Pasqua ortodossa, Pasqua di sangue: i messaggi del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e del Patriarca di Mosca Kirill a confronto parlano di pace, ma un serio progetto di pace per il conflitto ucraino sembra essere sempre più lontano. In Ucraina continuano a cadere razzi sulla cattedrale di Donetsk anche durante la veglia pasquale.
Il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus’ nel suo tradizionale messaggio pasquale, indirizzato ai fedeli della Chiesa ortodossa russa, ha rivolto un fugace pensiero alla necessità di costruire un mondo giusto, ancora segnato da conflitti. La resurrezione di Cristo è il fuoco della fede e il fulcro del messaggio del Nuovo Testamento al mondo, ma il mondo è in continuo mutamento. Che cosa dobbiamo fare, si chiede Kirill, noi cristiani del XXI secolo per diventare partecipi della vittoria di Cristo sulla morte? Il Signore ha dato a ogni persona la capacità di partecipare attivamente alla trasformazione del mondo, una volta compiuta l’opera della redenzione e aperte a tutti le porte del paradiso. Se Cristo è risorto – qui cita le parole di Nikolaj Velimirovich, canonizzato dai vescovi della Chiesa ortodossa serba nel 2003 – la vita è più forte della morte, il bene è più forte del male e tutte le speranze dei cristiani sono giustificate e le difficoltà della vita risolte. Poi il Patriarca Kirill rivolge preghiere speciali alle persone che si trovano in zone di guerra. Per questa Pasqua ortodossa, non nomina mai l’Ucraina, ma la sottointende, quando afferma che non si può rimanere indifferenti al fuoco del conflitto interno che continua ad ardere, interno perché si fronteggiano popoli fratelli usciti dall’unico fonte battesimale del Dnepr. Frase, questa, ripetuta più volte dal metropolita Onufriy di Kiev: Onufrij è a capo di quella parte della Chiesa ortodossa ucraina, prima rimasta fedele al Patriarcato di Mosca e che poi avrebbe dichiarato la sua indipendenza – ma secondo alcuni in modo ambiguo – dalla Russia. Il Dnepr è il grande fiume che, nascendo in Russia, scorre per più di mille chilometri, attraversando la Bielorussia fino Kiev e al Mar Nero e attorno alle cui sponde si è temprato lo spirito slavo comune a Russi e Ucraini.
Anche il cammino terreno del Salvatore, riprende il Patriarca, era pieno di fatiche e amore sacrificale per le persone, così noi, assetati di giustizia e in cerca di salvezza, siamo chiamati a diventare come Lui nel servire i nostri vicini e superare il proprio egoismo a beneficio di un’altra persona. Opera, questa, che ci avvicina a Dio. La Chiesa predica sempre, specialmente nei giorni luminosi della celebrazione pasquale, la speranza di ereditare la vita beata al termine del nostro cammino terreno.
Nella sua enciclica patriarcale Bartolomeo per la Pasqua ortodossa non fa riferimenti espliciti alla guerra in Ucraina, ma ricorda che la Chiesa non può scendere a compromessi con il male e che la croce non è mai l’ultima parola. L’esperienza della risurrezione, con la sua spinta escatologica, ha sempre dato un forte dinamismo ai cristiani ortodossi nel mondo. La Chiesa non ha mai considerato la lotta per un mondo più giusto qualcosa di estraneo alla sua missione. Una lotta che ci conduce alla porta stretta della croce, ma che culmina con la risurrezione. Questa fede si riflette nella Divina Eucaristia, come sottolineato dal compianto Metropolita Giovanni di Pergamo (Giovanni Zizioulas): l’eucaristia non si fonda su un’idealizzazione della passione, ma sulla risurrezione, che è trascendenza della passione della Croce.
La morte mediante la croce e la risurrezione del Salvatore elevano la vita alla sua essenza divino-umana e al suo destino celeste: in Cristo sappiamo e viviamo che la vita presente non è tutta la nostra vita e che la nostra morte biologica non costituisce una fine o una cancellazione della nostra esistenza. La scienza, il progresso finanziario o sociale non sono in grado di offrire una soluzione o uno sbocco essenziale: se la vita fosse un irreversibile viaggio verso la morte, saremmo portati a un impasse esistenziale, alla depressione, al nichilismo e all’indifferenza per ciò che conta davvero nella vita. Ma i cristiani sono “coloro che hanno speranza” (1Ts 4,13). Questa visione della storia e dell’eternità, la fede nella resurrezione, cardine dell’ethos e della cultura ortodossi è ciò che va testimoniato oggi all’interno di una civiltà che rifiuta il Trascendente e nel contesto di molteplici riduzioni dell’identità spirituale dell’esistenza umana. Nell’appello finale l’implorazione per la pace nel mondo.