Periodico di informazione religiosa

DIO OLTRE LE IDEE DI GENITORIALITÀ UMANE

by | 25 Lug 2023 | Teologia

Invero Dio, il “totalmente Altro”, trascende e va oltre il riferimento della distinzione umana dei sessi e, di conseguenza, delle idee di genitorialità che si riferiscono alla paternità e alla maternità. Questa considerazione è confermata, dottrinalmente, dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Una verità riconosciuta fin dagli antichi Concili, come, ad esempio, l’XI di Toledo svolto nella seconda metà del VII secolo che, prendendo le distanze sia dal monoteismo patriarcale, sia dal panteismo matriarcale, stabilì che il Figlio fosse generato e messo al mondo de utero patris.

Siamo abituati a riferirci a Dio con l’appellativo di Padre, ma il Catechismo sottolinea come Dio sia spesso rappresentato con immagini femminili, nonostante ciò non è corretto e anche riduttivo pensare a Dio Padre come un uomo o una donna.

«Chiamando Dio con il nome di “Padre”, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti:Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli.Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità.Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, pur essendone l’origine e il modello: nessuno è padre quanto Dio» (CCC, 239).

L’immagine materna di Dio viene presentata spesso nella Sacra Scrittura e nella tradizione mistica. A tal proposito, Il teologo e biblista Gianfranco Ravasi in un’intervista dichiarò: “Almeno 60 aggettivi di Dio nella Bibbia sono al femminile: esiste chiara una maternità di Dio e più di 260 volte si parla di viscere materne del Signore” (intervista rilasciata dal card. Ravasi a Lucia Bellaspiga e pubblicata su Avvenire il 29/12/2005).

A partire poi da Giovanni Paolo I, tutti i papi hanno richiamato in maniera esplicita l’idea della maternità di Dio, ma per comprendere meglio questo aspetto della realtà di Dio, risulta essere particolarmente interessante quanto detto soprattutto da Benedetto XVI.

Ratzinger, ad esempio, nel testo Dio e il mondo del 2001, riafferma il contenuto del Catechismo e sottolinea come la paternità di Dio è da cercare non tanto nella distinzione tra i sessi, quanto piuttosto sul piano spirituale:

«Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui.

Tanto per incominciare dobbiamo dire che, se è vero che effettivamente la Bibbia ricorre nell’invocazione delle preghiere all’immagine paterna, non a quella materna, è altrettanto vero che nelle belle metafore di Dio gli attribuisce anche caratteristiche femminili. Quando ad esempio si parla della pietà di Dio, non si ricorre al termine astratto di pietà, appunto, ma a un termine gravido di corporeità, rachamim, il grembo materno di Dio, che simboleggia appunto la pietà. Grazie a questa parola viene visualizzata la maternità di Dio anche nel suo significato spirituale. Tutti i termini simbolici riferiti a Dio concorrono a ricomporre un mosaico grazie al quale la Bibbia mette in chiaro la provenienza da Dio di uomo e donna. Ha creato entrambi. Entrambi sono conseguentemente racchiusi in lui – e tuttavia lui è al di là di entrambi».

Successivamente, nel suo libro Gesù di Nazaret del 2007, nel capitolo dedicato al Padre Nostro, papa Benedetto XVI si pone direttamente la domanda “Dio è anche madre?”. Egli estende così la trattazione già richiamata sul tema. Ricorda che la Bibbia confronta l’amore di Dio con l’amore di una madre ma sottolinea anche che mai, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, Dio è chiamato madre. Madre è nella Bibbia un’immagine di Dio, non un suo titolo. Ratzinger ricorda che Gesù ha insegnato a chiamare Dio Padre, e afferma che l’insegnamento delle Scritture, piuttosto che la personale interpretazione, dovrebbe essere la guida della preghiera del credente.

L’opinione di papa Benedetto XVI sul tema della maternità di Dio si ricollega, dunque, ad una preoccupazione manifestata più volte circa alcune affermazioni che possono dare origine ad interpretazioni poco ortodosse del Vangelo, attribuendo a Dio un ruolo molto diverso da quello presentato dalla Bibbia e dalla tradizione cristiana.

