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A 300 anni dalla nascita di Kant, un progetto filosofico per la pace perpetua

by | 22 Apr 2024 | Europa dello spirito

Immanuel Kant nasceva 300 anni fa a Königsberg il 22 aprile del 1794 e fu l’autore di quel piccolo e grande capolavoro “Per la pace pertetua” (Zum ewigen Frieden). Un saggio profetico e realista su un progetto filosofico di patto tra Stati con costituzione repubblicana, in contrapposizione alle nazioni dispotiche, che vide la luce per ironia della sorte nell’attuale enclave russa di Kaliningrad. Un libello che vale la pena rileggere ancora oggi, con la guerra che è tornata a fare la sua comparsa in un’Europa che corre sempre più spedita al riarmo. Non stupisce che un altro Emmanuel, il capo dell’Eliseo, Macron, abbia donato a Papa Francesco nell’ottobre del 2022 una rara edizione del 1796 in francese dell’opera kantiana. Oggi come allora il saggio fu un vero best seller: in nove anni tra la prima edizione del 1795 e la morte dell’autore nel 1804 ci furono ben dodici edizioni. La Critica della Ragion Pura, il suo studiatissimo capolavoro, in ventitré anni, ne ebbe solo due. Un’ansia di paternità verso il genere umano consentì all’anziano Kant di elaborare una posizione attinente al mondo attuale, ancor più attinente di quanto non lo fosse sulla scena europea settecentesca. Il fine e il messaggio essenziali delle sue idee, spesso disordinate o troncate, in questo affascinante guazzabuglio filosofico e politico è: siamo tutti nella stessa barca. Forse un’approssimazione un po’ brusca alla concezione del diritto cosmopolitico di “Per la pace perpetua”; ma la storia e l’attualità ci dicono che la pace perpetua non esiste. Abbiamo vissuto fino a pochi anni fa un periodo di relativa pace, ma non è detto che continuerà all’infinito. Un lungo periodo di pace, come spesso accade, fa sì che la pace venga data per scontata.  

Kant sosteneva che il riconoscimento del fine della pace perpetua fra le nazioni era il primo passo necessario per ogni sicuro progresso verso un ordine internazionale legittimo e di conseguenza che credere alla possibilità di circoscrivere e limitare progressivamente la guerra senza accettare quel fine, era un’illusione pericolosissima. La sezione iniziale degli Articoli preliminari, così veemente e diretta, diede al libello la sua immediata popolarità e diffusione; essi vincolavano i firmatari a rinunciare a ogni trattato segreto, all’acquisizione di uno stato da parte di un altro per eredità, scambio, vendita o dono, al mantenimento di un esercito permanente, all’assunzione di debiti pubblici a scopi militari, a intromettersi nella costituzione interna di un altro stato e a utilizzare l’assassinio, la sovversione, ecc. che renderebbero i rapporti pacifici futuri fra stati praticamente impossibili. La totale non-interferenza negli affari interni di ogni stato sembrava a Kant condizione essenziale per un’adesione al trattato che egli proponeva: un ordine internazionale di governi che rinunciano liberamente al loro diritto di muoversi reciprocamente guerra. Il progetto andava certo compreso all’interno di una lunga prospettiva storica, che avrebbe conosciuto delusioni e battute di arresto, ma Kant era fiducioso del suo successo; dalle sconfitte e dalle delusioni l’uomo è sempre in grado di trarre lezioni e imparare e, del resto, proseguendo su questa via, gli uomini potevano essere sicuri di star facendo tutto il possibile per la realizzazione della loro vocazione cosmopolita.

E nel caso di un’aggressione esterna? Pace ad ogni costo. Per Kant i governi dovevano fare di tutto per inaugurare la pace, anche in forma embrionale, perché in seguito si sarebbe gradualmente estesa fino a coprire l’intero globo. Egli parlava di “unione federativa”, “società o confederazione” o e “congresso di stati permanente”, la cui forza reale risiedeva nella sua capacità di mantenere ed estendere la pace fra un certo numero di potenze che condividessero la tendenza alla non aggressione. Quasi una pace “aggressiva”, capace di estendersi in misura sempre più pervasiva. Allo stesso tempo prevedeva che le potenze firmatarie potessero impegnarsi in azioni difensive congiunte per respingere gli aggressori, con la consapevolezza, però, che tale atto temporaneo non avrebbe contribuito in modo diretto alla causa della pace perpetua, che è e rimane dovere preciso di ogni governo stabilire ed espandere. 

