Subiaco. Domenica 26 marzo alle ore 17.00 presso la Sala San Gregorio del Monastero di Santa Scolastica si è tenuto il simposio dal tema: “Sovranità popolare secondo la Costituzione e la dottrina sociale cristiana” per celebrare il 75° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione. Presenti i rappresentanti della Città di Subiaco, della Biblioteca del Monumento Nazionale di Santa Scolastica, nonché dell’Ente Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini, dei comuni vicini di Bellegra, di Serrone, di Roiate e di Canterano e con il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Bellegra.
La prima relazione è stata affidata al P. Abate D. Roberto Dotta: “L’arte politica secondo San Benedetto”, che ha sottolineato come in quattordici secoli di storia i monasteri benedettini, siano riusciti a sviluppare sofisticate capacità organizzative, piene di spunti anche per chi ha funzione di guida in uno schieramento politico o culturale. I monaci sono stati veri e propri artefici di civiltà. Con la sua esperienza maturata a Subiaco e a Montecassino, San Benedetto delinea un’organizzazione gerarchica, basata sulla leadership dell’abate, che si appoggia “più sull’autorevolezza che sull’autorità, tale da poter influenzare e condizionare l’attività di ogni individuo in favore della prosperità e della serenità nel monastero”. L’abate “è nello stesso momento pastore, titolare cioè di autorità, e ministro, ovvero servitore” e dovrà essere capace di far convergere “le abilità, le volontà e le attitudini dei singoli monaci verso un progetto condiviso da tutti”, prestando attenzione al singolo e alle sue debolezze.
La modernità della pedagogia della Regola benedettina si rileva soprattutto sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro e della vita individuale e comunitaria: “nella Regola, compito pedagogico dell’abate è quello di saper comprendere le caratteristiche e le potenzialità di ognuno”. Benedetto ritiene che “l’educazione si sostanzia di tre aspetti: regole, testimonianza ed esempi, correzioni”. Nel capitolo secondo della Regola, leggiamo: «Dunque, quando uno assume il titolo di abate deve imporsi sui propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani».
Benedetto aveva infatti compreso quanto le debolezze umane potessero allontanare l’uomo dalla contemplazione di Dio: perciò organizza la comunità intorno a tre assi portanti, ora, labora et lege. Il monaco era così continuamente impegnato, nel lavoro nella preghiera, sia corale che privata, nello studio e nella lectio divina. San Benedetto trova un equilibrio tra attività e contemplazione: “La scansione della giornata, come prevista dal capitolo 48 della Regola, viene ad essere articolata nella regolarità lineare dei tempi e delle attività. All’abate spetta l’ufficio di sorvegliare che le mansioni affidate siano svolte, e che ci sia il giusto equilibrio tra tempo lavoro e tempo individuale, come precondizione per l’equilibrio. Dunque, la Regola di Benedetto aiuta non solo a gestire ma, soprattutto, a vivere meglio il tempo”. Nel monaco che prega e lavora, che vive in una comunità di liberi ed uguali, sta un profondo suggerimento per il nostro presente e per la nostra responsabilità di fronte alla realtà.
“La Regola richiama la preziosità di un percorso formativo volto alla ricerca di un’identità basata su valori guida e fondanti”, ai quali Benedetto dedica tre capitoli: obbedienza, silenzio e umiltà. La vera obbedienza non è cadaverica (perinde ac cadaver, come scriveva Sant’Ignazio di Loyola), ma è “rivolta alla comprensione del significato dell’ordine che è all’interno di un progetto condiviso”; nella sua accezione positiva “è la colla che mette insieme vision e mission e li trasforma in atti e comportamenti concreti”. Il silenzio significa “lasciare spazio alla riflessione prima delle decisioni, recuperare tempo per ascoltare prima di agire e, infine, imparare a concentrarsi su ciò che conta” ed è perciò ascolto dell’altro, sia ascolto di sé stessi, sia di Dio, che abita nell’intimità del cuore dell’uomo. Collegate al silenzio sono la sobrietà e la proprietà del linguaggio, quella che la Regola chiama al capitolo sesto taciturnitas.
Infine l’umiltà, “il punto di incontro e di equilibrio tra tutte le istanze e le energie che compongono la nostra personalità e muovono il nostro agire quotidiano”. Termine che deriva da humus, cioè terra, ci riconduce al concetto delle radici e della profondità. “Essere umili significa dunque predisporsi a riconoscere le radici di ciò che ci circonda ed il loro significato più profondo. Solo l’umiltà permette di mettersi in discussione, di riconoscere le ragioni del nuovo, di ciò che non funziona e di ciò che va cambiato”. Perciò, il valore dell’umiltà non è per soffocare la creatività individuale, ma per aprirsi alle necessità della comunità e alle sfide che devono essere affrontate.
