Nella Chiesa simbolo della rinascita aquilana e custode dell’effige mariana della Salus Populi Aquilani, una celebrazione segnata da coralità, preghiera e comunione con Papa Leone
L’AQUILA – Domenica 12 ottobre 2025, nella XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (C), la città dell’Aquila si è fatta cuore pulsante della fede mariana, ospitando la Santa Messa in occasione del Giubileo della Spiritualità Mariana, trasmessa in diretta nazionale su Rai Uno. Un appuntamento che ha unito la comunità aquilana e i fedeli di tutta Italia in un momento di profonda spiritualità e di intensa partecipazione.
La celebrazione ha avuto luogo nella suggestiva Chiesa di Santa Maria del Suffragio, in Piazza Duomo, luogo simbolo della ricostruzione e della speranza, divenuto negli anni punto di riferimento per la fede e la memoria della città. La regia televisiva è stata affidata a Simone Chiappetta, mentre il commento liturgico è stato curato da Carolina Zaccarini, che ha accompagnato i telespettatori nella partecipazione attenta e consapevole del rito.
A presiedere la liturgia è stato il Can. Daniele Pinton, Rettore della chiesa e parroco di San Marco Evangelista, affiancato dal Can. Renzo D’Ascenzo e dal diacono Giovanni Tomei. La solennità della celebrazione è stata arricchita dall’animazione musicale della Corale “Lorenzo Perosi”, diretta dal maestro Paolo Di Blasio, con l’accompagnamento all’organo del maestro Marco Di Perna.
Il servizio liturgico è stato curato con dedizione dagli accoliti della Parrocchia di San Marco Evangelista, a testimonianza di una comunità viva e partecipe. Presenti anche una rappresentanza del Gruppo Scout Agesci L’Aquila 3, che ha offerto il proprio contributo di presenza e servizio, e numerosi membri degli organismi parrocchiali, tra cui alcune volontarie della Caritas, segno concreto di una Chiesa che si fa accoglienza e solidarietà.
Il Rettore don Daniele Pinton ha offerto ai fedeli una riflessione intensa sulla fede e la gratitudine a Dio.
Richiamando le letture, ha sottolineato come il Vangelo mostri che dei dieci lebbrosi guariti da Gesù “solo un samaritano, uno straniero, dopo la guarigione, torna indietro a ringraziare il Signore”. La lebbra, ha ricordato, era segno di emarginazione e povertà: “I dieci lebbrosi non chiedono di essere risanati nel corpo, ma di essere ‘toccati’ dalla sua sapienza”, esprimendo il desiderio di relazione con Gesù prima ancora della guarigione fisica.
“La fede che salva”, ha proseguito don Pinton, “è la coscienza di doverci chinare dinanzi a Gesù e riconoscerlo come il nostro salvatore”. Il gesto di tornare indietro del samaritano rivela come “l’azione purificante di Dio è completata dalla scelta dell’uomo umile e grato”. L’Eucaristia, ha spiegato, è “incontro dell’uomo con Gesù, della miseria con la Misericordia, del peccato con il Perdono, della morte con la Vita”.
Riferendosi a Papa Leone, don Pinton ha invitato a farsi prossimi ai bisognosi: “Ascoltando il grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio… Rimanendo indifferenti a quel grido, un peccato sarebbe su di noi”. La fede, ha concluso, si traduce in carità concreta: “L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici… è per l’impossibile”.
Durante la preghiera dei fedeli, in comunione con Papa Leone XIV, è stata elevata una preghiera per la pace, perché – come ha ricordato il celebrante – “la pace è il dono più grande che possiamo invocare in questo tempo ferito”.
Un momento di grazia e comunione che ha unito L’Aquila all’Italia intera, nel segno della spiritualità mariana, della preghiera condivisa e di una fede che si rinnova nel cuore della città.
