Periodico di informazione religiosa

Martedì della VI settimana di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

da | 7 Mag 2024 | Monasteria

Martedì della VI settimana di Pasqua

Il primo incontro di Paolo con il mondo di Filippi è una sequenza di peripezie: schiavi e padroni, demòni e magistrati, le battiture e il carcere. Ma almeno vale a fondare la seconda chiesa d’Europa: la prima è stata la casa di Lidia, la commerciante di porpora, ora la seconda è la casa di un pagano che rimane anonimo, carceriere della città. Paolo e Sila si trovano nella prigione più interna: è una scena di morte, sono come gettati nel loro sepolcro con i piedi legati dal legno. C’è un richiamo quindi al legno della croce: Paolo e Sila sono come il Cristo morto e sepolto. A mezzanotte pregano e inneggiano a Dio: nella notte, nel buio, dove tutti sono rinchiusi come dentro un sepolcro, un terremoto scuote la terra e si scuotono le fondamenta della prigione. Uno scuotimento come la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste nel capitolo 4,31 degli Atti. La potenza dell’inno, del canto e della preghiera è come un terremoto che squassa i pilastri di questa prigione che rappresenta il mondo. Si aprono tutte le porte e si sciolgono tutte le catene: ogni schiavitù scompare. La guardia, visto che tutti i carcerati erano fuggiti, tenta di uccidersi, ma Paolo gridando a gran voce lo ferma. In un attimo si assiste a un rovesciamento: i prigionieri sono uomini liberi, mentre il carceriere diviene prigioniero della paura e vuole suicidarsi. I veri prigionieri sono quelli che stanno fuori, mentre quelli che sono dentro già sono liberi e non hanno più catene. È la metafora di un mondo, Dove i veri infelici e chiusi nelle proprie ansie sono i cosiddetti padroni del mondo o che si ritengono tali. La guardia chiede cosa fare per essere salvato: la risposta è semplice, accogliere Gesù e ciò che Gesù ha fatto per noi, liberandoci con la sua morte e rinunciando a ogni potere sull’altro. Questa accoglienza è la resurrezione e la vita nuova del carceriere. La scena termina con il lavaggio delle ferite e il battesimo del custode e di tutta la sua casa. Sangue e acqua: sono la grande visione di Giovanni, la nascita della Chiesa dal fianco squarciato di Cristo, da cui esce sangue d’acqua. Tutta la casa si rallegra: la gioia è il segno della presenza di Dio. Dove manca gioia, non c’è Dio.

Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele II, 16

Anche nel santo Vangelo la Verità ci rivolge queste parole: “Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Entrerà alla fede, uscirà verso la visione, troverà pascolo nella vita eterna. Perciò anche il salmista dice: “Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri”. Il Signore veglia su ciascuna anima, quando entra alla fede e quando esce verso la visione, affinché non inciampi negli errori entrando nella Chiesa e non venga rapita dall’antico nemico uscendo da questa vita temporale.
Riguardo a questa nostra uscita, che ogni giorno dobbiamo meditare, anche Paolo parla del nostro Redentore dicendo: “Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”. Noi pure, da quando abbiamo cominciato a disprezzare la prigione della carne, a superare le angustie della nostra mortalità col desiderio dell’immortalità, a tendere alla libertà della luce superna, ad anelare alle gioie della patria celeste, teniamo gli occhi fissi alla porta; perché mentre desideriamo passare dai sacramenti temporali a quelli eterni, in qualche modo abbiamo già rivolto le spalle alla vita presente e teniamo la faccia del cuore legata al desiderio della nostra uscita. Poiché sta scritto: “Il corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti pensieri”. E così, attraverso la contemplazione, con lo spirito ormai siamo protesi oltre le angustie della carne, e tuttavia nei sacramenti che abbiamo conosciuto ancora siamo trattenuti dentro la porta dell’angustia della carne.

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