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Santi Filippo e Giacomo. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

da | 3 Mag 2024 | Monasteria

Santi Filippo e Giacomo

Gesù apre il cammino, si costituirà quale cammino e via verso il Padre. Egli cammina con Dio per l’amore, fino al dono della sua vita. Gesù è la Vita, perché è l’unico che la possiede in pienezza e può comunicarla; seguirlo significa percorrere il suo cammino, assimilare la sua vita e morte. Da Gesù che è la vita il discepolo riceve la nuova nascita nello Spirito; ma ciò che in Gesù si trova definitivamente al culmine, il discepolo la va scoprendo sempre di più, in un’acquisizione graduale, per la sua dedizione all’imitazione del Cristo. L’avvicinamento che il discepolo deve compiere è la somiglianza al Padre, la realizzazione del suo essere figlio che va producendo una crescente intimità. Perciò non vi è altro cammino che Gesù, il Figlio unigenito. I discepoli già possiedono una conoscenza di Gesù e pertanto vedono presente in lui il Padre. Non è una conoscenza intellettuale: la familiarità creata dall’amore, si raggiunge attraverso la pratica dell’amore; approfondendo tale comunione, l’uomo si rende sempre più figlio di Dio e conosce progressivamente il Padre. La domanda di Filippo ne denota la mancanza di comprensione: resta arenato nella mentalità della prima alleanza. Non si rende conto che Gesù supera ogni promessa, è la presenza stessa di Dio nel mondo. Gesù gli risponde con un rimprovero: la prolungata convivenza con lui non ne ha ampliato l’orizzonte. Non concepisce che quell’uomo sia Dio. In realtà solo dopo la resurrezione i discepoli comprendono che era Gesù il nuovo santuario dove avito la gloria divina. Gesù, nella risposta, insiste nella totale sintonia con il Padre e si rimette alle sue opere. Chi considera le sue opere, non può non convincersi che esse sono di Dio. L’ultimo argomento è oggettivo: Dio creatore è a favore dell’uomo, sua creatura; se le opere di Gesù sono realizzare a favore dell’uomo, è chiaro che egli è una cosa sola con il Padre. 

Il futuro riserva un lavoro più vasto: Gesù dirà che i discepoli potranno fare lo stesso e anzi, ancora di più di lui! Gesù incoraggia i suoi nel loro cammino e non propone se stesso come meta irraggiungibile. Le sue opere non sono state un lampo fulmineo, ma il principio di una nuova attività a favore degli uomini, che deve essere continuata da quanti aderiscono a lui e vivono della sua vita divina. Spetta ai discepoli continuare questa svolta nella storia impressa da Gesù. In che modo i discepoli potranno compiere opere più grandi di Gesù? Perché egli continuerà ad operare con loro: la sua morte non porrà fine al processo iniziato da lui e non significa nemmeno che è andato altrove, disinteressandosi del mondo. Al contrario: i discepoli non sono soli nel loro lavoro e nel loro cammino. Attraverso Gesù, l’amore del Padre continuerà a manifestarsi nell’aiuto ai discepoli per la loro missione. La formula “in unione con me” indica l’esperienza della comunità, tutti i doni che essa riceve, li riceve da Gesù e tutta la sua comunicazione con il Padre si compie in Gesù, vera scala di Giacobbe che conduce al cielo. Gesù sarà sempre centro e membro della comunità cristiana: ciò che chiederemo uniti a lui, la farà. 

Gregorio Magno, Commento al I libro dei Re 4, 119

Ma colui che era appena arrivato, aveva trovato quello che cercava, senza riconoscerlo. Ecco perché lo stesso Saul dice a Samuele: “Indicami, ti pregò, dov’è la casa del veggente”. Questo è proprio degli uomini grandi, che difficilmente vengano riconosciuti dai più piccoli. Fisicamente sono spregevoli, ma spiritualmente sublimi; desiderano apparire esteriormente di poco conto, ma non cessano di compiere cose degne di venerazione, Ora, quelli che desiderano progredire molto seguendo i loro esempi, li ammirano non solo nell’aspetto esteriore, ma in quello interiore. Vedono ciò che in essi esteriormente può essere disprezzato dalla gente carnale; ma nello stesso tempo considerano, che interiormente gli uomini spirituali devono essere ammirati con grande venerazione. Quando sentono dire che questi sono sublimi per fama, bramano conoscerli nell’altezza della loro condotta, Saul dunque vedeva Samuele secondo l’aspetto storico e non lo conosceva; affinché, ciò che accadeva a loro come esempio, indicasse a noi le realtà spirituali. Essendo noi piccoli, è come se vedessimo gli uomini perfetti, quando sentiamo riferire le loro virtù; ma non conosciamo quelli che vediamo: perché non possiamo conoscere per esperienza, ciò che per sentito dire conserviamo negli occhi del cuore. 

Ora, quando ricerchiamo da essi i segreti del loro comportamento, per imitarlo, è come se chiedessimo dov’è la loro casa. La loro casa è appunto la loro vita. Questa casa voleva conoscere il discepolo di Giovanni, quando chiedeva al Signore: “Maestro, dove abiti?”.
E poiché doveva essere condotto, come uno di casa, ad un rapporto intimo con lui, si sentì rispondere: “Vieni e vedi”. Pur avendola vista, non conosceva questa casa Filippo, al quale dice: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi bai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre”. Anche del Signore sta scritto che parlava a Mosè come un amico col suo amico. Ma lo stesso Mosè, come se vedesse senza conoscere, chiedeva: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrami la tua faccia”. E poiché l’intimità spirituale dei santi non viene manifestata se non ai devoti che supplicano, Saul supplica umilmente che gli venga indicata la casa di Samuele. Anche i santi predicatori, quando sentono dire cose grandi di sé, si umiliano, non si gonfiano. A quelli che lo chiedono, sanno mostrare le cose grandi che devono imitare; in mezzo alle cose grandi che mostrano, sanno non apparire grandi per con superbia.

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