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L’AVVENTURA DELLA SCIENZA E LE GRAVOSE PREOCCUPAZIONI CHE NE DERIVANO. IL CASO OPPENHEIMER AL CINEMA.

da | 29 Ago 2023 | Recensioni

Il caso Oppenheimer al cinema.

La Settima Arte riesce a far vivere al grande pubblico l’avventura della scienza e le gravose preoccupazioni che ne derivano, nel caso specifico quelle che hanno condotto i fisici del ‘900, prima, a promuovere le ricerche sull’utilizzo bellico dell’energia nucleare per scongiurare il rischio di un dominio tecnologico del Nazismo e, poi, a chiedere di non utilizzare quell’arma contro il Giappone o addirittura a cercarne il bando assoluto.

Il 16 luglio 1945, nell’ambito del Progetto Manhattan – lo sforzo senza precedenti condotto dal governo americano per anticipare la Germania nazista, che è costato oltre due miliardi di dollari e che ha coinvolto decine di migliaia di fisici di primissimo piano, di ingegneri e tecnici –, attraverso il Trinity test nei deserti del New Mexico, veniva saggiata la prima esplosione nucleare dell’arma che ha cambiato il mondo. Suo creatore il fisico teorico statunitense J.R. Oppenheimer. La sua bomba atomica ha portato alla fine della II Guerra Mondiale ma i suoi effetti hanno avuto un impatto a lungo termine sull’umanità.

Con il suo genio e le sue scoperte, Oppenheimer squarcia drammaticamente il velo di Maya sul potere della scienza e della tecnica, nella consapevolezza di essere diventato quanto espresso iconicamente da un verso sanscrito del Bhagavad Gita, un antichissimo testo sacro della tradizione indù a lui particolarmente caro: “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”.

La vicenda del “padre della bomba atomica”, narrata magistralmente da Christopher Nolan nella sua ultima opera cinematografica, continua ad interpellare ancora oggi le nostre coscienze, ponendo dinanzi ai nostri occhi la minaccia e la potenza, la complessità e il paradosso dell’ambiguità del dilemma morale e dell’etica della responsabilità.

«Stiamo dicendo che c’è una possibilità che spingendo quel pulsante distruggiamo il mondo?», domanda un preoccupato Matt Damon a Cillian Murphy. Ed è qui la chiave: la fine, l’apocalisse. Gli uomini coinvolti nel Trinity test condotto da Oppenheimer, hanno fatto una serie di calcoli per mesi prima di innescare il dispositivo e hanno dimostrato di non poter azzerare la possibilità di dare fuoco all’atmosfera e distruggere il mondo intero una volta premuto il pulsante e, nonostante ciò, l’hanno fatto. Malgrado il pericolo hanno sentito il dovere di proseguire mostrando come, per salvare il mondo, si è costretti a metterlo a rischio.

Attraverso il film si viene aiutati a guardare le cose con gli occhi del personaggio, a scavare all’interno della sua umanità e a comprendere quanto sono complessi i problemi da affrontare. Non ci sono risposte facili, ma solo domande incredibili e terrificanti. Così, da spettatori, si viene accompagnati a sperimentare la vita di Oppenheimer e, soprattutto, gli anni della creazione della prima testata nucleare oltre che quelli del dopoguerra nei quali lo Scienziato, per l’autorità ormai acquisita nel campo delle politiche nucleari globali, subirà una persecuzione giudiziaria figlia del suo tempo, sospettato e accusato di essere colluso con il Comunismo sovietico.

Guardare un film di grande portata com’è l’ultima opera di Nolan è, senza dubbio, un’esperienza davvero intensa, profondamente toccante e travolgente; un’occasione per ribadire anche l’importanza dello studio della Storia e del valore della memoria collettiva e che, pertanto, tutti dovrebbero vedere soprattutto oggi, quando, non solo la minaccia bellica nucleare continua ad incombere sulle nostre esistenze, ma dove le frontiere della scienza e della tecnologia più avanzate rappresentano scenari rispetto ai quali il futuro stesso della natura umana rischia di essere messo in discussione.

Riflettendo su quanto riesce a sollecitare la visione della pellicola, torna in mente la sentenza di Romano Guardini quando afferma con estrema lucidità che: “l’uomo ha potere sulle cose, ma non ha ancora potere sul proprio potere”. Come nei film sulla Shoah, il problema è anche e soprattutto come mostrare il terribile che deriva dalle scelte e dall’agire degli individui; in questo caso, la magnificenza sublime del fungo atomico e insieme il suo sconvolgente esito di morte e distruzione.

