Periodico di informazione religiosa

10 anni dalla Laudato si’: Profezia del nostro tempo

da | 5 Mag 2025 | Ecologia

A dieci anni dalla promulgazione della enciclica Laudato si’ di papa Francesco, riflettiamo – in compagnia di Oriana Leone, fondatrice, insieme a Miriam Resta Corrado, del circolo Laudato si’ “Don Tonino Bello” di Tricase (LE) l’1 settembre 2024, e operatrice Caritas nella diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca (LE) – sulla attuale realtà della nostra casa comune e sulle sfide che ci stanno davanti.

Nel primo capitolo della enciclica Laudato si’, il Vescovo di Roma Francesco si è occupato di “Quello che sta accadendo alla nostra casa”; egli ha scritto: «Basta guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune» (61).

Viste le presenti grandi sfide ecologiche che ci stanno davanti, quale vocazione avverti bussare alla porta del tuo cuore, e nella vita delle nostre comunità di fede?

Quando rileggo le parole di Papa Francesco – «Basta guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune» (Laudato si’, 61) – sento come un’eco risuonare in me. Non è solo un’allerta razionale, è un richiamo che tocca corde profonde, un bussare interiore che mi interpella non solo come cittadina del mondo, ma come credente, come sorella, come madre, come figlia della terra e del cielo.

Le grandi sfide ecologiche del nostro tempo – il cambiamento climatico, l’inquinamento, la perdita di biodiversità – non sono solo dati scientifici: sono ferite del mondo che gridano al cielo. La “nostra casa comune” non è un’immagine poetica: è un corpo vivo, che respira, soffre, geme. E in questo gemito io sento una chiamata. Una vocazione profonda a essere custode, e non predatrice; serva, e non padrona.

Questa vocazione oggi si rivela anche come un’urgenza: riscoprire che la fede non è una questione privata, ma un lievito sociale, un potenziale trasformativo che può, anzi deve, plasmare la cultura, l’economia, le relazioni, i consumi.

Nelle nostre comunità di fede, sento bussare il bisogno di un “risveglio spirituale ed ecologico”: non solo incontri, convegni, documenti, ma “esperienze di conversione condivisa”, cammini di ascolto del grido della terra e del grido dei poveri, riletture delle Scritture alla luce del creato, celebrazioni liturgiche che includano la vita della terra.

Vorrei comunità che non solo parlino di ecologia integrale, ma la vivano: comunità che respirino la gratuità della creazione, che si nutrano della sobrietà evangelica, che generino uno stile di fraternità anche con le creature non umane.

La vocazione che oggi sento non è nuova: è la stessa che ha mosso San Francesco d’Assisi, che ha ispirato il concilio Vaticano II, che ha attraversato le parole dei papi prima di Francesco. Ma oggi ha il tono di un’urgenza, il colore dell’apocalisse e della speranza insieme.

E mi chiede di rispondere. Di mettere in gioco tutto. Che le comunità di fede si convertano. Che diventino “luoghi di resistenza” al degrado e all’indifferenza. Che si trasformino in santuari di cura, in laboratori di speranza, in scuole di fraternità ecologica.

Personalmente, la consapevolezza della responsabilità verso la casa comune mi ha cambiata. Mi ha spinto a scelte controcorrente: consumare meno, ascoltare di più, piangere davanti alle ingiustizie ecologiche, educare chi mi sta accanto. Non sempre è facile. Spesso mi sento piccola, impotente. Ma ogni gesto, anche minimo, è una goccia d’amore nell’oceano di Dio.

E quando dubito, mi ricordo che anche Gesù ha pianto davanti al dolore della morte (cfr. Gv 11,35), e che il suo pianto era pieno di speranza. Anche il nostro dolore per la Terra ferita può diventare fecondo, se lo viviamo uniti a Lui.

Siamo chiamati, tutti, a vivere una fede che profuma di terra e sa di sudore: che non è solo preghiera, ma anche raccolta differenziata; non solo adorazione, ma anche rispetto dei limiti; non solo catechesi, ma anche educazione ecologica.

Questo è il tempo favorevole per una conversione spirituale e culturale profonda. Una conversione che parte dal cuore, attraversa le mani e giunge fino alle istituzioni. Una conversione che, come dice Laudato si’, si nutre di gratitudine e gratuità (LS, 220).

Nelle nostre comunità di fede questa vocazione diventa impegno condiviso: siamo chiamati a “una conversione comunitaria” (Fratelli tutti, 77), a formarci in una spiritualità della tenerezza, capace di

riconoscere ogni essere come fratello o sorella (Laudato si’, 92).
È la vocazione di essere artigiani della cura, come ci ricorda anche Dilexit nos (nn. 6-9).

Papa Francesco sottolinea nella Laudato si’ che il nostro più grande desiderio non dovrebbe essere quello di «raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (19).

Pensi che la nostra fede personale possa avere delle salutari ricadute sulla cura della casa comune? Siamo consapevoli di questa importante missione a noi affidata?

Credo che la nostra fede, se autentica, non possa restare neutra o indifferente di fronte alla sofferenza della terra. Più cresce la comunione con Dio, più ci si sente trafitti dal male che colpisce il creato e i poveri.
San Giovanni Paolo II, nella Sollicitudo rei socialis, già parlava di una solidarietà che si fa principio sociale (n. 38): oggi possiamo parlare anche di solidarietà ecologica.
La fede personale, se vissuta in profondità, genera uno stile di vita che contagia, che interroga, che cambia.

