Periodico di informazione religiosa

Lunedì della III domenica di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 15 Apr 2024 | Monasteria

Lunedì della III domenica di Pasqua

Stefano è uno dei sette diaconi scelti per servire alle mense per le vedove degli ellenisti. e per affiancare gli apostoli anche nel servizio della parola. D’altra parte chiunque ha fatto esperienza di Gesù è inviato da lui ad annunciare ciò che il Signore ha fatto per lui. Stefano è il primo nel quale si compie il mistero del Figlio: dare la vita per i fratelli. In questo precede persino gli stessi apostoli! Siamo al cuore del Vangelo: essere testimoni dell’amore del Figlio, come il Figlio è testimone dell’amore del Padre. Nel suo processo e nella sua uccisione si riproduce e continua la vicenda di Gesù. A Stefano capita infatti quello che Gesù diceva nell’ultimo discorso: “Quando sarete accusati, non preoccupatevi di cosa dire e come parlerete, sarà lo Spirito a parlare in voi e vi darà una sapienza alla quale nessuno potrà resistere”(Lc 21,15). I suoi avversari si mettono a disputare e invece Stefano parla con la sapienza dello Spirito. La sapienza dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e libertà; è vedere la realtà con gli occhi di Dio; mentre nel litigare e nel disputare non interessa la verità, interessa semplicemente prevalere sull’altro. Di solito, per avere ragione, quando non si riesce a farlo con la discussione, si comincia a istigare altri e a diffondere menzogne. Esattamente come hanno fatto con Gesù. Stefano, a poco a poco, comincia essere uguale al suo maestro, tanto che il suo volto diventa come il volto di un angelo. Il suo volto appare trasfigurato, come il volto di Cristo sul Tabor che annunziava l’imminente passione. Stefano, che si prepara a partecipare alla passione, partecipa già alla gloria in questa vita, alla forza della risurrezione, alla forza dell’amore che ci fa affrontare anche le difficoltà. Stefano sceglie il martirio, sceglie di dare la più bella testimonianza, che è la propria vita. È veramente come un angelo.

Gregorio Magno, Dialoghi III, 31

GREGORIO. Poco tempo fa più persone venute dalla Spagna mi hanno informato che il re Ermenegildo, figlio di Leovigildo re dei Visigoti, si era convertito dall’eresia ariana alla fede cattolica, grazie all’istruzione che gli aveva impartito il vescovo spagnolo Leandro, da lungo tempo mio intimo amico. Il padre, che era ariano, cercò di ricondurlo all’eresia sia allettandolo con promesse sia spaventandolo con minacce. Ma quello fermamente rispose che, una volta conosciuta la vera fede, non la poteva abbandonare, così che il padre, adirato, lo privò del regno e lo spogliò di tutti i beni. Poiché neppure in questo modo
riuscì a scuotere la forza d’animo, lo fece rinchiudere in un’angusta prigione, incatenando collo e mani. Allora il giovane Ermenegildo, in ceppi e come rivestito di cilicio, sollecitato dal disprezzo del regno terreno e dall’aspirazione al regno celeste, si dette a pregare per cercare conforto in Dio onnipotente, e tanto più disprezzava la gloria effimera del mondo quanto più si era convinto che, carico com’era di catene, non aveva più nulla che potesse essergli tolto.

Sopraggiunto il giorno di Pasqua, nel cuore della notte il perfido padre gli inviò un vescovo ariano, affinché ricevesse la comunione consacrata da mano sacrilega e in questo modo potesse rientrare in favore presso il padre. Ma quello, che si era donato a Dio, rimproverò, com’era doveroso, il vescovo ariano che era venuto da lui e respinse la sua perfidia con parole di sdegno: anche se esteriormente giaceva a terra incatenato, interiormente la sua anima si ergeva in piena sicurezza. Quando il vescovo tornò dal re, questi dette in escandescenze, e subito mandò i suoi subalterni con l’ordine di uccidere l’intrepido confessore di Dio, là dove giaceva. Così fu fatto. Appena entrati, lo colpirono in testa con una scure e gli tolsero la vita dal corpo: cioè, poterono uccidere in lui ciò che, colui che fu ucciso, aveva disprezzato dentro di sé con tutta evidenza.

Ma per rendere manifesta la sua vera gloria non mancarono prodigi celesti. Nel silenzio della notte si udì il canto di una salmodia presso il corpo del re morto, veramente re in quanto martire. Alcuni hanno anche detto che colà di notte si vedeva la luce di lampade accese. Ne è conseguito che il corpo di Ermenegildo, in quanto martire, è stato ben a ragione venerato da tutti i fedeli. Il padre perfido e omicida si pentì e si dolse di aver agito in questo modo e ridotto in fin di vita, raccomandò al vescovo Leandro, che prima aveva duramente angariato, il re Reccaredo suo figlio, partecipe anche lui della stessa eresia, invitandolo a fare per lui quello che col suo insegnamento aveva ottenuto dal fratello. Fatta questa raccomandazione, spirò. Dopo la sua morte il re Reccaredo seguì l’esempio non del padre eretico ma del fratello martire, si convertì dall’errore dell’eresia ariana e indirizzò alla vera fede tutto il popolo dei Visigoti. Non permise perciò di prestare servizio nel suo regno a chi per causa dell’eresia non provasse timore a essere nemico del regno di Dio.

Né ci dobbiamo meravigliare se è diventato annunciatore della vera fede chi è stato fratello di un martire. Questi, infatti, in virtù dei suoi meriti aiuta il fratello nell’opera di condurre tanti nel seno di Dio onnipotente. Perciò dobbiamo intendere che tutto questo non sarebbe accaduto se il re Ermenegildo non fosse morto per la verità. Infatti sta scritto: “Se il chicco di frumento, caduto a terra, non muore, resta esso solo; se invece muore, porta molto frutto”; e noi vediamo che ciò che è accaduto al capo, si realizza anche nelle membra. Uno soltanto è morto dei Visigoti, affinché molti vivessero; è caduto un solo grano per conservare fedelmente la fede, ed è cresciuta una gran messe di anime.

PIETRO. È stata veramente una cosa meravigliosa, stupenda, ed è accaduta ai nostri giorni.

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