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Rapporto italiani nel mondo 2024, l’esodo continua

da | 6 Nov 2024 | Cronaca

L’unica Italia che cresce è quella all’estero. Con oltre 6 milioni e134 mila cittadini iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’estero (AIRE), cresce il numero degli italiani che hanno deciso di risiedere fuori dall’Italia (+11,8% dal 2020). E dal 2006 gli italiani all’estero sono raddoppiati (+97,5%). È quanto afferma il 19esimo “Rapporto Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes, diffuso nella giornata del 5 novembre. Mons. Perego, presidente della Fondazione, lancia l’allarme: «La politica riconosca e interpreti i cambiamenti in atto nella polis». L’Italia, lo sappiamo, è un paese da sempre interessato da migrazioni plurime; ma oltre agli arrivi, ci sono anche le partenze. Il saldo migratorio continua ad essere negativo, rallentato negli anni passati solo a causa della pandemia.

Gli italiani all’estero

Chi vuole far carriera sceglie l’estero. A partire sono sempre più numerosi e con profili sempre più complessi e di questi la maggior parte sono giovani tra i 18 e i 34 anni (circa 471 mila) o giovani adulti (poco più di 290 mila). Affitti molto alti e costo della vita proibitivo allontanano le risorse giovani e appena laureate, spingendole lontano. Oltre 228 mila sono i minori, quindi sono sempre più gli italiani che partono con la famiglia o che decidono di mettere su famiglia all’esterno dei confini patri. La Sicilia si conferma nel 2024 la regione con la comunità di iscritti AIRE più numerosa (+826 mila), seguita dalla Lombardia (+641 mila) e dal Veneto (+563 mila). Partiti da tutte le province di Italia, con titoli di studio eterogenei e respinti dal sistema occupazionale italiano, gli italiani sono andati in 187 paesi del mondo, che rappresentano tutti i continenti. Il 54,2% dei 6,1 milioni di iscritti all’AIRE si trova, nel 2024, in Europa (più di 3,3 milioni, di cui oltre 2,5 milioni nell’UE a 15) e il 40,6% in America (oltre 2,4 milioni, di cui 2 milioni in quella centro-meridionale). A seguire: oltre 167 mila in Oceania (2,7%), più di 78 mila in Asia (1,3%) e 70 mila in Africa (1,1%). Nel 2022 e 2023, nel complesso, i principali paesi di destinazione sono ancora il Regno Unito e la Germania, che si aggiudicano le prime posizioni in graduatoria e che hanno accolto, rispettivamente, il 15,1% e il 13,3% degli emigrati italiani, seguiti da Svizzera, Francia, Spagna, Brasile e Stati Uniti d’America; tali paesi accolgono, nel complesso, il 65,5% del totale degli espatri degli italiani (circa 136 mila su oltre 207 mila in termini assoluti per la somma dei due anni 2022 e 2023).

La migrazione interna

Nel contempo l’Italia si muove attraverso le migrazioni interne. Dal 2014 gli abitanti delle aree interne sono diminuiti del 5%, cioè di 700 mila unità. I movimenti dal Mezzogiorno si dirigono verso il Centro-Nord, ma il Nord-Est continua a essere l’area del Paese più attrattiva. È un paradosso di continuo svilimento e perdita e che interessa sicuramente maggiormente il Meridione, ma che tocca anche il Centro e il Nord del nostro Paese perché le aree interne sono presenti lungo tutta la Penisola, Isole comprese. Scuole, bar, filiali di banche, attività commerciali chiudono generando nuovi esodi. L’area interna ha sviluppato intorno a sé un movimento paradossale fatto, allo stesso tempo, di repulsione e di attrazione. Se da un lato, per alcuni, ci si è accorti della necessità di tornare a vivere una vita più a dimensione della persona, dall’altro lato il borgo continua a essere non attrattivo per i giovani, i quali finiscono per trasformare in definitivo un progetto di trasferimento transitorio in un’altra regione o “si giocano la carta” dell’estero. 

Questioni di cittadinanza 

L’art. 1 della legge n. 91/1992 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. In applicazione del principio dello ius sanguinis, il discendente di emigrato italiano nato in un paese in cui vige lo ius soli può rivendicare la cittadinanza italiana. Da ciò deriva la concreta possibilità che i discendenti di seconda, terza e quarta generazione, e oltre, di emigrati italiani, siano dichiarati cittadini italiani per filiazione. Sono moltissime negli ultimi anni le persone con avi italiani che hanno richiesto la cittadinanza italiana in paesi del Sud America (soprattutto nati in Argentina e Brasile). Tra il 2021 e il 2022 si è registrato un vero e proprio picco con le acquisizioni per discendenza che hanno superato i 20 mila provvedimenti, mentre l’anno precedente erano meno di 8 mila. Essere italiani significa anche possedere un passaporto “forte”, una chiave privilegiata capace di aprire le porte dell’Europa e del mondo: secondo l’Henley Passport Index, la classifica di tutti i passaporti del mondo nel contesto della mobilità globale, nel 2024 l’Italia si colloca in seconda posizione. 

Riflessioni conclusive

È la perdita del bene comune, dell’insieme come fine dell’agire sociale, ma anche la perdita dell’interesse, della passione sociale come molla dell’azione sociale: tutto questo indebolisce le relazioni, indebolisce il Paese, sfibra le città. Estraneità ed esclusione riducono il concetto di Paese (e di città) che da casa diventa per alcuni solo tenda; da luogo di partecipazione diventa luogo di lavoro; da luogo di incontro diventa luogo di scontro; da luogo per tutti diventa luogo di alcuni; da luogo di integrazione diventa luogo di esclusione. Non è sufficiente identificare e conoscere; occorre incontrare e accompagnare per costruire una relazione costruttiva e risolutiva (in termini di promozione, libertà, protezione, ecc.). Solo l’incontro aiuta a costruire relazioni che vincono la paura, aprono al confronto, invitano al dialogo. E l’incontro deve valorizzare la famiglia, le nuove generazioni sempre più interculturali e con background migratorio che richiedono protagonismo, cittadinanza e partecipazione. «Non è possibile – ha dichiarato il presidente della Fondazione Migrantes, S.E. mons. Giancarlo Perego – che la politica non riconosca i cambiamenti che stanno avvenendo nella polis, nella città. Deve interpretarli e governarli con strumenti idonei e non pregiudiziali. Dal 1992 a oggi l’Italia è cambiata».

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