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La terza Predica quaresimale di fra Roberto Pasolini

da | 5 Apr 2025 | Teologia

La terza predica quaresimale di fra Roberto Pasolini, Frate Minore Cappuccino lombardo, portava il seguente titolo: “Sapersi rialzare”. Venerdì mattina, 4 aprile, nell’aula Paolo VI in Vaticano, il Predicatore della Casa Pontificia ha proseguito nell’itinerario meditativo intorno all’evento del Giubileo, affermando, all’inizio della sua riflessione: «il nostro desiderio di lasciarci alle spalle il peccato e accedere alla vita in Cristo, porta di speranza che ci conduce alla salvezza e alla vita eterna».

«Se vogliamo rimanere uniti a Cristo, dobbiamo imparare a nuotare nelle acque del nostro battesimo; perché il battesimo è una vita, che dobbiamo accogliere responsabilmente e personalmente»: ha ricordato il Predicatore.

Concentrandosi sulla realtà della Risurrezione di Cristo, fra Roberto ha affermato: «Guardare alla Risurrezione significa non lasciarsi irretire o imprigionare dalla paura della sofferenza e della morte; ma mantenere lo sguardo fisso sulla meta, verso cui l’amore di Cristo ci conduce. Naturalmente tutto questo esige una rinuncia importante: abbandonare la convinzione che sia impossibile rialzarsi e ricominciare; anche dopo le più grandi sconfitte e i più grandi fallimenti».

“Cosa l’amore è capace di fare, nel momento in cui si rialza da una grande sconfitta”: è il cuore del messaggio evangelico che il Predicatore rilancia all’assemblea che lo ascolta; «Rileggere la Risurrezione come un atto di amore, e non come espressione di una potenza»; «Chi ama davvero, non sente mai il bisogno di contare i torti subiti, perché la gioia di quello che ha vissuto supera ogni rancore».

Vivere nella gratuità! «Perché se io sono felice di quello che sto facendo, non è l’esito finale della storia a determinare i miei sentimenti».

«Questo aspetto della Pasqua di Gesù ci pone una domanda: siamo felici di quello che stiamo vivendo? Di quello che il Signore, in questo momento storico, ci sta permettendo di vivere? Oppure no?».

Pasolini aiuta a riflettere: «Dopo essere stato negli inferi, a prendere per mano coloro che erano morti, Gesù entra nella stanza chiusa di chi è ancora prigioniero della paura e della tristezza a causa del fallimento».

Ciò che Gesù compie – per mezzo della ricca gestualità post-ressurezionale – diventa una importante catechesi a vantaggio dei discepoli: al Maestro non interessa «mostrarsi forte; ma è togliere dal cuore dei discepoli anche la più piccola traccia di risentimento e di dolore».

«Il cristianesimo non potrà mai ridursi a una dottrina o a una cultura: è un incontro, con un volto, capace di infondere questa intensità di amore».

«Questa sarà la forza della prima evangelizzazione: uomini e donne che non riuscivano a non far vedere il sorriso di risurrezione che il Signore aveva generato in loro; ed era contagioso. Altri uomini e altre donne vedevano che altri uomini risorgevano dai loro peccati, si rialzavano dalle loro macerie; e questo era inarrestabile».

La voce di Pasolini riecheggia nella aula Paolo VI: «Risorgere significa anche questo: ridare la vita a chi l’ha perduta; restituire fiducia, a chi non ha più la forza di credere, nemmeno in se stesso. E questo significa essere generativi e fecondi, che è l’obiettivo di una vita risorta».

«La forza della Risurrezione vuole essere un dono per tutti, ma anche per ciascuno. Ciascuno ha il diritto di fare il suo cammino personale, per appropriarsene».

L’affermazione conclusiva del Predicatore sottolinea: «Solo così si diventa testimoni dell’amore più grande; quello che le grandi acque non possono spegnere, quello che rimane come brace infondo a tutte le nostre umanità».

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