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S. Giorgio Maggiore a Venezia: il Padiglione Vaticano per la Biennale di Architettura

by | 24 Apr 2023 | Cultura

Il giardino dell’Abbazia benedettina di San Giorgio Maggiore a Venezia ospiterà il Padiglione Vaticano per la diciottesima edizione della Biennale di Architettura, come ha affermato il Card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione nella conferenza di presentazione dell’evento: “Penso che sia anche una opportunità straordinaria contare sulla partecipazione attiva, in questo progetto del padiglione della Santa Sede, dell’Abbazia Benedettina dell’isola di San Giorgio e del suo ramo non profit per le arti contemporanee che è la Benedicti Claustra Onlus. E oggi abbiamo il piacere di avere qui tra noi i responsabili, l’Abate Stefano Visintin e il dott. Carmelo Grasso”. Il Padiglione della Santa Sede, alla seconda presenza dopo il debutto del 2018 con il progetto Vatican Chapels, rimarrà aperto dal 20 maggio al 26 novembre ed è intitolato Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino. Un progetto che abbraccia l’insegnamento di Papa Francesco sull’accoglienza e sull’ecologia integrale, ispirato alle parole delle due encicliche Laudato Si’ (2015) e Fratelli tutti (2020). “Prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e celebrare la cultura dell’incontro”, così l’ideatore e curatore Roberto Cremascoli sintetizza il senso della mostra nel Padiglione della Santa Sede. Lo splendido scenario del monastero palladiano di San Giorgio Maggiore è da tempo centro di un fecondo dialogo tra chiesa e arte contemporanea.

Protagonista di questo percorso sarà Álvaro Siza con l’installazione O Encontro, che accompagnerà il pubblico in un percorso di dialogo con i pezzi da lui disegnati, fino allo spazio esterno: la mostra prende avvio dalle sale d’ingresso, che danno sul Canale della Giudecca, per poi passare attraverso la galleria manica lunga – che non era altro che l’antico dormitorio benedettino, ora trasformato in centro bibliotecario – fino alle sale che si aprono sull’orto-giardino. Lo Studio Albori si occuperà del giardino come spazio contemplativo, integrando le essenze esistenti con erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli. Inoltre, riutilizzando del materiale tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, saranno realizzati manufatti per ospitare quegli spazi che rendono possibile la sosta, il riparo e l’incontro.

San Giorgio Maggiore è solo una delle tante testimonianze del rapporto tra i monaci benedettini e la città di Venezia, un vero e proprio intrico tra vita civile della Repubblica e vita monastica nei chiostri cittadini, dove la chiesa non poteva fare a meno di partecipare ai richiami alla vita comune dei veneziani. Nelle isole della Serenissima fiorirono tanti monasteri benedettini: il già ricordato San Giorgio Maggiore, costruito nel 982, rinnovato nel 1223 dopo il terremoto che lo rase al suolo, ma anche su degli isolotti San Giorgio in Alga e San Michele. Nel centro città trovarono posto le comunità di Santa Croce, San Zaccaria, San Gregorio e San Lorenzo. Al lido venne edificato il monastero di San Nicolò, che svolgeva anche la funzione di avamposto fortificato a protezione della vita cittadina, funzione tipica di molti monasteri medievali. Sull’isola di San Secondo, isolotto facilmente individuabile che oggi rimane a un centinaio di dal Ponte della Libertà, si insediarono le monache benedettine. Del monastero dei Santi Filippo e Giacomo, noti anche come Santa Apollonia, a est della Basilica di San Marco, rimane il prezioso chiostro, straordinario e raro esempio del periodo romanico a Venezia.

La presenza benedettina sull’isola di San Giorgio è molto antica: le prime notizie risalgono al 790, anno in cui venne edificata una chiesa intitolata a San Giorgio. Ma è nel 982 che l’abate Giovanni Morosini ottenne l’Isola dal doge di Venezia Tribuno Memmo per fondarvi un monastero benedettino. Probabilmente l’intento era quello di creare sulla laguna un ritiro ispirato agli ideali di San Romualdo; secondo altri, lo spirito della comunità doveva essere più cluniacense. In ogni caso non dovettero mancare anche dei tentativi di ricomposizione delle fazioni aristocratiche: il Morosini, come atto pacificatore, ottenne così il 20 dicembre 982 San Giorgio, con il suo tesoro, i suoi codici, le vigne e i terreni, e con il diritto di prosciugare gli acquitrini e metterli a coltura.

