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I cristiani in Medio Oriente sono il ponte della pace 

da | 16 Giu 2025 | Oriente Cristiano

Se i Cristiani spariscono, il Medio Oriente perderà la sua anima”. L’intervista al Patriarca maronita Bechara Boutros al-Rai

Nel silenzio solenne della residenza patriarcale di Bkerké, affacciata sulle colline che dominano la baia di Jounieh, l’ottantacinquenne Cardinale libanese Bechara Boutros al-Rai, con voce ferma e sguardo profondo, lancia un appello accorato al mondo: “Non lasciate che i cristiani scompaiano dal Medio Oriente. Senza di noi, la pace è in pericolo”.

In un’epoca in cui l’emigrazione cristiana si fa esodo, il Patriarca maronita di Antiochia non si limita a registrare il declino: lo combatte con le parole, la fede e l’azione. “Se il Medio Oriente viene svuotato dei cristiani,” ci dice, “i musulmani perderanno un elemento di equilibrio. Noi cristiani siamo il fattore di moderazione. Senza di noi, il rischio è il fanatismo, il caos.”

“Non contate solo i cristiani. Capite il loro valore”

Il Patriarca denuncia una visione miope dei governi mediorientali: “Si preoccupano del numero, ma ignorano il significato. Non si tratta solo di quante famiglie restano, ma del contributo spirituale, culturale e sociale che i cristiani danno ogni giorno”. In Libano, unico Paese arabo dove i cristiani non sono minoranza, la Costituzione garantisce la convivenza. Ma altrove, in Siria, Iraq e Giordania, “i cristiani sono tollerati, ma restano cittadini di seconda classe”.

Eppure, in una regione martoriata da conflitti, l’esempio libanese brilla ancora. “Il nostro modello costituzionale dimostra che è possibile vivere insieme, cristiani e musulmani, senza contraddizioni. Nessuna legge va contro Dio. La nostra speranza è che anche altri Paesi seguano questa via.”

La scuola: dove si costruisce la convivenza

In una delle sue dichiarazioni più potenti, il cardinale racconta del paradosso educativo libanese: “Nel sud, nelle nostre scuole cattoliche, gli alunni sono tutti musulmani. Ma continuiamo a tenerle aperte. Perché? Perché lì si costruisce la cultura della convivenza, del rispetto, della moderazione.”

Nel 2024, la fondazione pontificia Aid to the Church in Need ha sostenuto più di 160 scuole cristiane in Libano. “È lì che si semina la speranza. È lì che il Medio Oriente può ancora rinascere.”

Una crisi che svuota il Paese, ma non la fede

Ma la situazione resta drammatica. La crisi economica ha travolto il Libano come uno tsunami silenzioso. Il Paese è scivolato al 102° posto nell’indice di sviluppo umano dell’ONU, mentre quasi metà della popolazione vive in povertà. I giovani – cristiani e musulmani – fuggono all’estero, portando via con sé competenze, speranze, futuro.

“I musulmani ricevono aiuti da altri Paesi islamici,” spiega il Patriarca. “Ma i cristiani hanno solo la Chiesa. E la Chiesa è povera. È una miseria che si tocca con mano: medicine, cibo, ospedali. Eppure, le nostre chiese sono piene di giovani. Questo è il nostro mistero: nella sofferenza, la fede si rafforza.”

I custodi delle radici

Il cardinale non ha dubbi: i cristiani non sono stranieri in Medio Oriente. “Siamo i custodi delle radici cristiane. Qui è nata la nostra fede, qui sono nate le prime comunità. Siria, Iraq, Libano, Giordania, la Terra Santa: se i cristiani se ne vanno, perdiamo la memoria viva di duemila anni.”

La sua è una voce profetica, che invita all’azione. Ma è anche una voce ferita. “Chi controllerà la Siria, l’Iraq, l’Egitto, se tutti se ne andranno? Nessuno lo sa. Ma noi abbiamo una missione: rimanere. Testimoniare. Vivere insieme ai nostri fratelli musulmani. Insieme possiamo salvare il Medio Oriente.”

Un invito al mondo

Nel concludere l’intervista, il Patriarca non nasconde l’amarezza, ma nemmeno la speranza. “Il Medio Oriente non sarà mai pienamente umano senza i cristiani. Noi non cerchiamo privilegi. Cerchiamo giustizia. Cerchiamo pace. E vogliamo restare. Aiutateci a restare.”

Lontano dai riflettori della geopolitica e dalle logiche del potere, la voce del Patriarca al-Rai è quella di un popolo antico che non vuole essere dimenticato. Un popolo che, come il cedro del Libano, resiste al tempo e alle tempeste. Ma che ha bisogno, oggi più che mai, che qualcuno lo aiuti a non cadere.

Per l’intervista completa, cliccare qui.

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