Periodico di informazione religiosa

Papa Francesco e la diplomazia della cultura

by | 21 Apr 2024 | Cronaca

“Diplomazia della cultura”. Così Papa Francesco ha sintetizzato la missione del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che il 7 aprile scorso ha celebrato il 70° anniversario dell’istituzione da parte di Papa Pio XII e ora celebra la pubblicazione del 70° volume della prestigiosa Collana «Atti e Documenti». I membri del Pontificio Comitato, del quale il Santo Padre ha elogiato la dimensione internazionale e il carattere pluridisciplinare, sono stati ricevuti in udienza nella mattina di sabato 20 aprile. Il Comitato è inserito da lungo tempo nel dialogo e nella cooperazione con istituzioni culturali e università di numerose nazioni e, nell’incontro e nella collaborazione con ricercatori di ogni cultura e religione, offre un significativo contributo al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Una vera diplomazia culturale, che porta avanti un “approccio arricchente, fatto di ascolto costante e attento, libero da ogni ideologia – le ideologie uccidono – e rispettoso della verità“, ha affermato Papa Francesco nel suo discorso. Questo stile della diplomazia della cultura “è molto attuale, e oggi tanto più necessaria nel contesto del pericoloso conflitto globale a pezzi in atto, al quale non possiamo assistere inerti“. L’esperienza di questo Dicastero è quella di trovarsi a confronto con le vicende della Chiesa che cammina nel tempo, le cui ricerche hanno lo scopo “di offrire un’apertura verso la riconciliazione dei fratelli, la guarigione delle ferite, la reintegrazione dell’amici di ieri nel concerto delle nazioni, come se però fare, dopo la seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa unita“, aveva affermato nel discorso per il 60° anniversario del Comitato. Ancora prima che l’Europa fosse unita a livello economico e politico, è stata la cultura a unire tutti i paesi europei, attraverso le arti, la letteratura e la musica. Gli europei condividono un comune retaggio culturale, prodotto da secoli di creatività, flussi migratori e scambi continui, che ha influenzato e influenza molti paesi in tutto il mondo. L’Europa è una cultura o non è.

La cultura storica è necessaria ed appartiene alla stessa vita cattolica“. Erano le parole di San Paolo VI pronunciate il 26 settembre 1963 agli archivisti ecclesiastici. Cultura, però, è un termine onnicomprensivo; cultura è tutto, tanto che ogni fenomeno può essere inteso in termini culturali da declinare secondo il diverso quadro di riferimento, sia quello umanistico, storico, filosofico, scientifico o artistico. Nella sua missione pastorale la Chiesa ha sempre incoraggiato con il suo mecenatismo la produzione di beni culturali, ma sempre in ordine al culto e alla evangelizzazione. Pensiamo all’istituzione di biblioteche, in rapporto alla formazione, alla catechesi e al dialogo col mondo; pensiamo ai documenti d’archivio, che sono stati il tessuto connettivo della vita della Chiesa nelle sue varie manifestazioni. Sono proprio tali documenti storici a toccare l’essenza della Chiesa, la sua vita e le sue opere, come aveva ben sottolineato Paolo VI nel 1965 rivolgendosi agli archivisti ecclesiastici: “È il Cristo che opera nel tempo e che scrive, proprio lui, la sua storia, si che i nostri brani di carta sono echi di questo passaggio della Chiesa, anzi il passaggio del Signore Gesù nel mondo. Ed ecco che, allora, I’avere il culto di queste carte, dei documenti, degli archivi, vuol dire, di riflesso, avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio di questa fase di transitus Domini nel mondo“. Un archivio storico, a fianco degli altri organismi ecclesiastici, dovrebbe essere un organo vivo del governo vivo della Chiesa e non semplicemente un giacimento culturale, come potrebbe essere un museo. È negli archivi che si fa la storia, sono gli archivi a diventare luogo di incontro tra uomini e culture. Lo scorso 20 aprile a Budapest, nella Facoltà di Informatica e Scienze Bioniche dell’Università Cattolica “Péter Pázmány”, Papa Francesco aveva dato una suggestiva definizione di cultura, come un grande fiume che “collega e percorre varie regioni della vita e della storia mettendole in relazione, permette di navigare nel mondo e di abbracciare Paesi e terre lontane, disseta la mente, irriga l’anima, fa crescere la società“. Riprendeva in questo la costituzione Gaudium et Spes 59, dove il Concilio affermava che la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società. 

Tutto il pontificato di Papa Francesco – grande e onnipresente cultore del dialogo – è stato pervaso dalla coscienza di “costruire insieme la civiltà dell’incontro“, mettendo invece da parte “l’inciviltà dello scontro“, favorendo una maggiore attenzione alle culture, ai bisogni e alle peculiarità delle chiese locali, un ponte tra il centro e la periferia. Lo aveva detto nel suo primo incontro con il Corpo diplomatico il 22 marzo 2013: il Pontefice è colui che getta un ponte con Dio e tra gli uomini, tanto più che “come sapete, la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità“.  I numerosi viaggi all’estero, gli incontri con i capi di stato o con le comunità di fede, sono sempre stati occasione per toccare i nervi scoperti dei conflitti e per mettere al primo posto l’azione del Vangelo nella storia, nella politica e nella cultura. Persino l’aver ripristinato recentemente il titolo pontificio di Patriarca d’Occidente testimonia la volontà di tenere aperti i colloqui e il cammino con tutti i Patriarchi delle Chiese orientali, custodi e testimoni delle prime origini apostoliche. 

C’è chi dice che Papa Francesco abbia poco da dire al mondo della cultura, in particolare a quella europea e occidentale, vista la semplicità e l’immediatezza delle sue parole. In realtà questi 11 anni di interventi di questo scomodo Pontefice hanno fatto emergere la sua rilevanza non solo morale, ma anche culturale nella leadership globale, rilevanza compresa da capi di stato e istituzioni e basata su un’acuta capacità di lettura del nostro mondo globalizzato e post moderno. A Papa Francesco sono riconosciute, infatti, una visione lungimirante e una capacità non comune di cogliere in modo globale i riferimenti storici, antropologici e morali più importanti degli ultimi anni. Questo è il tempo di una cultura che deve partire dal basso e prendere finalmente in considerazione questioni vitali per il futuro del Vecchio Continente, ci ha fatto capire il Santo Padre, un Continente che dovrà presto – pena la sua sopravvivenza – abbandonare comodi e calcolati equilibri a favore di aperture generose e radicali. La cultura, specialmente quella del dialogo e dell’incontro, non è un lusso, ma una necessità storica.

L’augurio del Santo Padre per i settant’anni del Pontificio Comitato di Scienze storiche è che “gli studi storici vi rendano maestri in umanità e servitori dell’umanità“, affinché la diplomazia culturale sia in grado di far sorgere, gettando semi dappertutto nel mondo, culture trasformate dalla novità di Cristo, sorgente inesauribile di bellezza, amore e verità.

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