L’altro Conclave: a Canterbury un’elezione silenziosa ma cruciale per il futuro del Cristianesimo globale
Mentre a Roma i cardinali si raccolgono in preghiera e strategia per eleggere il nuovo papa, c’è un altro conclave in corso, dall’altra parte d’Europa. Meno vistoso, più lungo e, sorprendentemente, ancora più segreto. Dal 6 gennaio 2025, giorno dell’Epifania, è in atto una silenziosa battaglia spirituale e politica per determinare chi sarà il prossimo arcivescovo di Canterbury, figura chiave non solo per la Chiesa d’Inghilterra ma per l’intera Comunione Anglicana, una famiglia globale di 85 milioni di fedeli in oltre 165 paesi.
La successione arriva in un momento turbolento. L’arcivescovo uscente, Justin Welby, si è dimesso dopo che un’indagine indipendente – il famigerato Makin Report – ha rivelato il suo mancato intervento nei confronti di John Smyth, un abusatore seriale con legami a organizzazioni ecclesiastiche. La somiglianza con gli scandali che hanno scosso la Chiesa Cattolica è inquietante, e non si ferma qui.
Infatti, se il Vaticano è sotto i riflettori globali, il conclave anglicano si gioca in silenzio, ma con posta altrettanto alta. Al centro del dibattito: identità, inclusione e il futuro stesso di una comunione già fortemente lacerata. Temi come il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’ordinazione di donne e persone LGBTQ+ stanno dividendo le province anglicane tra Nord e Sud del mondo, tra progressismo e conservatorismo, tra secoli di tradizione e le urgenze del presente.
Ma c’è di più. Questa volta la selezione del nuovo arcivescovo avviene sotto nuove regole: la Commissione per le Nomine della Corona – l’organo che proporrà il candidato al Re Carlo III – include ora cinque membri provenienti dalle regioni della Comunione Anglicana. Una mossa che, se da un lato promette maggiore rappresentanza globale, dall’altro agita timori di polarizzazione: i progressisti temono che venga scelto un leader reazionario, i conservatori temono l’elezione di un riformista che potrebbe far esplodere la fragile unità della comunione.
Nel frattempo, i fedeli inglesi si ritrovano in una Chiesa d’Inghilterra che, pur essendo “di Stato”, appare sempre meno nazionale. Dopo la legge del 2013 che legalizzava il matrimonio tra persone dello stesso sesso ma esentava le istituzioni religiose – inclusa la Chiesa anglicana – dall’officiare tali unioni, il diritto secolare e quello ecclesiastico hanno preso strade divergenti. Come può una chiesa nazionale rifiutarsi di sposare tutti i cittadini?
Non è solo una questione teologica o politica: è una lotta per l’anima stessa del cristianesimo anglicano. E ciò che accade a Canterbury è destinato a influenzare l’intero mondo religioso occidentale. Perché, come nel conclave romano, non si tratta solo di scegliere un leader, ma di decidere chi siamo come comunità di fede. E, forse, se una tale comunità può ancora esistere.
La fumata bianca da Roma potrebbe arrivare molto prima di un annuncio da Buckingham Palace. Ma non sottovalutiamo l’altro conclave: dietro le porte chiuse dell’abbazia e nei corridoi della politica ecclesiastica, si sta giocando una partita che potrebbe cambiare per sempre la geografia spirituale del nostro tempo.