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San Giuseppe lavoratore. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 1 Mag 2024 | Monasteria

La memoria di San Giuseppe lavoratore del 1 maggio è stata istituita da Papa Pio XII nel 1955, con la quale intendeva cristianizzare la festa del lavoro che era stata creata dall’internazionale socialista nel 1889. Inoltre sostituiva quella del patrocinio di San Giuseppe sulla chiesa universale, prescritta da pianoro nel 1847 e raccoglieva l’eredità del magistero papale che aveva presentato Giuseppe come modello di operai e lavoratori. Giuseppe, il figlio di David, adotta il Figlio di Dio: come tutti i giusti Giuseppe aspettava il Messia, ma solo lui riceve l’ordine di gettare un ponte tra i due testamenti, tra la prima e la nuova alleanza. Accogliendo Gesù tra le sue braccia, lo accoglie nella propria stirpe. San Paolo VI sottolineava come ii vangeli presentino il falegname Giuseppe come “giusto, cioè buono, ottimo, ineccepibile, e che quindi assurge davanti a noi all’altezza del tipo perfetto, del modello di ogni virtù, del santo“. Egli sarà protettore e difensore di Gesù e “per questo la Chiesa, che altro non è se il corpo mistico di Cristo, ha dichiarato San Giuseppe protettore suo proprio e come tale lo venera e come tale lo presenta al nostro culto e alla nostra meditazione“.

Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. 

Offrendo a Dio il proprio lavoro, ricorda la Gaudium et Spes, l’uomo si associa all’opera stessa redentiva di Gesù Cristo, che ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discende per ognuno il dovere di lavorare fedelmente e il diritto al lavoro ed anche il compito della società aiutare i cittadini affinché possano trovare sufficiente occupazione. “Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana“, ricordava Papa Francesco nell’udienza di due anni fa, “e anche nel cammino di santificazione. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo“. Purtroppo, però, il lavoro diventa spesso disumano e una vera e propria periferia esistenziale: “Aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per far fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro“, ricordava nella Laudato Si’ (n.128).

Il lavoro riempie gran parte della vita quotidiana di ognuno di noi e anche il mestiere più umile deve colmarsi di significato, fino a poter abbracciare l’idea di vera e propria missione personale. Spesso occorre cambiare la prospettiva a partire dal linguaggio con l’immagine della meta e del progetto: un conto è dire “Sto posando dei mattoni”, un altro “Sto costruendo un ospedale” e un altro ancora “Sto aiutando a salvare vite umane”. 

San Giuseppe, da buon carpentiere, ci ricorda che il vero e primo lavoro è quello di costruire uno spazio dedicato a Dio, di fargli spazio nel dono di sé e nella disponibilità ad accogliere la volontà divina nella sua interezza. Dio ha chiamato l’uomo a cooperare con il lavoro al disegno della sua creazione; così nel lavoro l’uomo realizza la straordinaria vocazione alla somiglianza con Dio, dove offre non cieca obbedienza, ma tutto se stesso: ingegno, volontà, sentimento, condivisione del progetto. Allora l’esempio e l’intercessione di san Giuseppe lavoratore ci sosterranno ad accettare volentieri e con prontezza questa collaborazione con il Creatore.

Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele II, 1, 10

“E aveva in mano una cordicella di lino”. Nella traduzione del Settanta non si trova “cordicella di lino”, ma “cordicella dei muratori”. Se per spiegare questo versetto vogliamo attenerci alla loro traduzione, non possiamo non vedere nei muratori i santi dottori, che parlando delle cose dello spirito cementano insieme le pietre vive, cioè le anime degli eletti, per formare l’edificio celeste. Infatti, tutto ciò che hanno detto i patriarchi, i profeti, gli apostoli e i successori degli apostoli, a che cosa mirava se non a cementare insieme le pietre in questo edificio dei santi che si costruisce ogni giorno? La cordicella dei muratori di solito serve per rendersi conto se il muro vien su preciso e a piombo, per spingere fuori una pietra che è dentro e far rientrare un’altra che sporge fuori. E certo la predicazione dei dottori a questo tende ogni giorno: che ogni anima, alla quale forse non giova assumere pesi di responsabilità, anche se desidera apparire fuori, sia richiamata dentro; e invece, una che vuol rimanere nascosta e curarsi soltanto di sé, se può essere utile a sé e a molti, anche quando desidera rimanere nascosta, sia portata all’esterno perché appaia. E cosí che si mantiene l’ordine delle pietre sante, quando spesso si respinge quella che aspira agli onori e s’innalza al vertice chi vuol sfuggire agli onori. 

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