E nel caso di divergenze e rivalità tra i membri? La forza della ragione nell’uomo, come osserva Kant con amarezza, è tanto ammirevole quanto impotente nella pratica. Qui entra in azione quello che il filosofo di Königsberg chiamava “garanzia della pace perpetua“: la garanzia di successo che può offrire la federazione dipende dalla possibilità e dalla minaccia, continuamente tenute presenti, che i suoi membri ricadano nell’abitudine di una guerra irresponsabile. Anche nel caso in cui la libera confederazione giunga a comprendere tutti gli stati esistenti, non si potranno escludere eventuali incomprensioni e ricadute irresponsabili nell’egoismo e nella guerra. Eppure solo la consapevolezza di questo pericolo sempre incombente può spingere i gli stati a fare ricorso a mezzi legali, escludendo l’uso della guerra. Con una terminologia forse un po’ ingenua, Kant riteneva che gli uomini sarebbero stati costretti ad accettare un nuovo ordine internazionale, spinti da un “piano segreto della Natura“. Rinunciare definitivamente alla guerra e sostituirla con varie forme di accordi sarà possibile solo quando la guerra sarà diventata intollerabile, anzi inconcepibile, oltre che dal punto di vista morale ed economico (i 2500 miliardi di dollari spesi per le guerre in corso!), ma anche da biologico. Commentando l’opuscolo kantiano, Bobbio riconosceva che la guerra è diventato il problema cruciale del nostro tempo, se vogliamo evitare il grande cimitero del genere umano. Il grande cimitero del genere umano. Non si tratta di un’esagerazione, visti i continui richiami all’arsenale nucleare. “Persino in guerra“, scriva Kant, “deve pur continuare ad esserci una certa fiducia nel modo di pensare del nemico, perché altrimenti non potrebbe essere conclusa alcuna pace e le ostilità si trasformerebbero in una guerra di sterminio“. Il piano della Natura è quello di portare l’umanità a comprendere le conseguenze sempre più violente delle guerre. 

Kant auspicava una società dove gli eserciti permanenti non esistessero più: “essendo la guerra l’unica finalità di questi eserciti e si istigano alla guerra“. Le democrazie, di solito, non si fanno guerra tra loro; invece in un regime in cui “il suddito non è cittadino” e “il sovrano non è membro dello Stato, ma ne è il proprietario, la guerra diventa la cosa più facile del mondo. Quasi come organizzare una battuta di caccia. Il valore dell’intero esperimento umano dipende, al contrario, da un senso di autentica apertura alla pace, come necessario contesto delle aspirazioni e dei tentativi politici degli uomini. Ogni cosa dipende e conduce all’idea che “la guerra non è assolutamente un modo in cui si possano far valere i propri diritti“. Il filosofo auspicava con coraggio e lungimiranza un mondo nel quale fosse legalmente accettabile il libero movimento di uomini e beni, un mondo nel quale i diritti dell’individuo arrivassero a trascendere i limiti nazionali. “Nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della terra“, scriveva un Kant precursore della globalizzazione e di una realtà cosmopolita, di cui alcuni politici nostrani sentono la mancanza. Il processo di democratizzazione del sistema internazionale, che è la via obbligata per il perseguimento dell’ideale kantiano della “pace perpetua”, non può andare avanti senza una graduale estensione del riconoscimento e della protezione dei diritti dell’uomo, al di sopra dei singoli stati. Questa è, forse, una delle principali eredità del contributo kantiano. Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico. Ci sarà una pace stabile, notava Bobbio, che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini, non più soltanto di questo o quello stato, ma del mondo.

Soltanto il contributo di organizzazioni politiche e sociali, di movimenti culturali, di uomini e donna che ispirino la loro azione agli ideali e ai criteri individuato da un filosofo nato 300 anni fa ci aiuterà a fare decisi passi in avanti in un mondo dove guerra e pace, difesa e aggressione, torto e ragione, vedono assottigliarsi sempre di più i loro confini. 

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