L’Aquila. Sarà l’ultimo Natale del Cardinale Giuseppe Petrocchi come Arcivescovo Metropolita aquilano, e quest’anno, nel suo decimo messaggio alla comunità Ecclesiale e Civile, l’invito a prendere come esempio i Pastori di Betlemme, per un autentico vissuto natalizio.
Ad apertura del suo messaggio il Cardinale ricorda che ‘Gesù entra nella nostra storia, per trasformarla con la Sua grazia. Assume, nella sua umanità, l’esistenza di tutti e di ciascuno: diventa nostro contemporaneo e abita le nostre vicende: liete e dolorose’.
Questa affermazione è il punto di partenza della riflessione che ha come riferimento il brano di Vangelo di Luca: 2, 2-20, dove partendo da un fatto storico, il censimento indetto dall’imperatore Augusto, si analizza l’accaduto della Santa Famiglia che recandosi a Betlemme, ‘si mette alla trepida ricerca di una dimora, poiché Maria, avendo compiuto il periodo di gravidanza, stava per mettere alla luce il Figlio (il Verbo fatto carne!) che portava in grembo’.
Il Cardinale Arcivescovo parte da una considerazione sulla circostanza narrata dal Vangelo di Luca in cui si attesta che non trovando ospitalità, Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio».
Afferma Petrocchi che ‘non sembra che questa grave mancanza di ospitalità sia da ricondurre ad un atteggiamento preventivamente ostile degli abitanti di Betlemme: essi hanno opposto un rifiuto alla richiesta di accoglienza perché non volevano che a casa loro entrasse gente scomoda e bisognosa di aiuto. Forse avranno pensato: “meglio negare l’ingresso a questi sconosciuti piuttosto che mettere a rischio la nostra tranquillità e il nostro consolidato stile di vita”. Ma mettendosi al riparo dietro abitudini egoistiche si sono privati di una grazia straordinaria: la visita del Dio-fatto-uomo, che avrebbe certamente offerto sovrabbondanti favori e benedizioni’.
Alla luce di questo fatto, l’Arcivescovo esorta ‘a vigilare per non essere contaminati dalla “sindrome della porta chiusa”, che ci impedisce di fare posto al Signore che chiede di essere aiutato nel prossimo bisognoso’, perché ‘la indisponibilità al soccorso ci barrica nei nostri angusti privilegi e ci sottrae i doni preziosi che Dio concede a coloro che si aprono alla accoglienza’.
Nella sua decennale presenza all’Aquila, il Cardinale Petrocchi in più occasioni ha posto l’attenzione sulla necessità di una crescita ecclesiale nell’ambito della comunione e della condivisione e questo messaggio natalizio rafforza questa attenzione quando parlando delle carenze morali, miopie spirituali e precarietà esistenziali, ricorda che ‘la scarsa propensione del cuore verso gli altri danneggia anzitutto noi stessi. Capita, per questo, che restiamo imbrigliati nella lamentela e nella audodeplorazione, avvolti dalla tristezza o intossicati dalla rabbia, per situazioni avverse che avremmo potuto evitare o superare con un “sovrappiù” di amore’.
Enunciato il disordine comportamentale degli abitanti di Betlemme, ‘che se ne stanno “al coperto” nelle loro abitazioni’, Petrocchi introduce la figura dei pastori che “pernottano all’aperto”. Essi ‘sono privi di pareti protettive e del riparo di un tetto; quindi esposti alle intemperie e ai rischi di aggressioni da parte di briganti o animali selvatici. Vivono una condizione di indigenza e vulnerabilità; rispetto ai loro concittadini appaiono deprivati di un ambiente confortevole: ma proprio in questa precarietà si presenta l’angelo e sono avvolti da una luce che viene dall’Alto. Così, la loro condizione di “svantaggio” diventa lo spazio in cui Dio si manifesta’.
‘Proprio a loro, socialmente “marginali” e di basso rango, viene consegnato il messaggio più importante nella storia dell’umanità, fonte di immensa esultanza: la redenzione promessa da Dio, e costantemente proclamata dai profeti nel corso dei secoli, si è compiuta. È nato il Salvatore: Colui che riscatta il popolo credente dal male e lo rende capace di vivere nel bene, consentendogli di accedere ai doni infiniti di Dio’.
