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L’ACCUSA DI STREGONERIA. APPROSSIMARSI ALLA VERITÀ DI UN FENOMENO CONTROVERSO

by | 18 Lug 2023 | Filosofia

La narrazione del fenomeno passato alla storia come “caccia alle streghe“, verificatosi soprattutto in epoca moderna (più o meno tra la seconda metà del ‘400 fino alla seconda metà del ‘700), risente spesso di forti accenti ideologici, pregiudizi e luoghi comuni che non permettono di cogliere la complessità che caratterizza l’accusa di stregoneria che ne è alla base. È dunque importante cercare di approssimarsi alla verità di un fenomeno così controverso, cercando di recuperare varie sfaccettature storiche, culturali e sociali che possono concorrere a rendere accessibile la comprensione di una certa visione del mondo, ormai distante da quella attuale, nella quale si colloca quanto accaduto.

Fondamentale è tentare di rilevare le motivazioni di contesto che suscitano la categoria culturale di “strega”, nonché lo status sociale della donna e gli elementi scatenanti in passato l’attenzione su queste da parte dell’ordine costituito. Provare a spiegare e non a giudicare, attraverso l’osservazione basata sull’analisi e sull’interpretazione delle fonti e delle testimonianze.

Nella Chiesa della Controriforma, trascorsa la fase della lotta contro l’eresia dei focolai eterodossi, il modo di procedere degli inquisitori e la loro funzione mutarono profondamente. A partire dagli anni ’80 del XVI secolo, i verbali dei processi si affollarono delle deposizioni di uomini e donne accusati di credenze magiche, pratiche superstiziose e stregoneria, falsi santi, sodomiti, confessori che avevano abusato delle penitenti e circostanze simili.

Davanti a questi problemi cambiò anche l’atteggiamento degli inquisitori: posti di fronte non più alla minaccia mortale per l’Istituzione rappresentata dall’eresia, ma alla miriade di deviazioni, trasgressioni e disobbedienze, anche le più diffuse e banali, che provenivano dal corpo sociale, i giudici dovettero intervenire con rinnovati atteggiamenti caratterizzati da maggiore duttilità.

Prendendo in esame molteplici fonti storiche emerge come, nella maggior parte dei casi, l’accusa di stregoneria veniva mossa nei confronti di donne ritenute “difettive” e accomunate da alcune caratteristiche: anzianità, vedovanza o nubilato (le donne non spostate erano più facilmente attaccabili), povertà, mestiere di ostetriche e di levatrici o, comunque, pratiche dell’arte di medicare con erbe e affini. Ma perché queste accuse riguardano soprattutto il genere femminile? Tra i tanti nessi causali, uno dei tratti che salta meno all’occhio, è il legame di queste vicende con le considerazioni della scienza medica ippocratica ancora in voga in quel tempo.

L’antico pregiudizio sulle donne considerate uomini imperfetti trova fondamento, infatti, anche nella “teoria umorale” concepita da Ippocrate di Kos e che rappresenta il più remoto tentativo, nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica dell’insorgenza delle malattie, tentando di superare la concezione superstiziosa, magica o religiosa.

Nel VI secolo a.C. Anassimene di Mileto aveva introdotto nel pensiero greco la teoria dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua, fuoco e terra) che costituiscono la realtà. Un secolo più tardi Empedocle diede corpo a questa teoria, sostenendo che la realtà che ci circonda, caratterizzata dalla mutevolezza, è composta da elementi immutabili, da lui nominati “radici”. Ogni radice possiede una coppia di attributi: il fuoco è caldo e secco; l’acqua fredda e umida; la terra fredda e secca; l’aria calda e umida.

Ippocrate tentò di applicare tale teoria alla natura umana, definendo l’esistenza di quattro umori base, ovvero: bile nera, bile gialla, flegma e sangue. La terra corrisponderebbe alla bile nera (o atrabile, in greco melàine chole) che ha sede nella milza, il fuoco alla bile gialla (detta anche collera) che ha sede nel fegato, l’acqua alla flemma (o flegma) che ha sede nella testa, l’aria al sangue la cui sede è il cuore. A questi corrispondono quattro temperamenti (sanguigno, collerico, melanconico, flemmatico), quattro qualità elementari (freddo, caldo, secco, umido), quattro stagioni (primavera, estate, autunno e inverno) e quattro fasi della vita (infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia). Il buon funzionamento dell’organismo dipenderebbe dall’equilibrio degli elementi, definito eucrasia, mentre il prevalere dell’uno o dell’altro causerebbe la malattia, ovvero discrasia.

Dalla lettura dei testi ippocratici si evince chiaramente come il corpo della donna rappresenti un’alterità rispetto a quello dell’uomo, sul cui modello sono totalmente costruite l’anatomia e la fisiologia. La donna ha carni molli e spugnose, che assorbono gli umori prodotti dal cibo in quantità maggiore rispetto al suo fabbisogno. Quest’accumulo di umori rende il corpo della donna caldo e umido e deve essere evacuato periodicamente attraverso le mestruazioni. Le carni dell’uomo, invece, sono compatte e asciutte, il suo corpo è meno caldo ed espelle l’eccesso umorale mediante le fatiche della vita quotidiana.

