La quarta Predica quaresimale di fra Roberto Pasolini, Frate Minore Cappuccino e Predicatore della Casa Pontificia, si è aperta con questa espressione, che fa riferimento al cammino catechetico e quaresimale che sta per volgere al termine: «Le meditazioni che abbiamo proposto in questi venerdì di Quaresima, nell’anno del Giubileo, avevano lo scopo di aiutarci a rimanere fondati e fermi sull’àncora di Cristo, ancorati in Cristo. Egli è una porta, da attraversare con fiducia, per entrare in relazione con Dio; ma è anche una vita, ricca di dinamismi, sfumature, alla quale siamo chiamati a convertire la nostra vita».
L’esistenza trasfigurata dal Vangelo – ci ha ricordato fra Roberto – porta con sé le seguenti caratteristiche: la capacità di accogliere ogni cosa come un dono, la libertà di andare oltre i successi e gli insuccessi, l’umiltà e la gioia di sapersi rialzare dopo ogni sconfitta. C’è ancora una ultima qualità della vita nuova in Cristo, che il Predicatore ha esposto ai presenti nell’Aula Paolo VI, lo scorso venerdì mattina: «quella di sapersi congedare, quando tutto il possibile e il necessario è stato compiuto. È quanto il Signore Gesù ha fatto nel momento della sua Ascensione al cielo. In quel gesto di separazione e di commiato dalla storia, ci ha lasciato una preziosa eredità: ci ha mostrato come si possa uscire di scena, restituendo alla storia tutta la sua libertà; anzi, allargando i confini della speranza, per tutti».
Pasolini ha consegnato – nella sua meditazione – ai fedeli l’esperienza che il Signore Risorto dona di fare a Maria Maddalena, quella – cioè – della seconda conversione; «questa si sblocca quando ci sentiamo chiamati per nome; è un movimento che non possiamo fare con le nostre forze, ma avviene quando Dio riesce a chiamarci di nuovo alla speranza e alla vita. Proprio noi, per nome». Nello stesso tempo, la sua meditazione è stata fortemente incentrata sul mistero dell’Ascensione del Signore, riletta – questa – secondo questa ottica di fede e di vita: un invito a «saper abbassare lo sguardo, perché la tentazione sarebbe quella di tenerlo rivolto in alto, [imprigionati come siamo in una] fascinazione religiosa di aspirare a qualche ideale, a qualche mondo ideale, a qualche progetto ideale, a qualche traguardo; e sono i modi in cui noi cerchiamo di salvarci dalla morte, dalla nostra povertà, dalla nostra finitudine: proiettare in alto la nostra vita, anziché continuare ad affrontare il cammino orizzontale che ci aspetta. Invece c’è un modo di guardare in lato, a Dio, tutto diverso»; il Cappuccino lombardo ha fatto, dunque, riferimento al dono che Dio ha elargito alla intera umanità, nella missione del Figlio: nella sua incarnazione, nel servizio reso alla persona, nella sua croce, nel nascondimento della morte. Perciò sottolinea che la nostra vocazione rimane quella di vivere la vita di Cristo, saldamente ancorati alla storia.
Dopo l’Ascensione di Gesù, ciascuno di noi è chiamato a «diventare la presenza viva di Dio nella storia, in ogni epoca e in ogni luogo. Il Maestro si allontana per condurre i propri discepoli a vivere oltre se stessi, là dove è possibile crescere in armonia con se stessi e in solidarietà con gli altri; obbedendo al comando più importante: diventare pienamente umani».
Cogliamo questo invito del Predicatore della Casa Pontificia: «Essere nella storia le sue membra, il suo corpo», e viviamo – intensamente e con consapevolezza – la Pasqua del Figlio dell’uomo, che è vita, salvezza e grazia in abbondanza a vantaggio di tutte le creature.
© photo<p><a href=”https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Fra_Roberto_Pasolini.jpg