Come sottolinea Sebastiano Pucciarelli in una sua recensione “l’opzione di Nolan è radicale, spettacolare e ambivalente: mostrare il test Trinity come un’impresa titanica, allestita in fretta e furia per poi, arrivati alla fatidica notte della prima esplosione nucleare, giocare mirabilmente con l’attesa di scienziati e militari, congelando il tempo, la luce e per lunghi secondi anche il suono… Prima di stordirci con l’onda d’urto di flash abbacinanti e scrosci sonori ripetuti. E ovviamente la terribile fascinazione di quelle volute rossastre. Nelle parole del regista: «È stato molto scoraggiante ritrarre la prima esplosione nucleare al mondo senza audio. Ma mi sono reso conto che ci dava l’opportunità di mostrare un momento davvero unico nella vita di queste persone, in cui vedono cosa sta succedendo, ma in un certo senso non ne avvertono ancora le conseguenze. Sembrava una sorta di metafora perfetta per l’intero film». Applausi degli increduli presenti nella spianata di Los Alamos, primi uomini ad aver acceso il fuoco nucleare. Ma poi più nulla: le due bombe sganciate tre settimane dopo sul Giappone non le vediamo. Auto-censura? Timore di fare i conti con le immagini storiche? Paura di una pornografia della morte? No, sacrosanta adesione ad un certo punto di vista: le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki le apprendiamo dalla radio e dai giornali, come dovettero venirlo a sapere Oppenheimer e colleghi, senza poter, nell’immediato, conoscere l’entità e i postumi di quegli impatti devastanti. Ci sarà tempo, nelle successive scene di giubilo collettivo e di straniamento del protagonista, per alludere a una terribile presa di coscienza”.

Una comunità alle prese con il pharmakon, con quel rimedio che però, allo stesso tempo, è anche veleno. Emblematica a tal proposito l’affermazione da parte del protagonista nel corso del film, sul fatto che il lavoro finalizzato a creare la bomba atomica venga giustificato in quanto «garantirà una pace che l’umanità non ha mai visto». La potenza nucleare, più di ogni altra acquisizione scientifica nella storia dell’umanità, è qualcosa di ambivalente: risorsa energetica o forza distruttrice. La differenza nell’effetto che il “farmaco” può provocare sta nel dosaggio e nell’utilizzo. Ma attenzione, in questo caso specifico – mette in guardia lo stesso Oppenheimer di Nolan – il circolo ermeneutico del fenomeno è particolarmente complesso: «Non la temeranno finché non la capiranno. E non la capiranno finché non l’avranno usata».

Profetiche le parole pronunciate saggiamente, ad un certo punto, dal premio Nobel per la fisica Niels Bohr ammonendo Oppenheimer e che richiamo, per certi versi, il già citato pensiero di Guardini: “Lei è l’uomo che ha dato loro il potere di distruggere sé stessi e il mondo non è pronto”. Ovviamente, al di là di tutto, è da rifiutare, nell’analisi della complessa e delicata questione in oggetto, il troppo semplicistico manicheismo buono da una parte e cattivo dall’altra – cosa oltretutto che non lascia intendere neanche l’opera di Nolan – perché è evidente che quello che stiamo dicendo non significa rifiutare il progresso scientifico e tecnologico a priori.

Diversamente, riteniamo che sia quanto mai necessario dotarsi di spiccate capacità di acquisizione di responsabilità, soprattutto nel mondo della ricerca e della politica, nella guida dei processi di trasformazione della natura e dell’uomo e di assicurarne esiti positivi e benefici, senza perdere di vista il problema del significato e dei fini della nostra esistenza. Per far ciò è dunque essenziale riappropriarsi di “un’etica forte”; solo così il mondo potrà essere pronto a gestire in modo adeguato il potere che può derivare dalla scienza e della tecnica.

Su tali basi, attraverso un lavoro convergente, potranno risultare più chiari i limiti della conoscenza empirica e la distinzione tra sapere scientifico e sapere filosofico, senza ignorare o negare ma, al contrario, incoraggiando quel rinnovato interesse che le grandi domande sull’uomo, sulla vita, sulla totalità dell’universo, suscitano sempre più tra coloro che sono impegnati nella ricerca scientifica, per il fatto che proprio l’avanzare delle scienze stimola a porre problemi che debordano i canoni metodologici delle scienze stesse: in questo modo, nella distinzione reciproca e in una dialettica autenticamente ermeneutica, potrà progredire una feconda interazione tra le scienze e la filosofia, senza preclusioni di nessun genere, aprendosi anche nei confronti della trascendenza.

Uscendo dalla sala, al termine della proiezione, l’associazione di quanto visto al mito, non solo fa riecheggiare la figura di Prometeo esplicitamente richiamata in apertura dallo stesso Regista, ma rievoca anche il monito universale che Dante nell’Inferno associa alla leggendaria vicenda di Ulisse: il seguir virtute e canoscenza da parte dell’uomo, deve tener conto necessariamente anche della possibilità di rovina derivante dal rischio, alcune volte, di voler superare le Colonne d’Ercole.

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