Periodico di informazione religiosa

Gregorio Magno, dottore della compunzione

by | 3 Set 2023 | Monasteria

Fratelli e sorelle, la vita cristiana nasce dalla contemplazione di questo volto, è questione di amore, di incontro quotidiano con il Signore nella Parola e nel Pane di vita, e nel volto dell’altro, nei bisognosi in cui Gesù è presente”. Nella cattedrale di Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, dove Papa Francesco è in visita pastorale, il Santo Padre ha riflettuto sul rapporto tra adorazione e attività del cristiano; in termini più tradizionali diremmo tra vita contemplativa e vita attiva. E proprio questo fu un tema affrontato dal santo pontefice che oggi ricordiamo, Gregorio Magno, uno dei quattro grandi dottori latini (insieme ad Agostino, Ambrogio e Girolamo), cantore della vita monastica e dottore della compunzione.

Gregorio Magno è una figura ben nota nella storia della Chiesa. Se San Benedetto, di cui papa Gregorio si fa biografo, con la sua Regola si colloca alla fine del mondo antico, al culmine di una tradizione di regole monastiche, con Gregorio Magno comincia propriamente l’epoca della Chiesa medievale. Romano – qualcuno l’ha definito l’ultimo dei Romani – la casa paterna è al Celio, tra il Colosseo e la Basilica Lateranense, vicino cioè ai grandi monumenti della Roma classica e cristiana. Gregorio è un giovane aristocratico che, ben conscio del suo status, andava a passeggio per le strade di Roma vestito di seta e ornato di gemme: così racconta un altro Gregorio, il vescovo di Tours, il quale aggiunge poi che il giovane apprese talmente bene la grammatica, la dialettica e la retorica, che nella stessa Roma non era reputato secondo a nessuno. Un evidente contrasto con la successiva scelta monastica: rigorosa astinenza nei cibi, costanza nelle veglie di preghiera e fermezza nei digiuni. San Benedetto è vissuto prima di Gregorio e i cenobi di Subiaco e Montecassino erano stati già fondati, ma Gregorio, seguendo l’uso romano, non andò a cercarsi un altro monastero: se lo costruì in casa sua, al Celio. Gregorio visse qui a Sant’Andrea “i giorni più belli della sua vita” – lo dice egli stesso nel prologo ai Dialoghi, quando ricorda gli anni dal 575 in poi, trascorsi nel monastero, anche se non volle esserne abate. Non sembra che abbia seguito la Regola benedettina, che pur mostra di conoscere e ammirare. Ma a quell’epoca era un fatto piuttosto normale: ogni abate era libero di scegliersi una regola oppure, il caso più frequente, di combinare diversi elementi di più regole.

L’incanto del monastero di Sant’Andrea dovette rompersi presto: nel 579, il nuovo papa Pelagio II lo ordinò diacono e lo inviò a Costantinopoli come apocrisario, cioè rappresentante papale. Oggi diremmo nunzio apostolico. Ma non voleva rinunciare alla quotidianità del monastero: perciò decise di portare con sé anche un gruppo di monaci e con loro cercò di vivere come poteva da monaco. E dovette riuscirci: alcune sue opere, per esempio il commento al libro di Giobbe, quei Moralia in Job che tanto influenzarono la cultura medievale, nacquero proprio dalla condivisione della lectio divina con i monaci e gli amici a Costantinopoli. Altri anni felici per Gregorio, perché fu un periodo in cui le relazioni tra le due Rome si mantennero sostanzialmente buone. Anche questo soggiorno però dura poco: dopo quattro o cinque anni viene richiamato a Roma da Pelagio II, del quale diventa segretario e, con la sua morte nella pestilenza del 590, viene acclamato dal popolo suo successore. Gregorio cerca di sottrarsi all’elezione, ritardando l’arrivo della notifica da mandare all’imperatore, ma il 3 settembre del 590 prenderà ufficialmente possesso del Patriarchio del Laterano e delle sue nuove responsabilità. Diventato papa, il rammarico per avere lasciato la vita contemplativa sarà un tema frequente nei suoi scritti, anche se non rinunciò del tutto alla vita monastica, prendendo alcuni confratelli monaci che vivessero con lui. Non è possibile ripercorrere qui tutto il suo pontificato (590-604): abbiamo una miniera inesauribile di notizie, che sono i quattordici libri delle lettere che ha scritto durante i suoi quattordici anni di pontificato. Le Chiese nascevano nelle varie zone della cristianità – mandò quaranta monaci in Inghilterra, dando avvio alla conversione degli Angli – e con la sua sapienza e con la cultura che aveva, poteva risolvere i casi che gli venivano sottoposti.