Testo dell’omelia XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (C)
Letture: 2Re 5 14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17 11-19
Carissimi fratelli e sorelle,
la Parola di Dio proclamata in questa liturgia eucaristica domenicale, sottolinea l’importanza del ringraziamento a Dio, per la sua opera d’amore verso ognuno di noi. La prima lettura ci riferisce della guarigione di Naamàn, un ufficiale siro non appartenente al popolo di Israele, che riconosce l’opera della salvezza compiuta dal Signore in lui. Il brano della lettera a Timoteo riporta la testimonianza di san Paolo, in catene per il vangelo. Infine, il vangelo racconta che dei dieci lebbrosi guariti da Gesù solo un samaritano, uno straniero, dopo la guarigione, torna indietroa ringraziare il Signore.
La lebbra al tempo di Gesù era una malattia terribile che significava emarginazione, povertà, era vissuta come punizione divina. Il cammino di Gesù verso Gerusalemme, narrato da Luca, è sì caratterizzato dal progressivo avvicinamento a un luogo geografico, ma anche all’uomo emarginato e separato da Dio e dai suoi fratelli. I dieci lebbrosi non chiedono di essere risanati nel corpo, ma di essere “toccati” dalla sua sapienza. Nella loro preghiera è espresso il desiderio di relazione con Gesù, prima ancora che la speranza di essere riabilitati nel corpo.
La preghiera è l’incontro tra Dio e l’uomo; incontro reso possibile dalla bontà misericordiosa di Dio che, attraversando con gli uomini i deserti della vita, entra nelle loro vicende storiche; la fede di coloro che gridano il loro bisogno di amore. La guarigione del lebbroso samaritano offre a Luca un punto di transizione nel suo racconto del Messia che va incontro alla croce.
L’episodio si rifà alle istruzioni impartite ai discepoli: anch’essi erano emarginati come il Samaritano; tutti sono stati perdonati, purificati, guariti. La «fede che salva» del Samaritano ricorda agli apostoli l’assolutezza della fede che è stata loro prospettata: la svolta nella loro vita è stata tanto radicale che, parafrasando il vangelo didomenica scorsa, ‘essi sono come alberi che sono stati sradicati e trapiantati in mare’.
A quell’unico lebbroso che si è buttato ai piedi del Signore, Gesù dice: “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato!”. Ci salva la fede, cioè la coscienza di doverci chinare dinanzi a Gesù e riconoscerlo come il nostro salvatore. Il gesto di tornare indietro rivela che l’azione purificante di Dio è stata portata a compimento dalla scelta dell’uomo umile e grato.
La parola di Gesù agisce nell’interiorità della persona riconciliandola con sé e ristabilendo un rapporto di amore. Gesù ci salva con la sua parola, con i sacramenti, con l’Eucarestia, con il sacramento della riconciliazione. L’Eucaristia è incontro dell’uomo con Gesù, della miseria con la Misericordia, del peccato con il Perdono, della morte con la Vita. Dio ascolta il nostro grido, il grido del povero che chiede aiuto, con la Sua parola ci soccorre e risana. Davanti a Dio non vogliamo nasconderci! Alziamo la nostra voce, invochiamolo perché si mostri a noi misericordioso e pietoso. Neppure noi possiamo rimanere indifferenti a questo grido.
Nell’Esortazione apostolica Dilexi te Papa Leone XIV ci ricorda che «ascoltando il grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio, che è premuroso verso le necessità dei suoi figli e specialmente dei più bisognosi. Rimanendo invece indifferenti a quel grido, il povero griderebbe al Signore contro di noi e un peccato sarebbe su di noi (cfr Dt 15,9) e ci allontaneremmo dal cuore stesso di Dio» (Dilexi te, 8).
Facciamo nostro questo invito e chiediamo la salvezza, chiediamo la fede che purifica, che ridona vita, e che rende noi stessi portatori dell’amore di Dio, verso i sofferenti e i malati, perché «l’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla» (Dilexi te, 120).



























