Periodico di informazione religiosa

La festa di S. Benedetto nella culla del monachesimo

by | 21 Mar 2023 | Monasteria

Subiaco. Alla vigilia della festa di San Benedetto, il 20 marzo alle 17.00 il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica presso la chiesa del Sacro Speco. Al termine della celebrazione il cardinale, accompagnato dal Sindaco di Subiaco, Domenico Petrini e da una rappresentanza della città gemellata di Ochsenhausen, insieme alle autorità civili e militari presenti, ha proceduto alla tradizionale cerimonia di incoronazione della statua del Santo, collocata all’interno della grotta.

Una festa, quella del 21 marzo, che commemora il sanctissimi sui obitus, cioè il passaggio del santo monaco all’eternità, come narrato da Gregorio Magno nel II libro dei Dialoghi. In questo ultimo episodio della vita di Benedetto, domina l’impressione di grandezza e di dominio sovrano nel racconto della sua ultima settimana di vita. Ordina di aprire la sua tomba, come se regolasse lo stesso l’arrivo della malattia. Ordina di essere portato nell’oratorio, come se si presentasse a un appuntamento da lui fissato. La morte è preceduta dalla comunione come viatico, munendosi per la partenza con l’eucarestia. Ma il punto culminante e più commovente è l’eroismo con cui Benedetto muore stando in piedi, in preghiera, sostenuto dai suoi discepoli, fino a che gli resta l’ultimo soffio di vita. Muore in piedi imitando uno dei suoi compatrioti, l’imperatore Vespasiano: secondo il racconto di Svetonio, l’imperatore – originario di Norcia da parte di madre – al momento supremo disse che un imperatore doveva morire in piedi e, mentre si sforzava di alzarsi, spirò tra le braccia di quelli che lo sostenevano. Un illustre esempio, certo, ma nell’ultimo istante Gregorio ci mostra Benedetto, come monaco teso tutto verso Dio, che obbedisce fino all’ultimo minuto al all’ordine evangelico di pregare senza stancarsi.

Come novello Mosè, Benedetto è un patriarca, in quanto si è preso cura degli altri come ti se stesso. Come Gesù rese lo spirito stendendo le braccia, anche Benedetto muore in preghiera con le mani tese. E come per Gesù, la fine non è che l’inizio per Benedetto. L’epilogo è significativo: una donna malata di mente viene guarita proprio nello Speco e non sulla tomba di Benedetto. Dalla notte sorge il giorno: la donna è risanata, così come l’anima di questa vagabonda. La grotta di Benedetto è ormai un luogo di guarigione e di teofania. Sembra che Gregorio insinui una domanda al lettore: la tua anima non è forse in questo stato di vagabondaggio e di follia, impossibilitata a trovare la vera pace? La donna diventa simbolo dell’umanità che ha bisogno di essere accolta e guarita da parte di Dio.

Riportiamo integralmente l’omelia pronunciata dal cardinale Piacenza:

«Perché il mondo creda che tu mi hai mandato» [Gn 12,1-9; Sal 1; Ef 4,1-6; Gv 17,20-26]

