Un imperatore. Una religione. Una scommessa. Una storia che ha segnato l’Occidente… e non solo.
Nella nebbiosa Eboracum, l’attuale York, il 25 luglio dell’anno 306 l’esercito proclama Costantino Augusto alla morte del padre, Costanzo Cloro. È un atto non previsto dalla tetrarchia voluta da Diocleziano: un gesto audace nato dal carisma militare e dal favore delle legioni, che segna l’inizio di una straordinaria svolta. Costantino, giovane comandante militare ma anche abile stratega politico, capisce che una religione osteggiata – il cristianesimo – potrebbe essere la chiave per rimodellare l’Impero. È l’inizio di un azzardo, forse una scelta di fede, forse un calcolo politico… o entrambe le cose.
Nel maggio del 325, a Nicea, Costantino convoca oltre 250 vescovi da tutto l’Impero. È il primo concilio ecumenico: contro l’arianesimo, una dottrina che nega la piena divinità di Cristo, si approva il Credo di Nicea, che afferma Gesù come «Figlio di Dio… consustanziale al Padre (homooúsios)». Inoltre, viene decisa una data comune per la Pasqua, per unificare le pratiche religiose. Questo simbolo – una professione di fede che ancora oggi è recitata nella maggior parte delle liturgie cristiane – non è solo un testo religioso: è un atto politico, un manifesto dell’alleanza tra impero e religione.
Gli autori, Gian Guido Vecchi e Giovanni Maria Vian, con rigore narrativo e storico, raccontano questi anni nello loro opera: “La scommessa di Costantino. Come il Concilio di Nicea ha cambiato la storia” (Mondadori), ricostruendo il clima teologico, politico e simbolico che ha reso Nicea uno spartiacque indelebile nella storia della Chiesa cristiana e dell’Occidente.
Dal 315 in poi, Costantino varrà numerosi decreti che consolidano il ruolo del cristianesimo all’interno dell’Impero:
- Divieto di persecuzione per gli ebrei convertiti al cristianesimo, e repressione del proselitismo giudaico.
- Dal 320 la domenica (il dies Domini) diventa giorno di riposo: è proibito praticare giustizia o lavorare.
- Nel 321 nascono due istituti chiave: la manumissio in ecclesia, che consente di liberare schiavi in presenza del vescovo, e l’episcopalis audientia, che attribuisce al vescovo anche il potere di giudicare in appello. Le chiese possono ricevere eredità, aumentando il loro peso economico e sociale.
Queste misure segnano una svolta: dai tempi dell’Editto di Milano del 313, la fede cristiana non è più solo tollerata, ma è ormai integrata nella struttura giuridica e civile dell’Impero.
Intanto le tensioni con l’ultimo rivale, Licinio, culminano nel 324 con le vittorie di Adrianopoli (3 luglio) e Crisopoli (18 settembre), che consegnano a Costantino il potere assoluto su tutto l’Impero. Poco dopo, il 26 novembre 328, avvia la costruzione della nuova capitale, Costantinopoli — ufficialmente consacrata l’11 maggio 330, celebrata ancora con riti pagani e cristiani.
In questo passaggio simbolico, Costantino trasforma l’Impero: Roma resta città pagana ai suoi occhi, una parata storica senza futuro. La nuova Roma invece dovrà avviarsi a diventare sede politica, ecclesiale e spirituale del mondo cristiano. Così non stupisce il sorgere di una leggenda: papa Silvestro avrebbe battezzato Costantino, simbolo della fusione sacra tra trono e altare. In realtà, secondo Eusebio di Cesarea, il battesimo avviene solo in punto di morte, vicino a Nicomedia, e probabilmente da mani ariane. Nonostante ciò, Silvestro diventa figura simbolica della legittimazione religiosa imperiale, anche se in vita la sua autorità è oscurata dal predominio politico dell’imperatore.
La grande scommessa di Costantino fu il Concilio di Nicea, che rappresenta un tentativo di chiusura interna alle dispute cristiane – definire la piena divinità di Cristo –, ma apre nuove domande e tensioni. Soprattutto, ridefinisce la fede in categorie filosofiche greche. Per alcuni teologi moderni come Hans Küng, questa “ellenizzazione” segna una rottura con il cristianesimo originario, in cui era più centrale il messaggio giudaico-apocalittico. Secondo Joseph Ratzinger, invece, Nicea rappresenta una risposta intensa e necessaria alla crisi dottrinale del suo tempo, con la creazione di un simbolo condiviso che riflette una fede storica fondata su Gesù Cristo.
Dopo Nicea, la controversia ariana continua fino al concilio di Costantinopoli del 381, che completa il Credo niceno-costantinopolitano, rimasto il testo di fede comune a cattolici, ortodossi, protestanti e anglicani.
I concili successivi – Efeso (431), Calcedonia (451) e fino al settimo ecumenico del 787 – affrontano questioni cristologiche sempre più sottili e spesso provocano scismi tra Oriente e Occidente. Il concilio di Costantinopoli del 381 sancisce anche la superiorità del vescovo di Costantinopoli, preludio allo scisma del 1054, ufficializzato nella quarta crociata del 1204.
Solo nel 1965 si compie un gesto storico di riavvicinamento tra Roma e Costantinopoli, ma la divisione ecclesiale tra est e ovest rimane ancora oggi irrisolta.
Ma Costantino ha davvero vinto la sua scommessa? La sua figura si salda tra paganesimo e cristianesimo, tra visione leggendaria e realpolitik. La scommessa fu quella di affidare il destino dell’Impero a una religione perseguitata: mantenne però una doppia identità, restando pontifex maximus, battezzato solo in punto di morte.
Centrale è la sua decisione – azzardo e scommessa insieme – di convocare Nicea, fissare il Credo e riscrivere le leggi dell’Impero. Il suo progetto ha dato forma alla cristianizzazione dell’Impero romano e alla romanizzazione della Chiesa, tracciando un percorso che ha attraversato millenni, fino ai dibattiti e al modello ecumenico del XX secolo.
Il Credo di Nicea, approvato tra il 20 maggio e il 19 giugno 325, rimane ancora oggi un simbolo di unità e di fede condivisa. E il 25 luglio 306 – giorno della sua proclamazione – resta l’inizio di una saga che ha trasformato il corso della storia. Costantino vinse la sua scommessa: un impero e una fede plasmano un mondo nuovo, tra fede e potere, tra idealità e strategia.




