Lo strano padrone della vigna, protagonista della parabola di Gesù di questa XXVII domenica del tempo ordinario, ci mette davanti un’immagine suggestiva ed efficace della nostra vita. Ci piace sempre concepirci come i padroni, ma la verità è che la vita non ce la siamo data da soli, l’abbiamo ricevuta e non siamo nemmeno padroni di trattenerla per sempre, alla fine la restituiremo in ogni caso. Ora il problema è questo: perché non valorizzare la fiducia che questo padrone dà a questi vignaiuoli concedendogli l’usufrutto della vigna e offrendo loro persino la sua assenza come segno di totale stima nei loro confronti? Infatti se tu non ti fidi di qualcuno non gli dai nemmeno la responsabilità di una cosa a cui tieni. E se lo fai cerchi di essere quanto mai presente affinché non facciano danni. Invece questo padrone è strano, fatica per piantare una vigna, la prepara, la recinta, e poi si fida dei vignaiuoli. Viene però il tempo della vendemmia, cioè il tempo in cui finisce questo usufrutto, e invece di corrispondere con gioia e gratitudine alla fiducia del padrone, questi vignaioli si mettono sulla difensiva fino al punto di arrivare ad uccidere persino il figlio del padrone, pensando così di diventarne proprietari. Quante volte cancelliamo Dio dalle nostre vite pensando che così saremo davvero liberi, ma la verità è che l’inferno è esattamente far fuori Dio, cioè il senso ultimo su cui si poggia la nostra vita. Non dobbiamo avere paura di non essere come Dio, ma dobbiamo accettare di avere addosso tutta la sua fiducia. Se coltiviamo immagini di Dio distorte facciamo il gioco del demonio che ci fa chiamare importante ciò che è relativo, e ci fa scartare ciò che davvero conta nella vita. Ma Dio costruisce le sue più grandi opere proprio attraverso ciò che solitamente il mondo scarta: “«Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?. Ciò che più disprezziamo della nostra vita potrebbe essere il segreto della nostra santità. Non buttiamo via nulla, nemmeno il nostro peccato. E il mio non è un invito a peccare, ma un invito a saper consegnare al Signore anche i nostri peccati e le nostre debolezze sapendo che Egli ha il potere di farci qualcosa di buono. Mi torna alla mente la parola di una persona a cui voglio molto bene: “Mi sono accorto che c’è una grazia nascosta in questa mia debolezza: mi costringe ad essere umile. E Dio ama gli umili!”.