Della fase medievale del monastero rimane pochissimo: sappiamo che fin dal 1296, la chiesa del monastero veneziano custodiva la reliquia del braccio di San Giorgio, alla quale si aggiunse, nel 1462, il capo del santo. Molto venerate erano anche le spoglie di Santo Stefano protomartire, giunte furtivamente nel 1109 da Costantinopoli: una devozione tanto importante è che lo stesso doge si recava ogni anno nella chiesa dei benedettini sull’isola la sera del 25 dicembre e la mattina del 26, dove assisteva ai vespri e alla messa solenne, ricevuto con grandi onori dalla comunità monastica.

Ma con la storia torna a bussare la porta di San Giorgio quando, nella seconda metà del Quattrocento, entrò nell’orbita di quella riforma monastica, che faceva capo all’Abbazia di Santa Giustina di Padova. Qui l’osservanza di Ludovico Barbo si fece subito notare, tanto da inglobare ben presto molti monasteri, le cui comunità erano ormai in profonda crisi o si erano dissolte. Barbo volle riunire tutte le comunità riformate in una Congregazione che, attraverso un forte governo centrale, garantisse la perseveranza dei monaci nella vita regolare: questo significò per San Giorgio non solo un periodo di rinnovamento della vita claustrale, ma anche di ferventi lavori, tanto che l’isola divenne un continuo cantiere.

La costruzione del refettorio (1560-1563) del monastero vide la collaborazione di Palladio con Paolo Veronese: basti pensare che il Veronese dipinse l’immensa tela delle Nozze di Cana, oggi conservata al Louvre, per decorare la parete di fondo del refettorio benedettino. Poi per il progetto della nuova chiesa fu chiamato l’architetto padovan Per celebrare l’importanza del complesso benedettino alla metà del XVI secolo fu assegnato ad Andrea Palladio il grande refettorio che venne ornato da Paolo Veronese dall’immensa tela raffigurante le Nozze di Cana, tornata oggi nel suo luogo originale. Fu tale il successo riscosso dall’opera di Palladio che l’architetto padovano ottenne di rimodernare anche la chiesa e il chiostro, detto palladiano. Il suo continuatore fu Baldassarre Longhena, che proseguì l’edificazione dello scalone d’onore, la nuova facciata del monastero, il noviziato, l’infermeria e la foresteria. Nonostante la caduta della Repubblica di Venezia nel 1797 l’importanza del monastero era però ancora tale che nel 1800 visite nel conclave con cui fu eletto Barnaba Chiaramonti, che era stato monaco di Santa Maria del Monte di Cesena, con il nome di Pio VII.

Nel 1806 il monastero fu soppresso dalle leggi napoleoniche; questo causò la dispersione di moltissimi beni il monastero fu trasformato in un deposito d’armi: soltanto pochi monaci coraggiosamente restarono per amministrare la basilica. Una vera e propria rinascita si ebbe nel 1951, quando il conte Vittorio Cini un imprenditore veneziano, sei attivo per la ristrutturazione del complesso monastico con l’istituzione di una fondazione, la Fondazione Giorgio Cini, in memoria del figlio scomparso prematuramente. La Fondazione, oggi nota a livello internazionale per la sua opera culturale, determinò anche la rinascita della vita monastica sull’isola, affidando nel 1957 la chiesa e alcuni ambienti annessi ai monaci benedettini della comunità di Praglia, sui Colli Euganei. Dal 2012 i monaci di San Giorgio sono dipendenti canonicamente dall’Abbazia di Praglia, la più numerosa comunità maschile della Congregazione Sublacense-Cassinese, con più di 40 membri tra la casa madre Praglia, e le tre case dipendenti di San Giorgio Maggiore, il Monte della Madonna di Teolo e Sadhu Benedict Math in Bangladesh.

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