Periodico di informazione religiosa

Angeli del fango e messaggeri di solidarietà

by | 24 Mag 2023 | Editoriale

In questi ultimi anni, abbiamo avuto modo in più occasioni di sentire parlare degli ‘angeli del fango’, soprattutto ripensando all’alluvione che nel 1966, colpì la Città di Firenze e che vide volontari, soprattutto giovani e adolescenti, provenienti  da tutto il mondo, approdare in Città per  mettere in salvo più opere d’arte possibili.

Questa espressione, utilizzata per la prima volta dal giornalista del Corriere della Sera, Giovanni Grazzini il 10 novembre del 1966, è diventata attuale in questi ultimi giorni, per la presenza di molti giovani, che poche ore dopo la disastrosa alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, sono arrivati, da più parti d’Italia, per spalare il fango che ha invaso non solo le campagne, ma intere città.

Nessuna ideologia politica, nessun senso di dovere istituzionale, ma il semplice desiderio di farsi prossimi a una popolazione sommersa dall’acqua e dal fango, portando la forza delle proprie braccia e il sorriso che scaturisce da un cuore ricolmo di fraternità.

Alcuni di loro preferiscono farsi chiamare ‘i ragazzi del paciugo’, in riferimento proprio al ‘pagiugo’ che in dialetto romagnolo ‘indica una poltiglia indistinta, come il fango’.

Ma ciò che conta, non è tanto il nome con cui questi ragazzi preferiscono farsi chiamare, ma bensì lo spirito con il quale sono subito arrivati in Emilia Romagna per aiutare le popolazioni dopo l’alluvione.

Nei servizi televisivi che sono entrati nelle nostre case in questi giorni, non può passare inosservato lo sguardo sereno di questi ragazzi, che segnati dal ‘paciugo’ anche nei loro volti, hanno trasmesso un segno di speranza per coloro che tragicamente hanno perso tutto.

Certamente, come per le calamità sismiche, questa tragedia dovrà essere studiata in tutti quelli che sono gli effetti post-traumatici di una popolazione che improvvisamente è stata segnata da lutti e da incertezze umane e relazionali, ma lo sguardo sereno e volitivo di questi giovani che si sono rimboccati le maniche per portare un aiuto, può essere il punto di partenza per una rinascita in cui non vivere la dinamica del colpevolizzare qualcuno o del trovare responsabili di azioni preventive mancate, ma bensì il desiderio di condividere per ricostruire.

Gli appelli di papa Francesco, che dal 18 maggio 2023, sono stati rivolti a favore delle popolazioni colpite dall’alluvione in Emilia Romagna, ancora una volta ci portano alla necessità di comprendere che di fronte ai drammi e alle calamità, che possono essere assimilate alla tragedia dei terremoti, per gli effetti post-traumatici, è necessario ‘fare rete’, per potere insieme cercare di comprendere sempre di più in profondità ciò che è avvenuto nella mente e nel cuore delle persone e cercare di dare risposte significative e portatrici davvero di novità rispetto a quello che finora abbiamo constatato”.

L’intervento del Governo italiano e delle varie istituzioni che passa dall’assegnazione di fondi stanziati per far fronte alla tragedia che ha colpito l’Emilia Romagna, sono certamente molto importanti, ma non bastano.

Come per altre catastrofi tra le quali in terremoto aquilano, è necessario andare oltre la catastrofe stessa. Questa necessità nasce dalla consapevolezza che di fronte a una calamità naturale come l’alluvione o un terremoto, ve ne è un’altra peggiore che possiamo chiamare ‘terremoto dell’anima’. Le calamità naturali e geologiche, in genere, sono più brevi; potrebbero essere descritte come una curva a campana: c’è un momento di inizio, uno zenit e poi un declino. La Chiesa aquilana, guidata dal cardinale Giuseppe Petrocchi, promuovendo in questi ultimi anni, dopo l’esperienza del sisma del 2009, una pastorale dell’emergenza, ha individuato un trauma peggiore di quello ambientale che ha chiamato ‘terremoto dell’anima’, che si attiva in genere quando quello geologico è nella sua fase conclusiva, e che ha tempi molto prolungati”.

Da quelle che sono le tragedie degli ultimi quindici anni, che possiamo riassumere, in calamità sismiche, ambientali e geologiche, ma anche in calamità pandemiche, dobbiamo sentirci chiamati a trarre una lezione di vita che parte dalle esperienze dolorose e devastanti che hanno colpito, non solo le popolazioni, ma anche coloro che sono stati chiamati a svolgere un servizio di assistenza e supporto a queste popolazioni.

L’aiuto offerto nella sfera corporea e nell’ambito organizzativo è necessario, ma non sufficiente per attivare iniziative che rispondano integralmente ai bisogni e alle attese della gente. “Occorre affiancare questi interventi con una prossimità samaritana, capace di condividere e offrire aiuto con stile evangelico e mobilitando l’attenzione sui valori umani, autentici ed universali. Quello dell’anima è, in genere, un sisma sommerso” precisò Petrocchi, ribadendo che “I dissesti dell’anima, generati da fatti sconvolgenti sono fenomeni difficili da sondare: occorrono centri di osservazione spirituali, psicologici e sociali ben attrezzati; non bastano, infatti, sensori occasionali ma bisogna organizzare stazioni permanenti di rilevamento per seguire l’andamento della situazione”.

“Chi vuole farsi prossimo di coloro che sono stati colpiti da un evento dirompente” sostiene il Card. Petrocchi “deve imparare ad ascoltare le voci di chi ha subito la calamità: sia quelle che parlano esplicitamente (attraverso il racconto), sia quelle che si esprimono con un apparente silenzio. Per questo, i primi verbi da coniugare per la ricostruzione spirituale e civile non sono progettare e fare, ma ascoltare e incontrare: cioè, accogliere i bisogni profondi della gente, per disporli secondo il giusto ordine di priorità, e intensificare la tessitura delle relazioni convergenti, che potenziano la coscienza fattiva di essere un’unica famiglia. Dunque” conclude l’arcivescovo “le operazioni necessarie sono: captare la sofferenza, comprenderla (utilizzando categorie interpretative adeguate) riconoscerle un significato, integrarla in un progetto esistenziale, renderla una opportunità di crescita globale. Impresa, questa, da condurre al plurale: si fa in comunione e genera comunione.

E, la presenza degli angeli del fango, potrà essere un buon inizio per la rinascita umana e spirituale di coloro che sono stati colpiti da questa nuova tragedia, l’alluvione dell’Emilia Romagna, ma l’impegno delle comunità cristiane, dovrà necessariamente passare dalla prossimità samaritana.

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