi abbiamo abbastanza di che vivere, ma non sappiamo per che cosa vivere. A differenza dell’animale, nessun istinto gli indica cosa fare; a differenza dei tempi passati, non c’è più alcuna tradizione che gli dia un posto nel mondo. In ultima analisi, presi dalla vertigine della libertà, non riusciamo più a capire cosa vogliamo esattamente. Da qui le tante forme di conformismo, cioè voglio solo quello che fanno gli altri, o a livello politico il totalitarismo, faccio solo quello che gli altri vogliono. Ora non c’è nulla più del libro che sia capace di mettere in moto un ritrovamento del senso. E che la persona riesca in questo modo a tenersi a galla interiormente in momenti di crisi o depressione economica è dimostrato dal fatto che, durante il Covid, sono stati venduti e letti più libri. Era un modo per combattere la solitudine e stimolare la resilienza. Certo, si è vista anche molta tv, ma a differenza dei mass media, il libro esige selettività. Perché non si può aprire e chiudere un libro come si fa con il pc o la televisione: per un libro occorre una decisione, una scelta, quantomeno acquistarlo o prenderlo in prestito; significa prendersi del tempo per leggerlo, soffermandosi di tanto in tanto per pensare, sottolineare, appuntare. Il libro tradizionale in questi ultimi tempi non si è limitato a difendersi, ma ha riguadagnato posizioni nei gusti del pubblico rispetto al suo rampante cugino elettronico, che ci fa assaggiare il testo, tanti testi, ma non porta verso una sua saporosa digestione. Invece la perfezione della forma materiale del libro cartaceo, dovuta a un raffinato equilibrio tra complessità e semplicità, continua e continuerà a regalarci i suoi frutti: attraverso questo piccolo e flessibile oggetto continueremo a reinventare mondi e a raccontare storie.
I libri permettono di creare delle isole sulle quali possiamo non solamente dilettarci, ma anche riflettere e meditare. La lettura non è evasione a se stessi e al proprio vuoto, al contrario: è tempo libero utilizzato per rientrare in sé. Una vera terapia. In una parola, il libro ci libera dalla pressione del lavoro e della vita attiva e ci richiama alla vita contemplativa, a un’esistenza meditativa, anche se possiamo farlo solo saltuariamente. Dandoci il tempo di leggere con passione, molte zone della nostra vita personale si illumineranno, si apriranno, si fortificheranno e guariranno. Un buon libro, come uno speleologo, ci conduce per mano nel ventre della nostra terra interiore. E potremo veder chiaro in tante situazioni, prendendo buone decisioni, facilitando processi di cambiamento, minimizzando meccanismi di difesa, incoraggiando all’esternazione emotiva e ad agire liberamente. Goethe sintetizza bene questo processo di cura: “Se prendiamo la persona così com’è, la rendiamo peggiore. Ma se la prendiamo come può essere, allora la trasformiamo in quello che può diventare”. Leggere può salvare veramente la vita.
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