Nel suo nuovo saggio, Aldo Schiavone lancia un allarme epocale: senza pensiero critico, l’Occidente rischia di perdere non solo la democrazia, ma anche l’anima. Una diagnosi impietosa e una proposta radicale su come l’Occidente ha perso sé stesso e come può ritrovarsi
In un’Europa che procede “a fari spenti”, Aldo Schiavone accende un riflettore impietoso sul cuore oscuro della crisi occidentale. Occidente senza pensiero (Il Mulino), il suo ultimo e coraggioso saggio, non è solo una requisitoria contro l’inconsistenza della politica attuale o la deriva populista del continente. È, prima di tutto, un’accusa contro la grande assente del nostro tempo: la capacità di pensare.
Non il pensiero tecnico o scientifico, che prospera nella sua iper-specializzazione sterile, ma il pensiero umanistico, critico, filosofico. Quel pensiero capace di interrogare la realtà, di formulare visioni, di guidare l’azione collettiva. “Una volta c’erano i Maestri”, scrive Schiavone. Oggi, un clamoroso silenzio.
L’implosione silenziosa della democrazia
Per lo storico del diritto, la democrazia europea non è minacciata da un colpo di Stato, ma da un’implosione silenziosa: l’incapacità crescente delle sue élite di comprendere e governare le trasformazioni epocali in corso. Tecnica e capitale corrono indisturbati; la politica annaspa, priva di strumenti teorici e progettuali.
Il vecchio patto tra democrazia e lavoro — che aveva costruito il welfare europeo e cementato le società post-belliche — si è spezzato. Il lavoro non unisce più, la rappresentanza è in crisi, la politica ha perso autorevolezza. Al suo posto, si affermano oligarchie digitali, corporation transnazionali, populismi plebiscitari. Una “nuova forma imperiale”, dice Schiavone, che ha già svuotato la democrazia dall’interno.
Un’Europa senza anima e senza voce
Nel suo saggio, Schiavone non risparmia critiche al Vecchio Continente: “L’Europa ha smarrito la propria intelligenza storica proprio quando ne avrebbe più bisogno”. Una civiltà che un tempo produceva filosofi, sociologi, giuristi, umanisti, oggi partorisce – quando va bene – tecnocrati e commentatori.
La pluralità culturale, che avrebbe potuto essere la sua forza, è degenerata in un mosaico paralizzato da paure, sovranismi e afasia politica. In questo vuoto teorico, si fanno largo risposte identitarie, neoreazionarie, spesso violente. La destra cavalca l’onda, la sinistra balbetta. E gli intellettuali tacciono: un altro tradimento dei chierici.
America, occasione mancata di un impero cieco
Lo sguardo di Schiavone si estende oltre l’Atlantico. Se l’Europa piange, l’America non ride. Qui l’egemonia americana si è tradotta in dominio economico e militare, non in guida morale o intellettuale. Da una parte una sinistra “woke” è tagliente: un attivismo ideologico che manca di basi teoriche, ossessionato dai simboli, incapace di offrire soluzioni ai drammi reali del capitalismo globale.
Dall’altra parte, una nuova destra tecno-populista ridisegna l’impero americano come gendarme del capitale, abbandonando ogni pretesa universalista.
Tecnocapitalismo: il vero sovrano del nostro tempo
Ma secondo Schiavone, il cuore del problema è la forma nuova del potere: un intreccio tra tecnica e capitale che nessuno oggi governa davvero. Le “compagnie-Stato” – Google, Amazon, Apple – dettano legge senza passare per il Parlamento. La loro egemonia è totale: infrastrutturale, informativa, esistenziale.
Il lavoro operaio, motore politico del Novecento, è evaporato. Al suo posto, una folla di lavoratori isolati, precarizzati, incapaci di riconoscersi in un’identità collettiva. Senza classe, senza rappresentanza, senza futuro.
Un compito per l’Europa: globalizzare la politica
Eppure, non tutto è perduto. Schiavone non si limita alla diagnosi. Di fronte alla globalizzazione del capitale, la sua proposta è audace: rifondare un pensiero politico globale, capace di regolare il capitale e indirizzare la tecnica verso il bene comune.
Serve una nuova alleanza tra democrazia, tecnica e umanesimo. Un progetto capace di immaginare un cittadino globale, non più schiavo del mercato, ma soggetto attivo di una governance planetaria. È la democrazia che deve globalizzarsi — non il contrario.
L’Europa, per storia e vocazione, potrebbe guidare questa rivoluzione. Ma deve abbandonare le paure identitarie, l’esaltazione di un passato che non ritornerà e riscoprire invece il coraggio delle grandi visioni.
La tradizione cristiana come motore etico della rinascita
Uno dei passaggi più originali e provocatori del pensiero di Schiavone arriva alla fine del libro e riguarda il recupero della tradizione cristiana — non in chiave identitaria o confessionale, ma come patrimonio etico e universale dell’Europa.
Schiavone rifiuta il dibattito ideologico e sterile sulle “radici cristiane” del continente, ma riconosce l’impronta profonda che il cristianesimo ha lasciato su tutta la storia europea, da est a ovest. In particolare, egli distingue due contributi fondamentali del pensiero cristiano: il teologico-politico, ormai in declino, e l’universalismo, oggi più vivo e promettente che mai.
Di fronte alla mondializzazione economica e tecnologica, l’universalismo cristiano — in particolare nella sua forma cattolica — può offrire una risposta morale, una visione umanistica e inclusiva della dignità umana. Potrebbe diventare, se rigenerato, il cuore di una nuova “evangelizzazione civile”, in grado di parlare all’uomo globale: ogni individuo, ovunque si trovi, come destinatario di un messaggio di riconoscimento e di amore.
In questa prospettiva, Schiavone immagina una collaborazione nuova tra cultura laica e tradizione religiosa: un incontro possibile nella ridefinizione del concetto di persona. Liberata dalla sovrapposizione con l’individuo borghese-capitalistico, la persona cristiana può tornare ad essere l’asse tra finito e infinito, tra storia e trascendenza. Una categoria centrale per costruire un pensiero del futuro.
E non è un caso, osserva Schiavone, che in anni di silenzio delle forze politiche occidentali — anche quelle di sinistra — solo la Chiesa cattolica sia rimasta voce critica contro le diseguaglianze globali. Pur con limiti e contraddizioni, essa ha rappresentato una coscienza morale contro l’appiattimento sul presente.
La sfida del nostro tempo: pensare l’umano
Il vero rischio, per Schiavone, non è solo politico o sociale. È antropologico. Se non riusciamo più a pensare l’essere umano, a dare senso al suo destino, il tecnocapitalismo finirà per sostituirci.
Occidente senza pensiero è un libro che inquieta, ma non rassegna. Una chiamata all’azione per intellettuali, politici, cittadini. Una provocazione lanciata da uno dei pensatori più lucidi del nostro tempo: se non torniamo a pensare il mondo, non saremo più noi a governarlo.
L’Europa può ancora accendere la luce ed essere un faro per l’America e il mondo. Ma deve ritrovare il coraggio di essere se stessa. Prima che sia troppo tardi.