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Seconda domenica di Pasqua o della Divina Misericordia. La Pasqua con Gregorio Magno

by | 7 Apr 2024 | Monasteria

Seconda domenica di Pasqua o della Divina Misericordia

Giovanni ci dà quattro esempi di fede in Gesù risorto, uno leggermente diverso dall’altro. Il discepolo prediletto raggiunge la fede dopo aver visto gli abiti funebri, ma senza aver visto Gesù stesso. La Maddalena vede Gesù, ma non lo riconosce finché egli non la chiama per nome. Gli altri discepoli lo hanno visto e hanno creduto nel Signore risorto; Tommaso invece non si fida della loro parola ed esige di vedere e toccare. Quando Gesù appare e finalmente Tommaso crede, esprime la sua fede con la confessione definitiva: “mio Signore e mio Dio”. Questa è la suprema dichiarazione cristologica del quarto vangelo: nel corso della sua vita terrena, i discepoli davano molti titoli a Gesù, come rabbi, messia, profeta, re di Israele, Figlio di Dio. Nelle apparizioni dopo la resurrezione, Gesù viene salutato solo come Signore dai discepoli. Si è compiuta così la volontà del Padre, “che tutti gli uomini onorino il Figlio proprio come onorano il Padre” (Gv 5,23). Quello che Gesù ha predetto, è accaduto: “quando innalzerete il Figlio dell’uomo, allora vi renderete conto che Io Sono” (Gv 8,28).

In Matteo Gesù si fa stringere i piedi dalle donne, in Luca mangia qualcosa davanti all’oro durante la cena, in Marco si aggiunge una seconda conclusione per superare questi interrogativi ma Gesù nella pagina di Giovanni educa il credente a non fermarsi a tutto questo, ma piuttosto ad andare oltre e a maturare un cammino sebbene difficile di fede in lui.e se noti bene che il testo non dice che Tommaso mise il dito la mano per toccare il corpo di Gesù risorto, ma si accontentò della disponibilità di Gesù a rivelarsi e a farsi toccare.

Insegnamento è enorme per tutti noi: Tommaso diventa l’archetipo del discepolo, in nessun altro contesto di apparizione c’è una confessione di fede così precisa sull’identità di Gesù.Tommaso il più dubbiosa di tutti, manifestato tutti la sua fede. Non fa meraviglia, allora, che la sua confessione costituisca le ultime parole dette da un discepolo nel quarto vangelo. Niente di più profondo potrebbe essere detto di Gesù.

Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 2, 26, 7-8

Uno dei Dodici, però, Tommaso detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Non era presente quest’unico discepolo, e quando al ritorno udì ciò che era avvenuto rifiutò di credervi. Venne di nuovo il Signore e al discepolo incredulo presentò il costato perché lo toccasse, mostrò le mani e indicando la cicatrice delle sue ferite, risanò quella della sua incredulità. Cosa trovate, fratelli carissimi, in tutti questi eventi? Ritenete forse puramente casuale che quel discepolo chiamato da Gesù non fosse allora presente, che rientrato sentisse il racconto, cadesse nel dubbio, potesse toccare e così tornare alla fede? Ciò non avvenne per caso, ma fu per un disegno di Dio. La divina clemenza dispose in modo mirabile che quel discepolo, preso dal dubbio mentre toccava le ferite nel corpo del Maestro, risanasse in noi quelle dell’incredulità. I dubbi di Tommaso giovano alla nostra fede più che l’ossequio dei discepoli mai scossi in essa, perché, mentre egli è ricondotto a credere dalla diretta constatazione, la nostra mente, abbandonata ogni incertezza, si convince sempre più della verità del Signore. Questi in verità permise dopo la risurrezione che il suo discepolo dubitasse, ma non lo abbandonò in quello stato d’animo; come volle che Maria, prima della

Natività, avesse uno sposo, che tuttavia la lasciò nella sua condizione verginale.

E così quel discepolo preso dal dubbio e chiamato a una diretta constatazione divenne un testimone della verità della risurrezione, come lo sposo della Madre del Signore era stato il custode della sua perfette verginità. Tommaso toccò dunque ed esclamò: “Signore mio e mio Dio!”. E Gesù, in risposta: “Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto!”. Dato che l’apostolo Paolo scrive: “La fede è fondamento delle realtà in cui occorre sperare e prova di quelle che non si vedono”, è chiaro che la fede ha come oggetto le realtà che non possono apparire, dato che per quelle che si vedono non c’è fede, ma constatazione. Avendo dunque Tommaso visto e toccato, come mai gli si dice: “Perché mi hai visto, hai creduto?”. Altro fu ciò che vide nella realtà, rispetto poi all’oggetto della fede, perché la divinità non può essere vista dall’uomo mortale. Egli vide l’umanità di Cristo, ma ne proclamò la divina natura, dicendo: “Signore mio e mio Dio!” Poté, sì, constatare, ma il suo fu poi un atto di fede, perché pur vedendo un uomo, ne proclamò la natura divina di cui era impossibile ogni diretta percezione.

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