In questo messaggio natalizio, dove si riconferma ancora il linguaggio che ha segnato il decennale ministero episcopale all’Aquila, dove il terremoto dell’anima e la pastorale samaritano hanno contraddistinto molto del suo magistero episcopale, Petrocchi afferma che ‘anche a noi può capitare che – proprio nei tratti “desertici” della nostra esistenza, attraversati dalla sofferenza e segnati dalla debolezza – il Signore ci viene incontro offrendoci la soluzione e una pienezza di vita imprevista. I tempi dell’angoscia e gli urti destabilizzanti delle avversità diventano così occasioni per l’arrivo di novità trasformanti e migliorative: che inaugurano periodi animati da soddisfazione e gioia profonda. L’annuncio che la Misericordia di Dio si è chinata sulle nostre vicende raggiunge anche noi – in modo ritornante – attraverso l’intervento di qualche “angelo”: cioè per mezzo di persone o eventi che ci comunicano un messaggio proveniente dal Cielo. In questa prospettiva (e in senso analogico) è da considerare “angelo” sia la Comunità ecclesiale come ogni altra figura “profetica” (costituita da sacerdoti, parenti, amici, fatti accaduti..) a cui è affidato il compito di svolgere, a nostro vantaggio, una “missione” redentiva: portatrice di verità e di bene. Attraverso i saggi consigli e la sollecita prossimità di fratelli e sorelle che ci amano è sempre Dio che ci parla e si pone a nostro fianco’.
Parlando dei Pastori che ‘sono invitati a mettersi in cammino, per andare a vedere il Messia, l’Atteso dalle genti’, con inaspettate sorprese per loro nell’incontro con il Verbo di Dio che si è fatto carne, Petrocchi ricorda che ‘anche nel nostro caso i messaggeri che, in nome di Dio, ci comunicano la Sua volontà possono delineare progetti e itinerari non messi in preventivo: ma occorre lasciarsi “sorprendere” dal Signore, che va al di là dei nostri schemi. L’annunzio – che ci può arrivare dalla nostra coscienza come da persone esterne – se è autentico, non è mai vago ma indica sempre una concreta direzione di marcia. Ci viene sempre data una “mappa” esistenziale del percorso da compiere per giungere puntuali all’appuntamento con il Signore, che apre la “via di uscita” dai problemi e spalanca prospettive che cambiano in positivo l’avvenire. La risposta, che abbiamo aspettato e invocato, spesso è “deposta” in situazioni “umili” e lì va cercata: nell’ascolto di alcuni “passi” della Bibbia, in incontri provvidenziali e in azioni, animate dalla carità che «tutto copre, crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7). In particolare, l’amore-che-sa-servire e ci proietta verso le “periferie esistenziali” (vicine e lontane), costituisce di frequente un “ponte” evangelico che ci consente di superare ostacoli, prima invalicabili e di scoprire, in un terreno che non avremmo mai immaginato, il “tesoro nascosto” che invano avevamo cercato altrove’.
Dal comportamento e dall’esperienza vissuta e testimoniata dai pastori, il cardinale Petrocchi, trae una lezione di vita che ‘deve essere “esemplare” e attuale anche nel nostro tempo. Per “fare-Natale” bisogna lasciare il primo posto a Gesù che “bussa” alla nostra porta (cfr. Ap 3,20) ma anche offrire al mondo in cui viviamo l’esperienza festosa e solenne dell’incontro con il Figlio di Dio-fatto-uomo, venuto “tra” noi e “per” noi’.
Il massaggio natalizio, si conclude con un pensiero che ha segnato questi ultimi due anni nelle riflessioni del Cardinale sul dramma ‘di guerre che seminano distruzioni e morte, in territori vicini e lontani. Da credenti non possiamo rassegnarci o restare indifferenti: la celebrazione del Natale ci abilita e ci obbliga ad essere “costruttori di pace”, anzitutto con la preghiera perseverante e corale, ma anche attraverso l’impegno a “fare pace”: con noi stessi, con gli altri e nelle comunità in cui siamo inseriti. Ogni tassello di riconciliazione contribuisce a comporre il grande mosaico della pace, a livello locale e universale’.