Periodico di informazione religiosa

Giovedì della VI settimana di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 9 Mag 2024 | Monasteria

Giovedì della VI settimana di Pasqua

Ad Atene il seme è ormai gettato e crescerà per conto suo; si tratta di un seme molto importante, perché entra nel logos greco ed è una critica alla sapienza dei pagani. Paolo va a Corinto, che è una città grandissima. Distrutta nel 146 a.C. dai romani, è stata per quasi un secolo in rovina, per poi essere riedificata e all’epoca di Paolo era un centro ancora in forte espansione, con gente di ogni cultura proveniente da tutto il Mediterraneo, grazie alla presenza del porto di Cencre. I Corinzi erano famosi per la loro vita licenziosa, tanto che “vivere alla corinzia” o “corintizzare” significava condurre un tipo di vita spendacciona e lussuriosa. Qui Paolo incontra un giudeo, Aquila e sua moglie, Priscilla, originari del Ponto, sul Mar Nero, mercanti che risiedevano a Roma. Poiché era sorta una disputa tra cristiani e giudei, l’imperatore Claudio esiliò nel 49 d.C. i capi delle due fazioni non poteva spenderli tutti e Aquila e Priscilla erano tra gli esiliati e si trasferirono a Corinto, dove furono avvicinati da Paolo che faceva il loro stesso mestiere. Compare per la prima volta negli Atti la menzione della città di Roma, che di per sé è il punto di arrivo di tutta la narrazione. Quando si parla degli estremi confini della terra si intende Roma, il centro del paganesimo, l’ultimo orizzonte possibile. Paolo rimarrà a Corinto per un anno e mezzo, e qui si mette a fare lo stesso lavoro degli schiavi: vuole che il suo ministero sia gratuito e non intende essere di peso a nessuno. Il pericolo è sempre che il pastore poi diventi poi padrone del gregge! Mentre nel mondo romano i padroni si dedicavano all’otium, nel mondo giudaico il lavoro era cosa nobile, perché anche Dio aveva lavorato per sei giorni nella creazione del mondo. Il lavoro dell’uomo è allora partecipazione all’azione di Dio nella creazione. Paolo trova  a Corinto un terreno migliore rispetto che ad Atene, perché il Vangelo è per i poveri e per chi ha come unica dignità quella di essere uomo; grande era il numero di servi e schiavi presenti in città e, almeno all’inizio, dovette far presa su di essi. Anche qui Paolo inizia dalla sinagoga ma, respinto, esce fuori ed entra in casa di un pagano, Tizio Giusto. La casa di questo pagano sarà la nuova sinagoga, il nuovo tempio di Dio. La casa è il luogo dove si dimora insieme: il principio della casa sono il marito e la moglie, dove l’uno dimora nell’altro e lo porta nel proprio cuore, come nella vita intima della Trinità. Recarsi nella casa di un pagano, oggi, significa piuttosto quello che spesso ripete Papa Francesco, andare nelle periferie, andare verso i lontani, i disprezzati: è lì che c’è la Chiesa, lì c’è il Signore che aspetta.

Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe VI, 31, 103

Agli eletti è concesso di vedere il Re nel suo splendore perché, rapiti oltre se stessi, fisano gli occhi del cuore nel fulgore stesso della divinità. Siccome finché si trovano ni questa vita non possono vedere quella patria dei viventi così com’è, aggiunge: “Contempleranno una terra da lontano”. Quindi, mentre da un lato leggiamo: “L’aquila s’innalzerà e porrà il suo nido sule alture”, dall’altro leggiamo “Abiterà in alto”. Consideriamo l’aquila sublime che era Paolo, che volò fino al terzo cielo, e tuttavia, finché rimase in questa vita, vedeva Dio ancora da lontano, egli che dice che: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia”. E ancora: “Io non ritengo d’aver già conquistato il premio”. Ma benché vedesse le cose eterne in modo inferiore alla realtà e capisse di non poterle conoscere perfettamente, tuttavia con la predicazione non poteva comunicare ai suoi uditori deboli quelle cose che egli poteva vedere, almeno come in uno specchio e confusamente. Egli parlava di se stesso come di un altro dicendo: “Udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno proferire”. Perciò le cose interiori, per quanto sembrino minime e semplici, sono tuttavia altissime per i predicatori provetti, ma incomprensibili agli uditori deboli. Allora i santi predicatori, vedendo che i loro uditori non riescono a comprendere la parola di Dio, si limitano a parlare dell’incarnazione del Signore. Perciò quando si dice che l’aquila sollevata sulle alture vede da lontano, vale quel che segue: ” I suoi aquilotti lambiscono il sangue”. In altri termini più chiari: Si pasce sì della contemplazione stessa della divinità, ma siccome i suoi uditori non sono in grado di percepire gli arcani della sua divinità, vengono saziati mediante la conoscenza del sangue del Signore crocifisso. Lambire il sangue è appunto venerare la debolezza della passione del Signore. Ecco perché lo stesso Paolo, che, come dianzi abbiamo detto, era volato ai segreti del terzo cielo, diceva ai discepoli: “Io ritenni infatti non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”. Come se quest’aquila dicesse apertamente: È vero, io non spio da lontano me mio cibo la sua divinità, ma a voi ancora piccoli offro da lambire solo il sangue della sua incarnazione. Chi infatti con la sua predicazione si limita ad iniziare i suoi uditori deboli al sangue della croce passando sotto silenzio la grandezza della divinità, che altro offre ai piccoli se non il sangue?

Print Friendly, PDF & Email

Ultimi articoli

Author Name