Periodico di informazione religiosa

I Vespri con papa Francesco nella Conversione di San Paolo

da | 26 Gen 2024 | Teologia

Presiedendo la celebrazione dei Secondi Vespri nella solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, papa Francesco ha chiuso ieri, giovedì 25 gennaio, la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella romana basilica di San Paolo fuori le Mura.

I temi affrontati dal Pontefice nella sua omelia sono stati: la carità verso il prossimo e l’unità di tutti i battezzati. Il Papa, prendendo spunto dalla proclamata pagina lucana del buon Samaritano (cfr. 10,25-37), ha evidenziato come la vocazione cristiana spinga verso gli altri-da-sé, senza aspettarsi gesti in cambio; essa rimane una chiamata per la persona umana di tutti i tempi. Infatti, Francesco ha affermato: «Chiama in causa anche noi. Perché, cari fratelli e sorelle, a comportarsi male, con indifferenza, sono il sacerdote e il levita, i quali antepongono ai bisogni di chi soffre la tutela delle loro tradizioni religiose. A dare senso alla parola “prossimo” è invece un eretico, un Samaritano, perché si fa prossimo: prova compassione, si avvicina e teneramente si china sulle ferite di quel fratello; si prende cura di lui, indipendentemente dal suo passato e dalle sue colpe, e lo serve con tutto sé stesso (cfr Lc 10,33-35). Ciò permette a Gesù di concludere che la domanda corretta non è “Chi è il mio prossimo?”, ma: “Io mi faccio prossimo?” Solo questo amore che diventa servizio gratuito, solo questo amore che Gesù ha proclamato e vissuto, avvicinerà i cristiani separati gli uni agli altri. Sì, solo questo amore, che non torna sul passato per prendere le distanze o puntare il dito, solo questo amore che in nome di Dio antepone il fratello alla ferrea difesa del proprio sistema religioso, solo questo amore ci unirà. Prima il fratello, dopo il sistema».

Tutti quanti noi battezzati – ci ricorda il Pontefice – apparteniamo all’unico Corpo del Signore; «e di più, perché ogni persona nel mondo è mio fratello, mia sorella, e tutti componiamo la “sinfonia dell’umanità”, di cui Cristo è primogenito e redentore». L’amore di Dio infrange ogni barriera: religiosa o etnica, culturale o politica, di provenienza, di tradizione, o di appartenenza.

Papa Francesco – in questo giorno di festa – ci consegna il cammino di fede di Paolo, affermando: «Non “che devo fare per ereditare?”, ma “che devo fare, Signore?”: il Signore è il fine della richiesta, la vera eredità, il sommo bene. Paolo non cambia vita sulla base dei suoi obiettivi, non diventa migliore perché realizza i suoi progetti. La sua conversione nasce da un capovolgimento esistenziale, dove il primato non appartiene più alla sua bravura di fronte alla Legge, ma alla docilità nei riguardi di Dio, in una totale apertura a ciò che Lui vuole. Non alla sua bravura ma alla sua docilità: dalla bravura alla docilità. Se Lui è il tesoro, il nostro programma ecclesiale non può che consistere nel fare la sua volontà, nell’andare incontro ai suoi desideri. E Lui, la notte prima di dare la vita per noi, ha ardentemente pregato il Padre per tutti noi, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Ecco la sua volontà».

Il fondamento della umana fraternità rimane la preghiera; il Papa lo ha ribadito nel suo pensiero omiletico: «Insieme, come fratelli e sorelle in Cristo, preghiamo con Paolo dicendo: “Che cosa dobbiamo fare, Signore?”. E nel porre la domanda c’è già una risposta, perché la prima risposta è la preghiera. Pregare per l’unità è il primo compito del nostro cammino. Ed è un compito santo, perché è stare in comunione con il Signore, che per l’unità ha anzitutto pregato il Padre. E continuiamo a pregare pure per la fine delle guerre, specialmente in Ucraina e in Terra Santa».

La forza della comunione è saldamente radicata nella risurrezione da morte del Figlio di Dio e Figlio dell’uomo; che diventa una elargizione di vita per tutte le creature; il Papa concludeva, infatti, la sua riflessione con questa esortazione, carica di speranza: «Alzati, dice Gesù a ciascuno di noi e alla nostra ricerca di unità. Alziamoci allora, nel nome di Cristo, dalle nostre stanchezze e dalle nostre abitudini, e proseguiamo, andiamo avanti, perché Lui lo vuole, e lo vuole «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Preghiamo, dunque, e andiamo avanti, perché questo Dio desidera da noi. E’ questo che desidera da noi».

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