In base a questi presupposti, si riteneva che un meccanismo in grado di equilibrare gli umori fosse presente negli uomini ma assente nelle donne. Nelle giovani, attraverso il flusso mestruale l’equilibrio veniva raggiunto ugualmente, nella donna anziana, però, gli umori in eccesso trovavano via di uscita dagli occhi producendo, in alcuni casi, il cosiddetto “malocchio”, frutto oltretutto dell’invidia che la donna meno fortunata e in condizione di inferiorità sociale (anche a causa dell’età avanzata), nutriva nei confronti degli altri. Nonostante si cercasse di riferirsi ad una certa spiegazione naturale dei fenomeni, era sempre l’idea di causa soprannaturale legata alla cultura folclorica a prevalere.

Le accuse di stregoneria, d’altro canto, colpivano proprio coloro che rifiutavano di adeguarsi alle più basilari regole di convivenza, insultando gli altri e dimostrandosi astiosi e iracondi. Era un circolo vizioso che perseguiva un obiettivo preciso: dare forma alla società e alle relazioni, stigmatizzando alcuni comportamenti e favorendone altri.

Se a questo affianchiamo la convinzione che la donna fosse responsabile della caduta del genere umano con il peccato originale e, pertanto, particolarmente affine al contesto demoniaco, e che il suo ruolo fosse soprattutto legato alla capacità di procreare e, dunque, legato alla sfera della sessualità (ritenuta spesso perniciosa), ecco allora come tale fondamento teorico giustificherebbe il fatto che la stregoneria fosse soprattutto associata alle donne, le quali in alcuni casi, addirittura, si autoaccusavano. Sovente le confessioni erano estorte con la tortura e così risultavano alquanto forzate, ma in molti casi non era necessario ricorrere a tali pratiche per ottenerle.

La donna emarginata, in fondo, per mezzo dell’accusa, arrivava a ottenere una sorta di identità e un ruolo nella comunità, magari anche alla luce del riconoscimento delle sue responsabilità legate alle competenze medico-popolari che la vedevano assistere e aiutare nel momento delicato della nascita dei bambini o essere protagonista nella cura di malattie con rimedi naturali “miracolosi”; circostanze queste che, per le loro peculiarità, risultavano essere circondate da un alone di mistero, ovvero di profonda ignoranza e, pertanto, da svariate e diffuse superstizioni.

Si tenga conto che, la discriminazione di cui si era vittime, innescava inconsapevolmente dei meccanismi psicologici che sfociavano a volte nell’autoaccusa e, la spiccata vis immaginativa (in alcuni casi anche autoindotta inconsapevolmente), giocava un ruolo di primo piano.

Elemento comune alle deposizioni delle donne ree di stregoneria era, ad esempio, la partecipazione al Sabba, scenario leggendario richiamato dai diversi trattati demonologici dell’epoca e diffuso nelle credenze popolari. La notte prima di dormire la donna si ungeva con una pomata e resa capace di volare arrivava in campagna dove c’erano altre donne e demoni; lì si partecipava a delle feste, a lauti pasti e a delle orge congiungendosi con lo stesso Satana, signore del male.

L’analisi di questa circostanza, in particolare, offre l’interessante opportunità di individuare un fattore causale plausibile, capace di giustificare i deliri allucinatori correlati ai processi di stregoneria. È verosimile che nei cibi e in alcuni unguenti, senza saperlo, fossero presenti funghi con effetti allucinogeni spesso prodotti dalla segale (detta cornuta in tal caso) che era la base per il pane usato dai poveri di quel tempo. Nelle allucinazioni “demoniache”, quindi, si sognavano banchetti, in quanto si era affamati, e orge, poiché non si avevano più da tempo rapporti sessuali. Molti casi possono essere così in qualche modo compresi, smascherando l’interpretazione di quei fenomeni, oggi qualificabili in un certo modo e che, all’epoca, erano espressione di una concezione mistico-religiosa piuttosto che razionale-scientifica.

I fatti richiamati mettono in evidenza come, da sempre, il potere si adegui alla visione del mondo, che si modifica anche grazie al progredire del sapere e delle scoperte scientifiche. L’Inquisizione, ma anche le istituzioni laiche, espressione dell’ordine costituito del tempo, da questo punto di vista non fanno eccezione, incarnando appieno il concetto di “dispositivo di potere” teorizzato da Michel Foucault per descrivere alcuni aspetti con cui l’articolazione potere-sapere agisce e si riproduce tramite quello strumento con il quale interviene strategicamente nei rapporti di forza per orientare, bloccare, servirsi a suo vantaggio delle strutture sociali che vengono così influenzate dagli effetti pratici di un discorso, di una tecnica, di una ideologia.

Immagine: Luis Ricardo Falero, Le streghe al sabba (particolare) – Olio su legno di pioppo, 145,4 × 117,5 cm, 1878 – Collezione privata, Monza

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