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21 Marzo, Transito di San Benedetto. La Quaresima con Gregorio Magno

by | 21 Mar 2024 | Monasteria

Transito di San Benedetto

Il 21 marzo è la festa che commemora il transito di San Benedetto, cioè il passaggio del santo monaco all’eternità, come narrato da Gregorio Magno nel II libro dei Dialoghi. Nel racconto della sua ultima settimana di vita domina l’impressione di grandezza e di dominio sovrano. Benedetto ordina di aprire la sua tomba, come se regolasse lo stesso l’arrivo della malattia. Ordina di essere portato nell’oratorio, come se si presentasse a un appuntamento da lui fissato. La morte è preceduta dalla comunione come viatico, munendosi per la partenza con l’eucarestia. Ma il punto culminante e più commovente è l’eroismo con cui Benedetto muore stando in piedi, in preghiera, sostenuto dai suoi discepoli, fino a che gli resta l’ultimo soffio di vita. Muore in piedi imitando uno dei suoi compatrioti, l’imperatore Vespasiano: secondo il racconto di Svetonio, l’imperatore – originario di Norcia da parte di madre – al momento supremo disse che un imperatore doveva morire in piedi e, mentre si sforzava di alzarsi, spirò tra le braccia di quelli che lo sostenevano. Un illustre esempio, certo, ma nell’ultimo istante Gregorio ci mostra Benedetto, come monaco teso tutto verso Dio, che obbedisce fino all’ultimo minuto al all’ordine evangelico di pregare senza stancarsi. Come novello Mosè, Benedetto è un patriarca, in quanto si è preso cura degli altri come ti se stesso. Come Gesù rese lo spirito stendendo le braccia, anche Benedetto muore in preghiera con le mani tese. E come per Gesù, la fine non è che l’inizio per Benedetto. L’epilogo è significativo: una donna malata di mente viene guarita proprio nello Speco e non sulla tomba di Benedetto. Dalla notte sorge il giorno: la donna è risanata, così come l’anima di questa vagabonda. La grotta di Benedetto è ormai un luogo di guarigione e di teofania. Sembra che Gregorio insinui una domanda al lettore: la tua anima non è forse in questo stato di vagabondaggio e di follia, impossibilitata a trovare la vera pace? La donna diventa simbolo dell’umanità che ha bisogno di essere accolta e guarita da parte di Dio.

E i figli di S. Benedetto lo hanno seguito portando il suo messaggio da un capo all’altro del mondo e, così facendo, hanno fatto l’Europa. E per essi l’Europa fu la cristianità, come si chiamò, appunto, fino all’evo moderno. Il loro pellegrinaggio in questa nostra patria Europa fu opera di civiltà cristiana ed essi seppero cementare, nell’unità dello spirito, della cultura e dell’arte, popoli diversi e distanti del continente antico. Oggi, in cui l’unità europea è un’esigenza sempre più avvertita, sentiamo vivo il bisogno di riscoprire le forti radici e le lontane origini dell’ideale unionistico, per riconoscerci e trovarci nell’unica identità culturale che ci fa europei. L’Europa è una e diversa, ma possiede un’anima alla quale è stata data un’impronta originaria col pensiero classico e la religione cristiana. E questa impronta è opera senz’altro di Benedetto e dei suoi discepoli, perché è suo quel senso di unità nell’universalità, fondato sull’impegno comune, sulla pace, la giustizia e la libertà. Questo è, dunque, il nostro Benedetto. Tornare a lui è tornare alle fonti per recuperare, coi valori cristiani e perciò perenni, il nostro essere uomini. E tornare alle fonti è per noi il modo giusto di fare cultura e il tentativo sincero di fare l’Europa.

Gregorio Magno, Dialogi II, 37

Nell’anno stesso in cui doveva morire, annunziò il giorno del suo beatissimo transito ai suoi discepoli, alcuni dei quali vivevano con lui ed altri che stavano lontani. Ai presenti ordinò di custodire in silenzio questa notizia, ai lontani indicò esattamente quale segno li avrebbe avvisati che la sua anima si staccava dal corpo. Sei giorni prima della morte, si fece aprire la tomba. Assalito poi dalla febbre, cominciò ad essere prostrato da ardentissimo calore. Poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più grave, il sesto dì si fece trasportare dai discepoli nell’oratorio, ove si fortificò per il grande passaggio ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore. Sostenendo le sue membra, prive di forze, tra le braccia dei discepoli, in piedi, colle mani levate al cielo, tra le parole della preghiera, esalò l’ultimo respiro. In quel medesimo giorno, a due fratelli, uno dei quali stava in monastero, l’altro fuori, apparve una identica visione. Videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente di innumerevoli lampade, che dalla sua stanza volgendosi verso oriente si innalzava diritta verso il cielo. In cima si trovava un personaggio di aspetto venerando e raggiante di luce, che domandò loro di chi fosse la via che contemplavano. Confessarono di non saperlo. «Questa – disse egli – è la via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al cielo». Così i presenti e i lontani videro e conobbero da quel segno predetto la morte del santo. Fu sepolto nell’oratorio del Beato Giovanni Battista, oratorio che egli aveva edificato, dopo aver distrutto il tempio di Apollo. E fino ai nostri giorni, se la fede degli oranti lo esige, egli risplende per miracoli anche in quello Speco di Subiaco, dove egli abitò nei primi tempi della sua vita religiosa.

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