Gregorio Magno è stato definito il dottore per eccellenza della compunzione: quando i suoi Dialoghi vennero tradotti in greco – tra i pochissimi latini ad avere questo privilegio – fu soprannominato in Oriente proprio Dialogos e dovette il suo successo in forza del suo insegnamento sulla compunzione. Parlare di compunzione è entrare nel vivo della sensibilità spirituale di Gregorio, perché nasce dal frequente contatto con la parola di Dio. E il suo ambiente privilegiato è la preghiera, che la accende. La compunzione è una ferita con cui Dio ci rende consapevoli della nostra miseria, svegliandoci dal sonno di una falsa sicurezza e  suscitando una contrizione talmente viva da effondersi nelle lacrime. La compunzione apre i pori del cuore e le lacrime bagnano e lavano questa moltitudine di colpe, dalle quali è impossibile essere esenti, finché siamo quaggiù. Ciò che è diventato più celebre in questa dottrina è la classificazione della compunzione in quattro qualità: “ubi fuit, ubi erit, ubi est, ubi non est”. La considerazione di dove eravamo (ubi fuit) e di dove avremmo potuto essere (ubi erit), la considerazione di dove siamo adesso (ubi est) e dove invece ancora non siamo giunti (ubi non est). Per dirlo in altri termini: la compunzione che sorge dal ricordo delle colpe passate, quella che teme il giudizio di Dio, quella che si affligge dei mali della vita presente e quella che desidera il bene della patria celeste. La penetrante psicologia di questo gioco così fine di sentimenti rivela tutta la sua preziosità e attualità, quando Gregorio sottolinea che essa porta a poco a poco al discernimento delle intenzioni. La compunzione colpisce le corde più intime del cuore e mette a tacere progressivamente il tumulto dei pensieri negativi. Chi riconosce e piange per le sue mancanze, acquisterà così il senso di ciò che bisogna fare da ciò che va evitato.

Non solo lacrime. Gregorio lega la compunzione anche a un sentimento liberante, la gioia. Parla infatti di iubilus e lo fa con l’immagine della donna al banchetto del fariseo che, tutta presa d’amore, non cessava di baciare i piedi del Signore. Tristezza e gioia sono sempre complementari; così la compunzione non è solo amarezza per i peccati, ma è piuttosto il sunto di tutta la vita cristiana, che comincia da questo lavorìo interiore per giungere fino alle vette di un amore liberante. Gregorio è anche un buon pastore. Una sincera compunzione non può non sfociare nella sollecitudine e nell’attenzione verso il prossimo. Ai vescovi fa capire chiaramente che l’essere presi da compunzione dovrebbe portare ad aver cura di quanti ci sono stati affidati, senza tentare di scansare il prossimo e le questioni che ci sottopone.

La compunzione gregoriana è dunque una forza spirituale ricca ed unificante, comprendente l’amarezza per i peccati, il timore del giudizio divino, il distacco dai beni temporali, il desiderio intenso del cielo, un atteggiamento contemplativo e persino la dolce tristezza che rimane in noi quando, dalle cime dell’esperienza di Dio, siamo riportati alla vita quotidiana. Toccare Dio, anche se brevemente.

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