Periodico di informazione religiosa

Parole buone per il nostro tempo

da | 30 Nov 2023 | Recensioni

Recensione a libro di Francesco Cosentino, Ricominciare. Parole buone per il nostro tempo, San Paolo 2023.

Abbiamo bisogno di parole buone per il nostro tempo forse perché siamo troppo abituati a leggere la realtà lasciandoci imprigionare da essa. In fondo la parola “realismo” suggerisce una narrazione della realtà senza anestetici. Ma quando questo tipo di lettura è solo a partire dal nostro punto di vista, si può cadere pericolosamente in alcune convinzioni che a lungo andare portano a vere e proprie disperazioni. È inutile nasconderci dietro un dito: viviamo tempi faticosi che mentre ci riservano nuove scoperte di natura tecnologica o scientifica, ci lasciano digiuni rispetto a ciò che della vita conta di più, cioè il suo più intimo significato. Le cronache degli ultimi anni ci hanno fatto scontrare in maniera traumatica con molti argomenti rimossi dalla nostra società: il limite, la debolezza, la morte, il silenzio, e molte altre parole che con il tempo consideriamo ormai tabù. Anche a livello ecclesiale ci accorgiamo di attraversare una notte che fatichiamo a capire dove effettivamente voglia condurci. In un contesto simile è più facile essere profeti di sventura che sentinelle di speranza. Il teologo Francesco Cosentino ci ha donato un libro che vuole fare esattamente questo: offrire parole e riflessioni che ci incoraggino a ricominciare. Ed è proprio questo il titolo del suo libro, “Ricominciare. Parole buone per il nostro tempo” (San Paolo 2023, pp.142, 12 euro). Costruito attorto a cinque parole (Fiducia, Speranza, Riconciliazione, Trasformazione, Inquietudine), il testo di Cosentino potremmo definirlo una lunga risonanza della Parola di Dio. Chi è avvezzo al Testo Sacro riconoscerà facilmente come ogni riflessione, e ogni immagine del testo di don Francesco Cosentino, rimanda a una frequenza della Parola di Dio che certamente l’autore ha fatto propria. E quando questo accade a un teologo, è segno di affidabilità, poiché una teologia nata dalla frequenza della Parola è certamente più affidabile di una teologia che celebra solo le proprie idee personali.

Sarà utile a questo punto dare uno sguardo generale a tutta la riflessione del libro.

