Il tribunale egiziano ha recentemente ordinato la confisca dei beni del monastero di Santa Caterina del Sinai, l’espulsione dei monaci e la sua trasformazione in un museo
Nel cuore del deserto del Sinai, tra le rocce che hanno visto il passaggio di Mosè e il miracoloso episodio del Roveto Ardente, sorge il Monastero di Santa Caterina, un faro di spiritualità che resiste da più di 1.500 anni. Fondato dall’imperatore bizantino Giustiniano I nel VI secolo, questo monastero non è solo un luogo di culto, ma un simbolo di convivenza interreligiosa e di eredità culturale. Oggi, però, questo tesoro del cristianesimo ortodosso è minacciato da una decisione giudiziaria che ne metterebbe a rischio la sua stessa esistenza.
Il tribunale egiziano di Ismailia ha recentemente ordinato la confisca dei beni del monastero, l’espulsione dei monaci e la sua trasformazione in un museo. Un colpo durissimo che, se attuato, cancellerebbe un’importante testimonianza della fede, della storia e della cultura che ha attraversato i secoli. Non si tratta solo di una decisione che riguarda un bene religioso, ma di un atto che rischia di frantumare un legame secolare tra il Monastero e la sua comunità, minando le radici spirituali che lo hanno reso un luogo di preghiera e di studio, non solo per i cristiani ma per tutte le religioni monoteiste.
Un patrimonio universale minacciato
Il Monastero di Santa Caterina è il monastero cristiano ancora in funzione più antico al mondo. Custodisce uno dei più importanti patrimoni spirituali e culturali: una biblioteca ricca di manoscritti antichi, seconda solo alla Biblioteca Vaticana, e una collezione unica di icone pre-iconoclastiche. La sua storia secolare ha resistito a invasori, guerre e a ogni forma di intolleranza religiosa, diventando simbolo di un dialogo interreligioso che affonda le radici nel rispetto reciproco.
Le antiche pareti del monastero hanno accolto in passato non solo i monaci ortodossi, ma anche musulmani e ebrei. Il luogo dove Dio ha parlato a Mosè è un punto di riferimento spirituale non solo per i cristiani ma per tutte le tradizioni monoteiste. È proprio questo status di simbolo universale che oggi è in pericolo.
Il controverso ruolo del governo egiziano
Il governo egiziano, che ha sempre riconosciuto l’importanza storica e culturale del monastero, sembra oggi aver intrapreso una strada contraria a ogni impegno preso in passato. Nonostante le recenti rassicurazioni del presidente Abdel Fattah el-Sisi al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, la decisione di trasferire la gestione del monastero allo Stato e di trasformarlo in un museo sembra una contraddizione rispetto ai principi di libertà religiosa e tutela dei luoghi di culto.
L’espropriazione dei beni del monastero e l’allontanamento dei monaci dal loro luogo di preghiera è stata accolta con grande sorpresa dalla comunità internazionale. Il Monastero di Santa Caterina non è solo un patrimonio dell’Egitto, ma dell’intera umanità. La sua fine come luogo di culto cristiano non è solo un danno per la Chiesa Ortodossa, ma per tutte le tradizioni che vi riconoscono un valore spirituale e storico.
Le reazioni internazionali
La notizia della minaccia al Monastero di Santa Caterina ha cominciato a suscitare una forte reazione da parte della comunità cristiana globale. L’appello delle autorità greche e ortodosse è chiaro: la decisione del governo egiziano non può essere accettata. Non si tratta solo di una questione di religione, ma di una questione di diritti umani e di libertà religiosa. I monaci, che da generazioni custodiscono il monastero e la sua tradizione, ora si trovano di fronte a un futuro incerto, con il rischio di veder svanire il loro ruolo spirituale.
L’auspicio è che la decisione venga revocata e che il monastero continui a essere protetto come luogo di culto e di preghiera. La mobilitazione di organizzazioni internazionali e delle comunità cristiane in tutto il mondo sta crescendo, con appelli a difendere questo patrimonio inestimabile.