Questa preghiera del Signore Gesù, riportata nel testo denominato “preghiera sacerdotale”, del Vangelo secondo Giovanni – che abbiamo appena ascoltato – rappresenta l’orizzonte teleologico, il grande scopo, di tutta l’opera bimillenaria della Chiesa. La Chiesa di Cristo esiste esattamente perché il mondo creda che il Padre ha mandato il suo Figlio per la salvezza di molti. In quest’opera bimillenaria, rifulge come perla preziosa, come diamante purissimo, quel gigante che fu San Benedetto, uomo di Dio che: “Brillò su questa terra”, come afferma San Gregorio Magno nei suoi dialoghi. (Dial. II, 36). Quanto abbiamo bisogno, in questo nostro tempo, di uomini che brillino! Quanto abbiamo bisogno di luce, della luce di Cristo, riflessa nella realtà di ogni giorno, per poter ancora continuare a credere, a resistere, a costruire la civiltà dell’amore, in un contesto che appare, da più parti, sempre più disumano e disumanizzante! Al tempo di San Benedetto, tra il quinto e il sesto secolo, il mondo allora conosciuto era sconvolto da una profondissima crisi, sia istituzionale sia culturale e di valori: era il crollo dell’impero romano, con l’invasione di nuovi popoli e una generale decadenza dei costumi. San Benedetto rappresentò, per il suo tempo, “una luce”, che permetteva di intuire la via d’uscita da un momento molto scuro della storia umana. L’attualità del Santo non è certamente venuta meno! Anche oggi, reduci da una pandemia globale e con alle porte dell’Europa, anzi in Europa, una vera e propria guerra, rischiamo di addentrarci – anzi forse già siamo – in una profonda notte oscura. Certamente lo siamo da molto tempo dal punto di vista culturale e valoriale! E allora, ancora oggi, San Benedetto e la sua Regola si rivelano apportatrici di una grande possibilità di rinnovamento, possono essere fermento spirituale perché ancora oggi: “Il mondo creda che tu mi hai mandato”. Spesso si ribadisce che San Benedetto è stato uno dei più autorevoli e determinanti costruttori di quell’idea spirituale e culturale che noi chiamiamo Europa. E mai si sottolineerà abbastanza il fatto che l’Europa non è un insieme di accordi economici, politici o, peggio, militari. L’Europa è una unità spirituale e culturale e, prescindendo da essa, non sarà possibile preservarne l’identità e custodirne la realtà. Ciò non di meno, San Benedetto non ebbe alcuna intenzione di edificare l’Europa: egli semplicemente vuole affermare il primato assoluto di Dio! Dio prima di tutto! E lo affermò prima nella propria esistenza personale, soprattutto nei tre anni passati in eremitaggio, qui a Subiaco; e poi nella vita dei suoi discepoli, con la santa Regola e la fondazione dei suo monasteri. Solo affermando il primato di Dio con tutto se stessi è possibile, nel tempo e con grande pazienza, costruire qualcosa, nella propria vita e nella società! Una società che non riconosca il primato di Dio o che addirittura tenda ad espellere Dio dal mondo, è destinata, irrimediabilmente al tracollo e – Dio non voglia – all’estinzione. Qui a Subiaco San Benedetto visse per tre anni completamente solo nella grotta che costituisce il “cuore” di questo Sacro Speco. La solitudine con Dio è, per San Benedetto e per tutti noi, sempre un tempo di maturazione. Egli vinse qui, lottando eroicamente contro se stesso, le tentazioni dell’autoaffermazione, del desiderio di porre se stesso al centro, dell’istintività e della vendetta. Come è attuale e moderna l’esperienza di Benedetto! Quanto abbiamo oggi bisogno tutti di vincere queste tre costanti tentazioni dell’animo umano. La tentazione dell’antropocentrismo, che fa ripiegare l’uomo talmente su se stesso, da renderlo incapace di vedere altro da sé, di riconoscere la realtà, di riconoscere gli altri intorno a sé; la tentazione dell’istintività, che soffoca l’autentica libertà umana, impedendo addirittura all’uomo di utilizzare la facoltà più nobile che Dio gli ha dato: la ragione, unita alla libertà e alla volontà; la tentazione della vendetta, che inquina costantemente i rapporti umani, sia a livello personale che a livello sociale, e addirittura nelle relazioni tra le nazioni, come la guerra in atto drammaticamente dimostra. È urgente e necessario recuperare, anche e soprattutto guardando l’esperienza di San Benedetto, quell’aureo dominio di sé, nobile eredità della cultura classica, e ripreso ed approfondito dal cristianesimo, fondandolo sul rapporto con Cristo e sulla indispensabile grazia soprannaturale che da Cristo scaturisce. Vogliamo davvero continuare a distruggere noi stessi e la società, con questa terribile auto-centratura, che esclude Dio dal mondo? Che porta alla universale rovina? Vogliamo davvero proseguire in questa strada senza uscita? Siamo davvero convinti che concentrandoci solo su noi stessi ed escludendo Dio, costruiremo qualcosa di buono?  “Perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. In San Benedetto, soprattutto nella sua Regola, troviamo uno straordinario equilibrio tra il personale cammino di conversione e di vittoria su se stessi, e l’elemento comunitario e sociale di questo cammino. La regola di San Benedetto rappresenta, da questo punto di vista, ancora oggi, un chiarissimo esempio di traduzione sociale e pubblica del cammino personale. Ciò che ciascuno compie personalmente, può anche diventare cammino comune, in una reciprocità, che oggi noi chiameremo “sussidiarietà”, tra il soggetto singolo e la comunità, tra la persona e la comunità in cui essa vive; e tale reciprocità si rivela imprescindibile nel vivere sociale: non c’è società senza attenzione e rispetto per il singolo e non c’è maturazione e crescita della persona senza una società sana. Non è un mistero, d’altronde, che perfino molte aziende di livello internazionale e di grande impatto economico, si ispirino a San Benedetto e alla sua Regola per imparare a gestire i rapporti all’interno della medesima istituzione, e, in essa, le relazioni gerarchiche. San Benedetto è – e rimane – ancora dopo tanti secoli, straordinario maestro di leadership  e costruttore di comunità. Egli insegna che l’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (cf. Regola 2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi e nel contempo chiamato ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (Ivi 27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (Ivi 64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (Ivi 2,12). Quanto descritto per l’Abate, vale oggi, con straordinaria attualità, per ogni autorità, sia ecclesiastica sia civile, che, nell’esercizio del compito assegnato dalla divina Provvidenza, voglia davvero contribuire al bene comune ed alla dilatazione del Regno di Dio. Addirittura, quando la Regola afferma che l’Abate deve ascoltare “il consiglio dei fratelli” (3,2), ne vediamo tutta la sorprendente modernità anche in questo nostro tempo ecclesiale, segnato dal tema della sinodalità. Un uomo posto in responsabilità pubblica, anche in piccoli ambiti, deve sempre essere capace di ascoltare e, soprattutto, di imparare da quanto ascolta. “Perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. È questa la grandezza di San Benedetto, è questa la ragione per cui noi, dopo 14 secoli, siamo ancora qui a celebrare questo gigante della santità cristiana e della storia e della civiltà umane! Da San Benedetto è scaturito il vero recupero della classicità greca e latina, è fiorito l’amore del bello nelle arti e nella musica; la liturgia ha assunto quel nobile splendore che le è proprio, nella sobrietà del rito latino. San Benedetto ci mostra come la conversione di un solo uomo, possa determinare un cambiamento epocale, al quale guardiamo con commossa e grata ammirazione. Concludo implorando dalla Beata Vergine Maria, primo fermento della fede del mondo, poiché perfetta era la fede di Maria, una rinnovata fioritura della vita monastica nella Chiesa. Talvolta si pensa, erroneamente soggiogati da una mentalità utilitaristica e funzionalistica, che i monaci e le monache servano a poco, perché “non fanno nulla”. In realtà essi fanno ciò che di più essenziale ci sia nella vita della Chiesa e del mondo: tengono le mani alzate verso il cielo, e mantengono il mondo aperto verso Dio! Preghiamo per l’autenticità della vita monastica, certi che i monaci e le monache pregano per noi e per la società intera, fasciandola nella orazione con la divina ufficiatura e con le buone opere. Imploriamo dal Signore e dalla Vergine Madre, una rinnovata fioritura della vita monastica per l’Italia e per l’Europa, perché solo attraverso il rinnovarsi del primato di Dio, potranno rinnovarsi questo nostro mondo e questa nostra società! “Perché il mondo creda che tu mi hai mandato”.

San BenedettoBenedetto San Benedetto

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