C’è un tipo di nostalgia che non ha logica, eppure ci abita con insistenza. Arriva all’improvviso: mentre guardiamo un vecchio film in bianco e nero, ascoltiamo la voce graffiata di un vinile, o camminiamo tra i palazzi liberty di una città sconosciuta.
È una stretta dolce e inspiegabile nel petto. Non ci manca qualcosa che abbiamo perso. Ci manca qualcosa che non abbiamo mai avuto.
In un’epoca come la nostra — fatta di velocità, smaterializzazione, e algoritmi che scorrono più veloci dei nostri pensieri — si fa spazio una nuova forma di malinconia. Ha nomi strani, quasi poetici: anemoia ed eramnesia. Non sono termini clinici né accademici, ma hanno iniziato a circolare nelle nicchie del web, nella letteratura e tra chi prova a dare voce all’indefinito.
Il fantasma del tempo non vissuto
Anemoia è una parola coniata da The Dictionary of Obscure Sorrows, un progetto creato dallo scrittore americano John Koenig per descrivere emozioni che la lingua comune non sa nominare.
La definizione è chiara e spiazzante: “Nostalgia per un’epoca che non si è mai vissuta.”
Un sentimento diffuso, soprattutto tra le generazioni più giovani, che spesso guardano al passato — gli anni ’60, il Dopoguerra, il Rinascimento, persino il Medioevo — con una tenerezza carica di desiderio, come se quegli anni racchiudessero una promessa di autenticità che il presente non riesce a mantenere.
Eramnesia, invece, è un termine meno noto, usato in ambiti filosofici o letterari. Descrive una sensazione ancora più sottile: la percezione di aver dimenticato un tempo che, in realtà, non si è mai vissuto. Non è solo nostalgia, è quasi una “amnesia inversa” del tempo.
Come se una parte di noi avesse già attraversato quei giorni lontani e ora ne sentisse la mancanza, senza avere accesso ai ricordi.
Perché ci sentiamo così?
Queste emozioni non sono solo poetiche: parlano del nostro rapporto fratturato con il tempo.
In un presente perennemente instabile, sovraccarico di stimoli e privo di punti fermi, il passato diventa una terra mitica, ideale, forse mai esistita davvero — ma incredibilmente seducente.
Non è un caso se cinema, moda e social media sono pieni di estetiche retrò, revival culturali e filtri che invecchiano le immagini. Il passato viene romanticizzato perché sembra offrire ciò che oggi manca: profondità, lentezza, relazioni umane meno mediate, una vita con “più anima”.
Ma questa proiezione è anche un’illusione. La nostalgia per tempi non vissuti può idealizzare troppo e dimenticare le difficoltà reali di quelle epoche. Tuttavia, ciò non rende il sentimento meno autentico. È reale, anche se non ha radici storiche. È una nostalgia esistenziale, non biografica.
Una bussola nell’incertezza
Chi prova anemoia o eramnesia spesso non cerca davvero di fuggire dal presente, ma di riconnettersi a una parte profonda di sé, forse sopita, forse mai del tutto nata. È il desiderio di appartenenza, di coerenza temporale, di riconoscersi in un mondo che non sembra più avere confini stabili.
Queste emozioni ci raccontano che l’identità non è solo ciò che abbiamo vissuto, ma anche ciò che sentiamo di poter essere stati. Ci parlano di immaginazione, di memoria collettiva, e della nostra naturale tendenza a cercare storie in cui collocarci — anche se quelle storie non ci appartengono davvero.
Un tempo tutto nostro
Forse, alla fine, non importa se quel passato è reale o immaginato. Ciò che conta è il dialogo che queste emozioni aprono tra il tempo e l’anima. In un’epoca che ci vuole proiettati sempre avanti, anemoia ed eramnesia sono un piccolo atto di resistenza interiore: ci ricordano che il futuro non basta se non sappiamo da dove veniamo, anche se quel luogo non l’abbiamo mai abitato davvero.