Dal rischio dell’individualismo alla bellezza dell’unità. Al Festival dell’Umano tutto intero, il presidente della CEI card. Zuppi smonta le logiche divisive e rilancia la forza della comunità.
«Se il cristianesimo è comunità, allora non può diventare né un club, né una ONG. Perché non si fa volontariato con un fratello. Lo si ama». Queste le parole del Cardinale Matteo Zuppi al Festival dell’Umano tutto intero, in un intervento appassionato che ha attraversato con lucidità e ironia i drammi dell’individualismo contemporaneo, la sfida dell’unità nella diversità, e il ruolo insostituibile della Chiesa come “famiglia universale”.
Una Chiesa che ascolta: basta parlare addosso
Zuppi, nel suo stile inconfondibile, ha richiamato la necessità di riscoprire il valore dell’ascolto: «Anche noi preti e vescovi dobbiamo imparare ad ascoltare. Spesso parliamo sopra gli altri, e alla fine le parole diventano vuote». Per il cardinale, l’ascolto è il primo passo per una vera comunità: «Le relazioni sono un esercizio, e oggi ci esercitiamo troppo poco nel rispetto, nella cura dell’altro. Viviamo in una cultura in cui tutti parlano, ma pochi ascoltano davvero».
Contro le logiche divisive: “Andare d’accordo con tutti non è debolezza”
Tra le righe (e battute) del suo discorso, non è mancata una critica ai meccanismi di contrapposizione dentro e fuori la Chiesa: «A me dicono: “Tu vai d’accordo con tutti”. Me ne vanto! Dobbiamo imparare a parlare con tutti, anche se oggi se parli con qualcuno, subito qualcuno pensa che stai contro qualcun altro». Il Cardinale denuncia una logica impoverente, in cui si preferisce lo scontro alla relazione, e avverte: «Chi vive solo di contrapposizione, finisce come quei soldati giapponesi che combattevano senza sapere più contro chi».
Il primato della comunità: “Siamo diventati isole”
Zuppi ha poi lanciato un grido d’allarme contro il crescente isolamento: «Viviamo in un mondo individualista. Siamo isole. E l’individualismo è un virus insidioso». Un richiamo forte all’essere Chiesa, “madre che tiene insieme”, come antidoto alla solitudine: «La Chiesa è famiglia. E se è davvero tale, le famiglie saranno più forti. E viceversa». Un’unità, però, che non significa pensiero unico: «Fare squadra non vuol dire omologazione. La comunità è la diversità che si compone insieme».
La visione antropologica: “La persona non è un algoritmo”
Un punto centrale del discorso è stato il richiamo alla visione antropologica cristiana, «strumento essenziale per il discernimento pastorale», soprattutto in un tempo dominato dalla tecnica e dalla logica dell’efficienza: «La persona non è un sistema di algoritmi. Lo ripeterei mille volte». Denunciando l’aumento di solitudini, malattie relazionali e disturbi interiori, Zuppi ha sottolineato come dietro ogni fragilità ci sia «una mancanza di comunità, di paternità, di relazioni vere».
Pace, kerygma, dialogo: non si possono separare
Con uno sguardo profondo anche sul ruolo pubblico della fede, Zuppi ha evidenziato come le grandi categorie cristiane debbano restare unite: «Non c’è pace senza kerygma. Non c’è Chiesa senza incarnazione. L’antropologia, il Vangelo, la storia, la vita presente: tutto deve stare insieme». Una risposta netta a chi vorrebbe contrapporre fede e cultura, identità e apertura. “Il mondo è una tragedia e la guerra continua ad essere il modo con cui si risolvono i conflitti”.
Politica, fede e gratuità: “Difendiamo la vita tutta, dall’inizio alla fine”
Non poteva mancare una riflessione sul senso della politica oggi: «C’è poca gratuità, poca idealità, troppa ideologia. La politica si è trasformata in meccanismo e opportunismo». Zuppi ha invitato a recuperare le radici spirituali dell’impegno civile: «La motivazione vera è servire l’altro senza interesse, o meglio, con l’unico interesse: quello del Signore e della gente». Ha poi richiamato con forza l’insegnamento di Papa Francesco sulla vita: «Difendere la vita dall’inizio alla fine ci aiuta a difendere anche tutto ciò che c’è in mezzo».
L’io ha bisogno del noi: “Solo nella comunità l’io si salva”
Il sociale e lo spirituale non sono divisibili: “Lo spirituale è dentro il sociale, e il sociale – anche se qualche volta facciamo più fatica – è sempre anche dentro lo spirituale”. Il Cardinale ha rilanciato la sfida della comunità come via per uscire dalla crisi del soggetto contemporaneo: «L’io sta bene quando trova il noi. Quando trova una comunità». Citando don Giussani, ha ricordato: «La dimensione comunitaria non è la negazione della libertà, ma la condizione perché essa si affermi. Io sono libero se sono per qualcuno». Essere cattolici oggi è allora non è per nulla irrilevante, perché il mondo sta andando da tutt’altra parte.
Un ospedale da campo da trasformare
Zuppi non ha usato mezzi termini per definire la realtà di oggi: «Il mondo è un ospedale da campo». Ma ha aggiunto, con un sorriso e una speranza: «Possiamo trasformarlo in un luogo dove ogni persona – ogni io – possa trovare sé stesso». Un compito che chiama in causa tutti. Un invito accorato a “fare goal”, superare il tatticismo sterile, e ritrovare il senso profondo della fede cristiana: «Cristo non ci ha fatti cristiani per noi stessi, ma per qualcosa di più grande».
Il Festival dell’Umano Tutto Intero è un evento culturale e civile promosso dal network “Ditelo sui tetti”, nato per rimettere al centro del dibattito pubblico la questione antropologica: che cos’è l’uomo? Qual è il suo valore, la sua dignità, il suo destino? L’iniziativa prende il nome da un’intuizione di Karol Wojtyla, che già negli anni ’60 invitava a guardare alla persona umana nella sua totalità – corpo, mente, spirito, relazioni, fragilità – contro ogni riduzione tecnocratica, ideologica o individualista.
Dopo una prima edizione dedicata ai rischi della riduzione dell’umano, la seconda edizione (Roma, 17-18 giugno 2025) si inserisce nel contesto del Giubileo della Speranza e affronta il tema: “Fra vitalismo e nichilismo nel cambio d’epoca: i luoghi e le strade della speranza”. L’obiettivo è indicare, in un tempo segnato da smarrimento culturale e crisi di senso, quali siano oggi i luoghi dell’umano – nascere, lavorare, imparare, curare… – e le strade che possono ancora alimentare la speranza: la famiglia, il creato, le relazioni, l’educazione alla libertà.
Il festival propone due giorni di incontri intensi e brevi, con interventi di filosofi, poeti, politici, religiosi, accademici e artisti, uniti dalla volontà di interrogarsi su come costruire un futuro che custodisca davvero l’umano, tutto intero. A completare il programma: poesia, video, mostre e testimonianze concrete, tra cui un’esposizione sui 50 anni del Movimento per la Vita.
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