Il libro che abbiamo tra le mani, “Cieli sereni. Trovare Cristo seguendo le stelle (e con l’uso di un telescopio)” di Peyron Luca, ci consegna una profonda passione verso l’universo e gli astri. L’autore di Cieli Sereni ce la testimonia, poiché trascorre tante notti “sul tetto della parrocchia” scrutando i cieli (cfr. 15), e cercando di conoscere stelle, pianeti, galassie. Egli narra questo suo amore, ma lo fa dal punto di vista cristiano: è un sacerdote della diocesi di Torino, parroco e riferimento spirituale per i giovani universitari.
Leggendo Cieli Sereni, riaffiorano – infatti – tanti temi teologici e antropologici. La pagina 20 rimanda – con semplicità e fermezza – alla contemplazione, e ci consegna la preghiera del Padre nostro e l’impegno per l’edificazione del Regno; la persona immagine divina brilla a pagina 79; il Signore Gesù è indicato come la bussola per il cammino di ognuno: «Siamo tutti in cerca di una stella che non tramonta, che illumini anche là dove non arriva più. Una stella che ci riveli chi siamo, verso dove siamo diretti, verso chi siamo diretti. Cristo è questa stella senza tramonto» (155).
Il fondamento della sua ispirazione è magisteriale: «Così comincia la Bibbia, il codice dei codici. Non comincia con l’essere umano. Comincia con uno spazio. Non è una descrizione scientifica, ma è un racconto che permette a tutti, scienziati e non, di spiegare – come soleva dire Galileo Galilei – non come vadia il cielo, ma come si vada in Cielo. Soprattutto i perché. Il senso delle cose» (27); viene citata la prima lettera enciclica di papa Francesco: Lumen fidei; è sottolineato il desiderio di «leggere la Scrittura sulle ginocchia della Chiesa» (109).
I risvolti sono antropologici: «Imparando piano piano a riconoscere quello che in modo disordinato ammucchiavo nelle prime osservazioni, mi sono fatto questa domanda: darei il nome alle mie cicatrici? Quali nomi userei? Quelli di chi mi ha ferito, per poterne covare un risentimento mirato? Luoghi, nomignoli, vezzeggiativi, numeri? Le ferite speriamo si rimarginino e le cicatrici speriamo che non restino. Quelle interiori, le più serie, non si vedono anche se di tanto in tanto riprendono a sanguinare. Cerchiamo di dimenticarle, in fondo il perdono è anche questo, fare in modo che un dolore procurato non faccia più male. […] L’osservazione del cielo profondo, stare con gioia nel firmamento, penso che prima di tutto possa significare questo: guarire dentro» (35); riguardano tutte le persone umane: «Saresti disposto, disposta, a prendere carta e penna e dare un nome ai tuoi crateri? Vederli da vicino, rivederli con fermezza anche se con fremiti?» (36). Riaffiorano i temi della libertà (cfr. 28), della reciprocità (cfr. 31) e delle relazioni (cfr. 17), della luce (cfr. 39.43.104.122), della pienezza (cfr. 57), dell’orgoglio (cfr. 59), dell’invidia (cfr. 85), dell’incontro (cfr. 111.119), dei fallimenti e della gioia autentica (cfr. 116-119), della custodia (cfr. 122).
Gli aspetti che accomunano questo testo alle analisi scientifiche e alle ricerche cosmiche sono: “i tempi del cosmo”; «l’astronomia mi educa ai tempi del cosmo, che sono lunghi e larghi» (18); le “cicatrici” e i “crateri” (cfr. 35-36); l’astrofotografia (cfr. 107-108); la dinamica e l’equilibro (cfr. 110); la custodia della luce (cfr. 122).
Peyron ci dona un libro che apre inedite prospettive al mondo cristiano; delle riflessioni che ci permettono di allargare il nostro sguardo, ben oltre il recinto ecclesiale; una esperienza di vita che affianca quella della scienza e della astronomia “ufficiale”, per coglierne le profonde ricchezze, ma anche per offrire un piccolo contributo molto vicino ai vari cammini personali. Ci fa contemplare quella «immortale bellezza di colori e di forme» (129), per mezzo della quale tocchiamo con mano l’amore di Dio (cfr. 139). Ci lancia la benevola sfida dell’ascolto, delle relazioni, della preghiera; al fine di cogliere la Bellezza e la Bontà che ci abitano dentro e rendono il mondo armonioso (cfr. 141).