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Venerdì Santo, Passione del Signore. La Settimana Santa con Gregorio Magno

by | 29 Mar 2024 | Monasteria

Venerdì Santo, Passione del Signore

Gesù non ha solo misurato l’abisso della morte spirituale, ma ha conosciuto anche la morte fisica. A detta di Bulgakovla morte di Gesù fu la morte di tutte le morti: egli morì con ogni essere umano, nella sua morte è insita ogni morte umana; essa fu quindi equivalente a tutte le morti dell’umanità. La morte di Cristo fu ecumenica e universale, al pari dei suoi dolori fisici e interiori, che dinamicamente compendiavano tutto il dolore umano. In questo consistette la potenza di salvezza e di resurrezione della morte di Cristo, come vittoria sulla morte, come morte per tutti“. Per l’uomo moderno, compreso noi cristiani, non è evidente l’annuncio evangelico che Gesù ha distrutto e abolito la morte, perché a livello biologico con la morte di Gesù non è cambiato niente alla nostra morte. Gli uomini continuano a morire e non ci ha liberati della morte fisica, che rimane la legge inevitabile per ogni esistenza, compresa quella dei credenti.

Qual è allora il senso profondo della teologia della morte del venerdì Santo? La morte biologica e fisica non è tutta la morte e nemmeno la sua essenza ultima. La morte è anzitutto una realtà spirituale di cui si fa esperienza lungo la vita terrena e di cui ci si libera, alla fine, nel sonno della tomba. Il contrario della morte non è l’immortalità; il contrario della morte è la vita senza Dio, che è Vita vera. Vivere senza Dio è già come morire e addirittura l’uomo può darsi la morte eterna, se deciderà che la sua immortalità diventi infernale, uno stato di totale assenza di Dio. Mentre l’uomo muore, perché ha voluto la vita per se stessa e in sé stessa, e non come vita in Dio, la vita di Cristo fu esclusivamente determinata dal desiderio di unire la sua volontà a quella del Padre, per restituire ad Adamo la vita perduta col peccato. È da questa morte che Gesù ci ha redenti con la sua morte volontaria. “Espellendo dalla morte il pungiglione del peccato“, scrive Schmemann, “abolendo la morte in quanto morte spirituale, riempiendo la morte della sua vita, del suo amore, di lui stesso, Cristo fa della morte – che prima era separazione e perversione della vita – uno splendido passaggio, una Pasqua, verso una vita più piena, una comunione più totale è un amore più assoluto“.

Il termine ultimo della glorificazione pasquale di Gesù e l’atto con cui il Padre lo insedia nella sua posizione di potenza del cielo e gli consente di portare a compimento l’opera salvifica della croce: “Io quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Il suo ritorno al Padre trascina con sé i discepoli, presenti e futuri, nel movimento incessante di comunione e contemplazione di Dio, fino allora possibile solo al Figlio e adesso esteso a tutti gli uomini, resi partecipi di quella gloria eterna di cui Adamo li aveva privati e che ora possono ricevere in Cristo Gesù. “L’ineffabile gioia del Padre ha preso forma e corpo nella moltitudine di volti che manifestano quello del figlio amato“, conclude Corbon.

Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe 18, 64

È bello ricordare come il ladrone dall’abisso del delitto salì sulla croce e dalla croce al paradiso. Osserviamo come era quando giunse al patibolo e quando ne uscì. Era colpevole d’aver versato sangue fraterno, giunse grondante sangue, ma sulla croce fu totalmente trasformato dalla grazia. Aveva inflitto la morte a un fratello e proclamò la vita del Signore, supplicando mentre moriva: “Ricordati di me quando giungerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Avevano confitto alla croce le sue mani e i suoi piedi, e nulla era rimasto di lui esente dalle pene, se non il cuore e la lingua. Ispirato da Dio, gli offrì tutto ciò che in sé trovò libero, secondo quanto sta scritto: “Con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10, I0). L’Apostolo afferma che nel cuore dei fedeli rimangono sopra tutto tre cose: la fede, la speranza e la carità. Il ladrone, illuminato dalla grazia, ricevette a un tempo tutte e tre queste cose sulla croce. Egli aveva fede, poiché credette che avrebbe regnato come Signore colui che vedeva morire accanto a sé allo stesso modo; aveva la speranza, poiché implorò di entrare nel suo regno dicendo: “Ricordati di me quando giungerai nel tuo regno”. E mantenne viva, morendo, anche la carità, poiché rimproverò della sua iniquità il fratello e compagno che moriva per lo stesso delitto, e gli annunciò la vita che già aveva conosciuto, dicendo: “Neanche tu hai timore di Dio e sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male” (Lc 23, 40-41).

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