Innanzitutto dobbiamo domandarci che cosa dentro di noi faccia davvero fondamento alla vita: «Dentro di noi – scrive Cosentino –  c’è uno spazio intoccabile che è quello della Fiducia. Si tratta di una fiducia di fondo, originaria, che sta a fondamento del nostro esistere e non viene meno neanche quando su mille fronti siamo esposti alla sfiducia» (13). Eppure non di rado eventi della vita possono intaccare questo nucleo essenziale di noi stessi: «I danni provocati dalla violenza domestica perpetrata nelle relazioni familiari e, ancor più, quelli causati dagli abusi fisici, psicologici, morali e spirituali, possono essere devastanti: distruggono il nostro sistema interiore fondati sulla fiducia generale nei confronti di se stessi, degli altri e della realtà. In qualche modo anche le nostre esperienze negative, specie quelle in cui siamo stati traditi, seppelliscono sotto una densa coltre nera questo nostro dispositivo interiore che è la fiducia» (15). Tutti abbiamo delle ferite, e molto spesso sono proprie esse che ci convincono ad assumere sempre e soltanto un atteggiamento vittimistico. Ma essere vittime di storie ed eventi che ci hanno fatto seriamente  del male, non ci toglie la libertà di scegliere cosa farne di quel male: «qualcosa si è rotto, qualcosa si frantuma, qualcosa si evolve anche senza che ce ne accorgiamo, ma “dove vogliamo andare” e “chi vogliamo essere domani” dobbiamo deciderlo noi» (20). L’esperienza della fede è l’esperienza di sperimentare un Amore che ha la capacità di darci il coraggio di rimanere liberi anche davanti all’inesorabile. La fede ridona salvezza alla fiducia fondante della nostra vita. Scriveva Benedetto XVI: «Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo» (Spe salvi 32). Ecco perché ha ragione Cosentino quando parlando proprio della Speranza dice: «La speranza ci dona il coraggio dell’inquietudine, per non restare seduti ad aspettare che le cose accadano senza di noi e diventare invece noi stessi i protagonisti creativi della nostra esistenza. Quando iniziamo a sperare, dilatiamo gli orizzonti della vita» (47). Ma per far questo dobbiamo essere disposti a raccogliere i pezzi frantumati delle nostre storie e donare loro Riconciliazione, perché «schermarsi davanti alla fragilità del proprio io, fuggire dalla verità di noi stessi, cercare di ricacciare nel dimenticatoio tutte le nostre zone d’ombra e i nostri limiti, blocca il cammino della nostra vita e della nostra crescita, rendendoci persone che, prima o poi, anche nelle situazioni meno prevedibili, tireranno fuori sotto forma di paura, di ansia o di aggressività tutto ciò che hanno rimosso» (70). E proprio su questo tema dell’aggressività, della paura, dell’ansia, possiamo rintracciare i sintomi del vero problema che ci affligge un po’ tutti: facciamo fatica ad accettarci e siamo eternamente in conflitto con noi stessi. Anche a livello cristiano confondiamo la conversione, con una forma di cambiamento che ha più il sapore della violenza verso se stessi che quello della Trasformazione: «In ciò che spesso intendiamo per “cambiamento” c’è dunque un elemento di violenza e di aggressività, mentre la trasformazione è un processo più dolce; quando crediamo di dover cambiare e continuamente modificare noi stessi, dietro questa idea sta la convinzione che, così come siamo, non andiamo bene. Trasformare, invece, significa: tutto in me ha diritto di esistere, anche le mie passioni, le mie malattie, le mie fragilità; mi apprezzo per come sono. Tuttavia, avverto anche una profonda nostalgia di altro, c’è nel mio profondo lo struggente desiderio di qualcosa che mi appaghi e che mi sfami, porto nel cuore sogni su di me, mi accorgo di tanti doni sepolti dentro di me e di come non sono ancora completamente la persona che potrei essere. Cambiare è essere un’altra persona, niente di più sbagliato; trasformare, invece, è essere più pienamente me stesso, perché mentre mi trasformo, anche dei tagli radicali, in realtà mi avvicino a ciò che corrisponde di più al mio io più autentico» (100-101). In tutta l’esperienza della vita di Gesù si possono incontrare innumerevoli storie di trasformazione. Innanzitutto i suoi discepoli sono stati i primi a lasciarsi trasformare dall’incontro con Lui, ma essi sono stati i primi di una grande schiera. Di certo però il segno distintivo della trasformazione cristiana lo si evince da un dettaglio che non è di poco conto: l’Inquietudine. Essa, come ben scrive Cosentino nell’ultimo capitolo del suo testo, «non è quella che talvolta ci assale stringendoci un nodo in gola e togliendoci il respiro perché determinata da qualche ostacolo o difficoltà, ma quell’inquietudine che ci riporta a noi stessi, ci ricorda che siamo fatti per l’infinito, ci apre gli occhi verso gli sconfinati orizzonti che Dio sogna per noi, ci fa avvertire anche la ferita per la distanza tra l’utopia del possibile e la realtà a volte severa che ci ritroviamo a vivere» (123). Insomma si ha davvero necessità di ricevere parole buone per il nostro tempo, così come auspica il sottotitolo del testo di Francesco Cosentino. Di libri così in realtà si ha sempre bisogno perché come ci ricordava Cesare Pavese: «E’ bello vivere, perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante».

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