L’incontro e la responsabilità: una riflessione sul Volto
Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.
Il dramma è il modo d’essere dell’uomo cioè, l’esistenza umana stessa si manifesta come drammatica. Conservando l’idea centrale di questo pensiero, è possibile riflettere sull’esperienza morale che pone al centro questioni di sguardi circa l’incontro e la responsabilità, considerando il tema del Volto.
Esiste un vedere “oggettivante” non solo nell’approccio alle cose, ma anche nei confronti delle persone, così come ricorda J.-P. Sartre attraverso il concetto di “sguardo cosificante”. Ma l’esito del vedere, non necessariamente deve sempre scadere in tal senso. Si richiami alla mente lo sguardo del Samaritano protagonista della celebre parabola narrata dall’evangelista Luca. In questo caso, non c’è una conoscenza oggettivante o un giudizio, tanto meno una “cosificazione”, bensì la compassione. La compassione come risposta personale (certamente non come una semplice reazione emotiva) a ciò che si è visto. Ma la risposta, non implica una precedente domanda, una chiamata da parte di qualcuno, e non un’immagine o una forma percepita con gli occhi? Il Samaritano, in verità, si è trovato nella presenza di un volto. E il volto parla!
Introducendo in questa analisi l’idea del “volto” ci si riferisce, nello specifico, al pensiero filosofico di Emmanuel Lévinas. Il volto, nella sua significazione etica, non è identico con una parte del corpo umano, di cui la fisionomia può descrivere, caratterizzare, classificare. Si può quindi sostenere con Lévinas che la “maniera di incontrare altri è di non notare neppure il colore dei suoi occhi! Quando si osserva il colore degli occhi non si è in relazione sociale con altri. La relazione con il volto può certo essere dominata dalla percezione, ma ciò che è specificamente volto è ciò che non vi si riduce… La relazione al volto è immediatamente etica”.
La presenza del volto instaura una relazione sociale, vale a dire non un rapporto di reciproca confidenza o di intimità (in cui si può notare il colore degli occhi della persona amata), ma una relazione di carattere morale. La nudità del volto, esprime l’essenziale povertà del prossimo, in fondo: la sua esposizione alla morte. Nella sua debolezza il volto può perfino suscitare la tentazione all’atto di violenza, al tempo stesso, però, vietandola categoricamente. La sua prima parola è infatti un comandamento: “tu non mi ucciderai!”. Il volto manifesta, quindi, una duplice significatività: la fragilità (ontologica) e l’autorità (etica). Il suo comando, davvero “straordinario” nell’ordine delle forze della natura, esige dal soggetto una risposta. In questo senso, esigendo la risposta, il volto del prossimo risveglia il soggetto umano alla sua insostituibile responsabilità per l’altro.
“L’incontro con Altri rappresenta immediatamente la mia responsabilità per lui. La responsabilità per il prossimo, che senza dubbio è l’austero nome di ciò che si chiama l’amore del prossimo, amore senza Eros, carità, amore in cui il momento etico domina il momento passionale, amore senza concupiscenza… Questa è la “visione” del volto, e si applica al “primo venuto”. Incontrare l’altro nell’immediatezza della responsabilità per lui, cioè rispondendo alla sua chiamata di aiuto, significa amarlo come il prossimo, oppure, in altri termini, significa “farsi prossimo” nel progressivo approssimarsi a lui”.
La responsabilità per l’altro, incontrato nella sua miseria e nella sua autorità etica, appare come una realtà più fondamentale rispetto alla responsabilità per i singoli atti compiuti, o da compiere. Il senso originario di tutta la vita morale scaturisce, infatti, dalle relazioni in cui il soggetto è chiamato a rispondere alla chiamata dell’altro. Questa responsabilità – illimitata, come illimitate sono le esigenze dell’amore del prossimo – non è quindi frutto di una libera decisione del soggetto e della sua scelta. Anzi, si può dire con Lévinas, che il soggetto è stato scelto e convocato alla responsabilità, e che questa lo costituisce come soggetto umano. Ugualmente, si può affermare che l’amore del prossimo costituisce l’umanità stessa dell’uomo.
E così, la struttura della responsabilità etica, ossia la dinamica dell’amore del prossimo, può essere espressa anche in questi termini chiave, ricalcando proprio le dinamiche della vicenda narrata nella parabola evangelica del Buon Samaritano:
- il rispetto della dignità assoluta dell’altro (la non-violenza)
- l’accoglienza della sua presenza (l’ospitalità)
- la sollecitudine per il suo bene (la benevolenza)
- il servizio attivo (la beneficenza o la diaconia)
Tutti questi momenti dell’amore, ovvero elementi della responsabilità, sono interdipendenti e si compenetrano a vicenda.
Immagine:Cristina Troufa, Mascaras