Martedì della IV settimana di Pasqua
Già con le conversioni di Cornelio e con l’eunuco Dio aveva aperto una strada all’inclusione dei pagani, ma l’iniziativa in questi casi era venuta dei pagani stessi. Ora una nuova tappa parte da Antiochia: qui gli ebrei credenti in Gesù annunciano la prima volta il Vangelo ai pagani. L’amore che spinse Gesù, che ha dato la vita per i peccatori, non solo per quelli del suo popolo, ma per il mondo intero, spinge ora questi semplici credenti – non apostoli, non discepoli, ma anonimi e semplici credenti perseguitati – ad annunciare la buona notizia ai pagani. Se a Gerusalemme è venuto alla luce, con la resurrezione, il capo della Chiesa, ad Antiochia viene alla luce il corpo di Cristo, che abbraccia tutti gli uomini della terra. Proprio ad Antiochia per la prima volta i credenti in Gesù sono chiamati cristiani. È una svolta: si può dire che il cristianesimo viene alla luce ad Antiochia. Essere nominato, infatti, significa essere chiamato alla propria funzione e per la prima volta i discepoli di Gesù assumono la funzione di cristiani. Ad Antiochia per la prima volta si concepisce il cristianesimo come la libertà dei figli di Dio aperta a tutti gli uomini, come salvezza di tutte le genti in Cristo, fino agli estremi confini della terra. II cristiano ha capito che Dio è Padre di tutti e gli altri sono suoi fratelli: chi discrimina non accetta che Dio possa essere il Padre di tutti. Possiamo diventare molto esperti di questioni spirituali, senza diventare veramente persone spirituali.
Cominciamo a diventare cristiani, solo quando apriamo il cuore alla voce di Dio, quando ci preoccupiamo di comunicare l’amore del Padre a chi ci sta vicino e a chi è lontano, senza escludere nessuno.
Gregorio Magno, Lettera ad Anastasio, vescovo di Antiochia
Gregorio ad Anastasio, vescovo di Antiochia. Ho ricevuto la lettera della dolcissima beatitudine vostra, che invece di parole faceva piovere lacrime… È bene che la vostra santità ricordi sempre, come già fa, ciò che dice il predicatore delle genti: “Negli ultimi tempi giungeranno tempi difficili e vi saranno uomini amanti di sé, avidi, superbi” (2 Tm 3, I-2), e il resto, che mi è penoso dire e che non è necessario che voi ascoltiate. Ecco, nella santa vecchiaia, la vostra beatitudine patisce a motivo di molteplici tribolazioni. Ma consideri quale sede occupa. Non forse quella di Pietro, di colui al quale la voce della verità disse: “Quando sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18)? Dicendo questo mi ricordo che la vostra santità ha sudato in molte avversità fin dalla giovinezza. Dica dunque con il buon re: “Ripenserò a tutti i miei anni con l’amarezza dell’anima mia” (Is 38, 15). Vi sono molti che, come scrivete, si rallegrano delle nostre ferite, ma noi conosciamo chi ha detto: “Voi gemerete e piangerete; mentre il mondo godrà, voi sarete nella tristezza”; e subito aggiunge: “Ma la vostra tristezza si cambierà in gioia” (Gv 16,20). Poiché già sopportiamo quello che è stato preannunciato, non ci resta altro compito che sperare nei beni promessi …
La dolcissima santità vostra mi fa sapere che, se fosse possibile, vorrebbe parlare con me senza ricorrere a carta e penna e si rattrista della distanza che vi è fra noi, quasi l’intero spazio tra Oriente e Occidente. Ma io dico ciò che sento esser vero: anche con la carta il vostro cuore mi parla senza carta; non siamo divisi dallo spazio, perché, per dono di Dio, siamo una sola cosa nel vincolo dell’amore. Perché andate in cerca delle penne della colomba argentata (cf. Sal 67 [68], 14)? Già la possedete. Le penne della colomba sono l’amore di Dio e del prossimo. Con esse la santa chiesa vola, si libra al di sopra di tutto ciò che è terreno. Se la vostra santità non le possedesse, non sarebbe giunto fino a me con tanto amore attraverso una lettera.