Per quasi 1500 anni “il monachesimo ha rappresentato un’àncora di salvezza per la civiltà occidentale, romana e cristiana, traghettando l’Europa intera dal Medioevo fino all’Era moderna, portando con sé quei valori che, nel tempo, hanno ispirato un popolo e ne hanno caratterizzato la forza”. Anche oggi il messaggio della Regola di Benedetto rivela tutta la sua potente freschezza ed attualità, fornendo “gli strumenti culturali più moderni per intercettare l’esigenza di sostenibilità e di comportamenti eticamente corretti”. Considerata nel suo insieme, questo documento e monumento “non vuole essere un trattato di teologia, bensì un testo che va anche oltre la dimensione religiosa: è una guida di sapienza per l’uomo di sempre, che aiuta a mettere ordine nella vita delle persone e delle comunità”. Nessun’altra organizzazione sovranazionale può vantare una simile longevità e una presenza che, nei secoli, travalicando l’Europa, ha raggiunto tutto il mondo.
La seconda relazione è stata affidata al P. Priore D. Frediano Salvucci: “La carità politica nella dottrina sociale cristiana”. Dopo aver individuato le radici scritturistiche della dottrina sociale sono nella Sacra Scrittura. Mentre la morale sociale si rifà a certe verità della Bibbia e dà delle definizioni che rimangono sempre, la dottrina sociale osserva i segni dei tempi e da direttive di azione alla luce della parola di Dio. Per questo nella storia recente della Chiesa ci sono stati sempre nuovi pronunciamenti magisteriali, perché le situazioni della realtà umana sono cambiate e continuano a cambiare. Sono stati inquadrati quattro momenti essenziali della storia della dottrina sociale cristiana, passando in rassegna i punti fondamentali della Rerum Novarum di Leone XIII, la Octuagesima adveniens di Paolo VI, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II e la Fratelli Tutti del 2020.
L’avvocato Piero Carletti, Presidente di Arx Munita, ha tenuto l’intervento conclusivo: “Fondamento e crisi della sovranità popolare”. L’avvocato ha rilevato come la crisi attuale sia spesso presentata come crisi economica, in realtà è prima di tutto una crisi sociale, che riguarda i rapporti tra le persone. In questa situazione confusa è sempreutile tornare alla Costituzione, che fu il frutto della grande forza morale e della coesione degli italiani, dopo la devastazione della guerra che li circondava. I partiti erano fortemente divisi dalle loro visioni politiche, eppure riuscirono a trovare un accordo che venne trasfuso nella costituzione, trovandosi in un’etica condivisa: da una parte l’etica cristiana che impregnava ancora fortemente la cultura del popolo italiano, dall’altra l’esperienza concreta dei diritti che erano stati compromessi dalla dittatura e poi dalla guerra. Ma sono soprattutto i 12 principi fondamentali, scelti dei padri costituenti, a costituire delle perle preziose, a cui l’Italia non ancora oggi non può rinunciare. Qui sono condensate le basi etiche della costituzione, punto di riferimento contro l’odierno sfaldamento sociale. L’art. 1, l’Italia è una Repubblica democratica, stimola la verifica del tasso di partecipazione del popolo alle decisioni; l’art.2 provoca l’esame del rispetto delle libertà individuali riconosciute; l’art.3 spinge alle opere di rimozione delle disuguaglianze sociali; l’art.4 induce alla individuazione dei giusti bisogni della comunità e all’organizzazione delle attività economiche, che assorbono la disoccupazione; l’art.5 stimola all’incoraggiamento del decentramento amministrativo pur nel coordinamento unitario; l’art.6 avvisa circa l’importanza dell’ascolto delle minoranze; gli artt.7 e 8 incoraggiano il coinvolgimento dei gruppi religiosi; l’art.9 programma la cura della cultura e la tutela del paesaggio; l’art.10 incoraggia l’attenzione allo straniero perseguitato; l’art.11 ravviva l’iniziativa di promozione della pace sociale e l’art.12 dà importanza al coltivare l’identità nazionale.
Oggi la sovranità popolare costituzionale viene messa a repentaglio da decisioni che vengono prese all’esterno, da organismi sovranazionale, provocando perciò una confusione nel sistema d valori di riferimento. Forse in questa situazione gli enti territoriali sono i più vicini alla gente, in quanto capaci di intercettare priorità ed esigenze della popolazione. La sfida è riuscire a tutelare l’operato degli enti territoriale e coordinarsi poi con gli superiori.