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Sabato della III settimana di Pasqua. Il Tempo di Pasqua con Gregorio Magno

by | 20 Apr 2024 | Monasteria

Sabato della III settimana di Pasqua.

L’attenzione degli Atti torna a Pietro, che per la prima volta va fuori da Gerusalemme e visita delle comunità sorte senza di lui; come pastore e in segno di unione, Pietro si reca a visitare il suo gregge. I cristiani vengono qui chiamati santi, quasi fossero tutti delle persone eccezionali. Santo, strettamente parlando, è solo Dio, ma il fondamento di tutta la legge non era altro che questo: “Siate santi come io sono santo?”. Dio ètutto e solo amore, e noi siamo chiamati a essere uguali al Padre nostro che è nei cieli. Forse anche noi dovremmo cominciare a (ri)considerare tutti i cristiani come santi e figli di Dio, appartenenti al Padre e da Lui amati infinitamente.

Nel brano si parla di due miracoli messi di seguito. Come nel vangelo, la guarigione miracolosa è segno di qualcos’altro. Tornare a camminare vuol dire tornare davvero a percorrere la via dell’amore e tornare a vedere vuol dire recuperare lavisione della realtà. E il primo miracolo è questo: “Enea, alzati e rifatto il letto!” e il secondo: “Tabità, alzati!”. Enea erada otto anni a letto: è un paralitico, che è realmente tale, ma immagine di quelle persone che nella comunità cristiana si fanno servire e non vogliono servire nessuno. Non era sempre stato così; era anche lui tra i santi, ma gli è accaduto qualcosa.Capita anche a noi, a un certo momento della nostra vita, di incappare in questa paralisi, magari giustificandoci dicendo: “sono fatto così”, “non ci posso fare niente”. “Ti guarisce Gesù Cristo”: con queste parole imperiose Enea risorge e si rifà il letto, come Gesù che ripiega le sue bende. Enea passa dalla morte alla vita, della sua chiusura al servizio, dalla sua paralisi al nuovo modello di vita, che è il Signore. Rifarsi il letto sembra poca cosa, eppure chi non sa far bene le piccole cose non sarà mai in grado di farne di più grandi. Le piccole cose danno quel piccolo e sano senso di orgoglio cheincoraggia a svolgere un altro compito, un altro ancora e così via.

Il secondo miracolo di Pietro riguarda una discepola, la giovane Tabità. Sappiamo che le donne occupano i punti chiave della sequela di Cristo: lo seguono e lo servono, imitando Gesù che è “colui che serve”. La giovane è il contro-modello di Enea, è piena di buone opere e di elemosine. Amare è questo: significa fare, non avere tante idee! Il corpo di Tabità viene portato nella stanza superiore, come fosse un nuovo Cenacolo. Pietro si mette in ginocchio e prega: il potere che viene della preghiera restituisce il corpo morto alla vita. Tabità è vivente, come “Vivente” è l’attributo per eccellenza di Dio e che Luca usa per Gesù. La giovane discepola è un’iconadi Cristo: anche lei è vivente, resuscitata per continuare a fare le buone opere di prima.

La lezione di questo lungo brano serve a esortare tutti coloro che sono come Enea, perché facciano resuscitare in essi la Tabità interiore, passando dalla chiusura e dall’egoismo aservire i fratelli, non con le parole, ma con i fatti.

Gregorio Magno, Dialoghi II, 32

Adesso invece narrerò un altro grande miracolo che Benedettoottenne con la preghiera. Un giorno il Padre era uscito con i fratelli per il lavoro dei campi, quando arrivò al Monastero[Montecassino] un contadino che, piangendo a caldissime lagrime, reggeva sulle braccia il corpo del figliolo defunto e chiedeva ansiosamente del Padre Benedetto. Quando gli fu risposto che stava con i fratelli al lavoro nei campi, senza attendere un istante, depose davanti la porta il cadavere del figliolo e, sconvolto dal dolore, si lanciò a precipitosa corsa in cerca del venerando Padre. In quella stessa ora l’uomo di Dio era già di ritorno dal lavoro. Appena il contadino lo vide, cominciò a gridare: “Rendimi mio figlio, rendimi mio figlio!”. L’uomo di Dio si arrestò un momento e chiese: “Ma quando mai ti ho preso tuo figlio?”. E l’altro: “È morto: vieni e ridagli la vita”. A queste parole il servo di Dio si rattristò assai e rivolto ai circostanti che insistevano: “Non insistete, fratelli! – disse – non insistete! Queste azioni spettano ai santi Apostoli, non alle nostre povere forze. Perché volete imporci un peso che non siamo capaci di portare?”. Il buon uomo però, stretto da immenso dolore, insisteva nella sua richiesta, giurando che non sarebbe partito di lì, se non gli avesse risuscitato il figliolo. Allora d servo di Dio gli domandò: “Dov’è?” Rispose: “Il suo corpo giace sulla soglia del monastero”. Appena l’uomo di Dio vi giunse seguito dai fratelli, piegò le ginocchia per terra e si prostrò sopra il corpicino del fanciullo. Poi sollevandosi tese le braccia al cielo e pregò: “Signore, non guardare i miei peccati, ma la fede di quest’uomo che domanda la risurrezione di suo figlio e restituisci a questo piccolo corpo l’anima che hai tolta”.

Aveva appena finito di pronunciare queste parole, che il piccolo corpo del fanciullo, per il ritorno dell’anima, incominciò a sussultare e sotto gli occhi di tutti i presenti fu visto fremere e palpitare con miracoloso scuotimento. Il santo lo prese per mano e vivo e sano lo restituì a suo padre. Qui è chiaro, Pietro, che questo miracolo non l’operò per potere proprio, perché per poterlo compiere, dovette chiederlo prostrato per terra.

Pietro: non c’è dubbio che è proprio come dici tu: la tua dottrina è provata pienamente coi fatti.

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