Nel 1984 quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un’intervista rilasciata a Vittorio Messori, egli espresse così la sua preoccupazione:

«Il Cristianesimo non è nostro, è la Rivelazione di Dio, è un messaggio che ci è stato consegnato e che non abbiamo il diritto di ricostruire a piacimento. Dunque, non siamo autorizzati a trasformare il Padre nostro in una Madre nostra: il simbolismo usato da Gesù è irreversibile, è fondato sulla stessa relazione uomo-Dio che è venuto a rivelarci. […] Sono infatti convinto che ciò cui porta il femminismo nella sua forma radicale non è più il Cristianesimo che conosciamo, è una religione diversa».

Dio, evidentemente, nell’orizzonte della nostra comprensibilità, si è fatto anche madre per manifestare il suo prendersi cura dell’umanità. È questo un tratto significativo della pedagogia divina, senza il quale anche il già richiamato concetto di misericordia rimarrebbe non pienamente accessibile. È particolarmente significativo come anche la rappresentazione artistica della figura di Dio abbia esplicitato questa consapevolezza; nella meravigliosa caratterizzazione del Padre misericordioso offertaci da Rembrandt nella celebre tela de Il ritorno del figliol prodigo è noto come, osservando le mani del Padre, ci si può accorgere che non sono uguali: una è forte e maschile e l’altra, che appare più delicata, è femminile. Ma le nostre categorie non sono le categorie di Dio.

In questo caso, l’unica strada percorribile dal pensiero per cercare di cogliere questi tratti della realtà divina è quella della cosiddetta teologia apofatica o negativa, secondo la quale la comprensione della natura di Dio non può essere espressa pienamente a parole.

Il IV Concilio Lateranense (1215) ha dichiarato esplicitamente che, per quanto grande possa essere la somiglianza constatata tra il Creatore e la creatura, sempre più grande è tra di loro la dissomiglianza. Noi infatti, come ci ricorda San Paolo, per il momento e nella nostra attuale condizione, conosciamo in parte, come attraverso uno specchio, solo successivamente avremo la possibilità di conoscere pienamente e di guardare faccia a faccia Dio (cfr. 1Cor 13,12).

L’esperienza umana, ci ricorda il fenomenologo della religione Rudolf Otto, coglie Dio come un misterium tremendum et fascinans, “un’oscura profondità che si sottrae, non al nostro sentimento, ma ai nostri concetti”, quindi, bisogna esser molto cauti nel procedere con il lavoro ermeneutico nel campo teologico, evitando di farsi condizionare troppo dalla cultura del momento e dalle mode passeggere, forzando la mano nel cercare di tradurre attraverso concetti più “accettabili” ciò che il sentimento intuisce nella convinzione più profonda del cuore.

È evidente che la risposta alla domanda se crediamo davvero che Dio ritenga che gli esseri umani maschi portino la sua immagine in modo più completo e accurato rispetto alle donne sia un netto no, difatti, troviamo scritto nel racconto della creazione:

E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” (Gn 1,26-27),

ma Gesù ha manifestato il volto di Dio come Padre che, attraverso il dono dello Spirito rende figli anche noi e ci permette di chiamarlo “Abbà, Padre” (cfr. Rm 8,15); come già detto, questo è il titolo che spetta al Dio della rivelazione cristiana, a prescindere dalla nostra personale esperienza. D’altro canto, non sempre la varietà dei modi di descrivere e di rivolgersi a Dio nella Bibbia collima sempre appieno con la nostra sensibilità attuale.

Lo stesso Benedetto XVI consapevole di ciò, in occasione del suo ciclo di catechesi sul Credo, nell’udienza generale del 30 gennaio 2013, proponendo una meditazione sulla prima informazione che il Simbolo della Fede ci offre su Dio, ebbe a dire:

«Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli… La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento… Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre».

Evidentemente in questo quadro non ottimistico, lo stesso si potrebbe dire in riferimento alla figura materna e, infatti, sottolinea sempre il Pontefice, la Sacra Scrittura (come d’altronde, dottrinalmente, il Catechismo) non ignora queste difficoltà che non sono esclusive dei nostri tempi ma aiuta a superarle, presentandoci Dio come colui che, per infinito e onnipotente amore, sa andare oltre.

«Chi di voi, – dice Gesù cercando di spiegare ai discepoli in che senso Dio è “il” Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (Mt 7,9-11; cfr. Lc 11,11-13).

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is, 49,15).

rembrant mani

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