Atanasio nacque ad Alessandria d’Egitto nel 295 circa ed ebbe formazione culturale greca. Partecipò da diacono al primo Concilio ecumenico della storia a Nicea nel 325. Ebbe un destino straordinario: a trentatré anni divenne patriarca di Alessandria, ma dovette subire persecuzioni e cinque esili per la sua strenua opposizione all’arianesimo; la maggior parte delle sue opere si ricollegano assai da vicino alla sua lotta per la difesa della fede nicena.
Fu accolto a Roma, a Treviri e nel deserto egiziano, dove conobbe il nascente monachesimo, senza mai perdere la sua dignità di cristiano difensore di Nicea e fu sempre capace di elevarsi al di sopra dei più grandi guai che accompagnarono tutto il corso della sua vicenda. Gli anni trascorsi da esiliato non toglieranno forza alla sua instancabile attività: sente che per servire la Chiesa deve scrivere e mettere in atto tutti gli argomenti per diffondere e difendere l’essenziale ed intoccabile verità del cristianesimo, la divino-umanità di Cristo Salvatore. Ciò che conta è confessare il mistero di Cristo che contiene il mistero dell’uomo, a costo della vita. Morì finalmente ad Alessandria il 2 maggio 373. La sua conoscenza della Scrittura, il suo talento di controversia e la profondità delle sue convinzioni, fonte abbondante di nutrimento spirituale, gli hanno garantito l’ammirazione dei posteri nei secoli e il titolo di dottore della Chiesa. Tra le sue opere la “Vita di sant’Antonio” ebbe larghissima diffusione in tutto il mondo cristiano di ogni epoca.
L’aspetto polemico dei suoi scritti (i vari Contra che troviamo nei titoli) evidenziano la sua preoccupazione, sotto l’invito rivolto a pagani e ad eretici, di non tornare indietro, ora che Cristo ha manifestato una vita nuova, e di vagliare tutto ciò che c’è in giro, di dottrine e di filosofie, del passato o del presente, con la misura di Cristo e la novità che contiene il Vangelo. Dal momento che la verità si è resa presente, che bisogno c’è dell’ombra? I Padri in realtà non fanno polemica, se non quando si tocca l’essenza del cristianesimo, ossia la persona di Cristo, per amore del quale sono pronti a dare la vita. Proprio come fa Atanasio, che in ogni opera afferma sempre la stessa professione di fede nel Verbo-Dio incarnato, all’epoca oscurata dalle eresie. il motivo dell’umanizzazione di Dio è la divinizzazione dell’uomo. La vera novità del cristianesimo alla fine si può riassumere con quelle famose parole atanasiane, così spesso citate: Dio stesso si è fatto uomo, perché noi diventassimo dèi, affinché cioè noi fossimo deificati. Il legame tra l’incarnazione e la divinizzazione presuppone l’affermazione che tra Dio e l’uomo c’è una parentela, che nella creazione è data, che nell’incarnazione è rivelata e che nella divinizzazione è compiuta. In Atanasio la dottrina della divinizzazione riceve la sua formulazione più chiara, nonché un’interpretazione pratica e vitale nella esperienza di Antonio abate e nel suo agire divinizzato. Per Antonio l’eroicità delle virtù non è lo scopo della vita monastica, è solo un mezzo per manifestare com’era l’uomo quando è uscito dalle mani del Creatore. L’ascesi e il combattimento spirituale, come la fedeltà in ogni forma di martirio del corpo e della coscienza, costituiscono una lotta per la vittoria, nell’uomo, del Cristo risorto e del suo amore per gli uomini. Allora si comprende come questa l’esperienza di Antonio, prima ancora che modello di vita monastica, possa essere accolta da tutti come esempio di vita cristiana, di incarnazione della fede e dell’amore. Atanasio si rivolge a tutti i cristiani che confessano Cristo, vero Dio e vero uomo: vivere secondo natura è per l’uomo vivere secondo lo Spirito; la stessa vita morale non è altro che coerenza con lo stato di uomo, creato a immagine somiglianza di Dio.
Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele II, 4
Ringraziamo quell’Unico che realizzò con la sua vita quanto era scritto di lui nella Sacra Scrittura, affinché, quello che non poteva essere compreso con il semplice ascolto, fosse chiarito invece vedendolo. Egli, come si legge nel libro dell’Apocalisse, aprì dunque il libro sigillato che nessuno poteva aprire né leggere, rivelandoci con la sua passione e risurrezione tutti i misteri in esso contenuti. E, presi su di sé i mali della nostra debolezza, ci mostrò i beni della sua potenza e della sua gloria. Infatti si fece carne per rendere noi spirituali, nella sua bontà si abbassò per innalzarci, uscì per farci entrare, apparve visibile per mostrarci le cose invisibili, patì i flagelli per guarirci, sopportò oltraggi e derisioni per liberarci dalla vergogna eterna, morì per ridarci la vita. Lui, che nella sua natura rimane incomprensibile, nella nostra natura ha voluto lasciarsi prendere e flagellare, perché se non avesse preso su di sé ciò che era proprio della nostra debolezza, non avrebbe potuto elevarci alla potenza della sua forza.
Perciò, per fare la sua opera, ha compiuto un’opera straordinaria. Per eseguire il suo proposito ha operato un fatto insolito, perché, essendo Dio, si è incarnato per elevarci fino alla sua giustizia. Per noi si è degnato di farsi percuotere come un uomo peccatore. Fece dunque un’opera insolita, estranea a sé, per compiere l’opera sua: perché per il fatto che soffrendo sostenne i nostri mali, portò noi sue creature alla gloria della sua potenza.