«Siamo chiamati a entrare nel dinamismo della missione e ad affrontare le sfide dell’evangelizzazione. Questa chiamata esige da tutti, ministri ordinati e fedeli laici, una formazione solida e integrale, che non si riduce solo ad alcune competenze conoscitive, ma che deve mirare a trasformare la nostra umanità e la nostra spiritualità perché assumano la forma del Vangelo»: papa Leone XIV – incontrando ieri mattina, venerdì 25 luglio, nella Sala Clementina, i formatori del corso di formatori promosso dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e i partecipanti al Capitolo Generale dei Fratelli Saveriani – ha tenuto un Discorso, in merito alla centralità dei cammini formativi e della missione condivisa: «Tutti dobbiamo essere contagiati dalla gioia del Vangelo e, perciò, si può parlare di cristiani felici, discepoli felici e missionari felici. Perché questo auspicio non rimanga uno slogan è fondamentale la formazione».
Il Vescovo di Roma ha, dunque, indicato tre motivi per riflettere: «Il primo è questo: coltivare l’amicizia con Gesù. Questo è il fondamento della casa, che deve essere messo al centro di ogni vocazione e missione apostolica. Occorre vivere in prima persona l’esperienza dell’intimità con il Maestro, l’essere stati guardati, amati e scelti da Lui senza merito e per pura grazia, perché è anzitutto questa nostra esperienza che poi trasmettiamo nel ministero: quando formiamo altri alla vita sacerdotale e quando, nella nostra specifica vocazione, annunciamo il Vangelo nelle terre di missione, per prima cosa trasmettiamo la nostra personale esperienza di amicizia con Cristo, che traspare dal nostro modo di essere, dal nostro stile, dalla nostra umanità, da come siamo capaci di vivere buone relazioni. […] Questo implica un continuo cammino di conversione. I formatori e coloro che si occupano di loro non devono dimenticare di essere loro stessi in un cammino di permanente conversione evangelica; i missionari, allo stesso tempo, non devono dimenticare di essere sempre i primi destinatari del Vangelo, i primi a dover essere evangelizzati. E ciò significa un lavoro costante su se stessi, l’impegno di scendere nel proprio cuore e di guardare anche le zone d’ombra e le ferite che ci segnano, il coraggio di lasciar cadere, coltivando l’intima amicizia con Cristo, le nostre maschere. Così, ci lasceremo trasformare dalla vita del Vangelo e potremo diventare autentici discepoli missionari».
Una seconda sottolineatura del Pontefice ha riguardato il valore delle relazioni redente: «Vivere una fraternità effettiva e affettiva tra di noi»; «In questo senso, è necessario imparare a vivere come fratelli tra sacerdoti, così come nelle Comunità Religiose e con i propri Vescovi e Superiori; bisogna lavorare molto su se stessi per vincere l’individualismo e la smania di superare gli altri, che ci fa diventare concorrenti, per imparare a costruire gradualmente relazioni umane e spirituali buone e fraterne. In linea di principio, penso, sono tutti d’accordo su questo, ma nella realtà c’è ancora tanta strada da fare».
L’ultima riflessione del Papa è stata dedicata alla comunione tra tutti i cristiani, i ministri ordinati e le persone consacrate: «Condividere la missione con tutti i battezzati. Nei primi secoli della Chiesa era naturale che tutti i fedeli si sentissero discepoli missionari e che si impegnassero in prima persona come evangelizzatori. E il ministero ordinato era al servizio di questa missione condivisa da tutti. Oggi sentiamo con forza di dover tornare a questa partecipazione di tutti i battezzati alla testimonianza e all’annuncio del Vangelo. Nelle terre in cui voi fratelli Saveriani, portate avanti la missione, certamente avrete toccato con mano quanto sia importante lavorare insieme alle sorelle e ai fratelli di quelle Comunità cristiane; allo stesso tempo, ai formatori vorrei dire che bisogna formare i presbiteri a questo, a non pensarsi come condottieri solitari, a non assumere il sacerdozio ordinato nella prospettiva del sentirsi superiori. Abbiamo bisogno di preti capaci di discernere e riconoscere in tutti la grazia del Battesimo e i carismi che ne scaturiscono, magari anche aiutando le persone ad aprirsi a questi doni, per trovare il coraggio e l’entusiasmo di impegnarsi nella vita della Chiesa e nella società. Concretamente ciò significa che la preparazione dei futuri sacerdoti dovrà essere sempre più immersa nella realtà del Popolo di Dio e svolta con l’apporto di tutti i suoi componenti: sacerdoti, laici e consacrati, uomini e donne».