In Fratelli tutti, Francesco ci dice: «Tutto è collegato, e nessuno si salva da solo» (n. 137).
E in Dilexit nos, ci invita a un amore incarnato e fedele fino in fondo (nn. 12-13).
Serve una fede che lasci segni nel creato — segni di amore, di giustizia, di rinuncia. Una fede che non si accontenta di parole, ma che si compromette.

Credo profondamente che la fede non sia un rifugio, ma una ferita che salva. Una ferita che ci rende vulnerabili al dolore del mondo, che ci impedisce di restare indifferenti, che ci spinge fuori dai recinti protetti dell’individualismo spirituale.

Papa Francesco ci invita a vivere una fede che non si limita a osservare, ma che “osa trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo” (Laudato si’, 19).

Per me, questa frase è come una chiamata al cuore: un invito a non anestetizzare l’anima, a non “passare oltre” come il sacerdote o il levita della parabola del buon Samaritano (cfr. Lc 10,25-37), ma a fermarsi, a guardare, a compromettersi.

Ci viene chiesto un cuore che sappia soffrire insieme, come quello di Cristo sulla croce, trafitto dal male del mondo. È la stessa logica della Dilexit nos, dove il Papa ci parla di un amore che non scappa, che rimane, che salva (DN, 13).

Credo che la fede personale, vissuta in profondità e verità, abbia il potere di scardinare abitudini, modelli di consumo, stili di vita predatori. Non basta credere in Dio: dobbiamo imparare a credere come Dio, con quella compassione che lo porta a creare, a donarsi, a morire per la vita degli altri.

San Giovanni Paolo II, nella Sollicitudo rei socialis, parlava di una solidarietà che nasce dalla “coscienza della destinazione universale dei beni” (SRS, 42), e che diventa virtù concreta. Oggi quella coscienza si allarga fino ad includere anche la Terra, l’acqua, l’aria, il clima. Nulla ci è estraneo se ci è affidato.

In Fratelli tutti, Francesco ci ammonisce: «Chi ha il cuore aperto al mondo intero non può dimenticare il grido della Terra e dei poveri» (FT, 49). Questa apertura, questa empatia globale, è il frutto di una fede che non si chiude nel culto ma si apre alla cura.

I “valori più grandi”, le “aspirazioni più alte” sono poste al centro del presente Documento: «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti» (23).

Forte della tua formazione nella ecologia integrale, quali orizzonti intravedi per una nostra più matura presa di coscienza del bene comune che ci interpella? Quali dinamiche chiama in causa? A che tipo di conversione ci indirizza?

Quando Papa Francesco afferma:
«Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti» (LS, 23),
ci chiama a un nuovo paradigma relazionale. Non siamo padroni della terra, ma suoi custodi. L’ecologia integrale è la visione profetica di un mondo dove giustizia ambientale e giustizia sociale camminano insieme.
La conversione ecologica, allora, è anche una conversione antropologica. In Fratelli tutti, Francesco ci esorta a uscire dalla cultura dello scarto, e in Dilexit nos ci ricorda che solo l’amore che si dona davvero può generare futuro (nn. 14-16).
Nel mio cammino, questa conversione si è tradotta in sobrietà, scelte sostenibili, impegno educativo, preghiera semplice. Nulla è troppo piccolo per cambiare qualcosa. Il bene comune oggi ha il volto della terra ferita, dei poveri esclusi, delle generazioni future.

Dalla mia formazione nell’ecologia integrale, ho imparato che tutto è connesso (LS, 91). Questa non è una semplice intuizione scientifica o filosofica, ma un principio spirituale, una visione del mondo che ha il sapore del Vangelo. Ogni creatura è parte di un unico tessuto di vita. Ogni azione, anche la più piccola, ha conseguenze sulla casa comune. E ogni bene, se non è condiviso, si corrompe.

Questa visione del bene comune richiama le parole di Benedetto XVI in Caritas in veritate: «Lo sviluppo non può essere ridotto a mera crescita economica, ma deve essere integrale, ossia promuovere ogni uomo e tutto l’uomo» (CV, 18). E oggi, in questo “tutto l’uomo”, dobbiamo includere il suo legame con la terra, con l’aria, con il ciclo della vita. Non siamo padroni, siamo custodi. E ogni custodia chiede amore, tempo, vigilanza.

Papa Francesco, nella Fratelli tutti, ci invita a pensare e agire come un popolo, superando l’individualismo, la logica del profitto, il “si salvi chi può”: «La vera carità è capace di includere, accogliere, proteggere e promuovere» (FT, 193). Il bene comune oggi ha bisogno di una nuova alleanza fra le generazioni, fra i popoli, fra l’umanità e la creazione.

San Giovanni Paolo II, nella Sollicitudo rei Socialis, affermava che «la vera libertà si esercita nel dono di sé» (SRS, 38). Oggi siamo chiamati a donarci per il bene comune globale, a rinunciare a qualcosa per il bene di tutti. Questa è la vera libertà: non fare ciò che voglio, ma ciò che serve alla vita.

Ecco perché questa presa di coscienza non può essere superficiale, ma personale e comunitaria.

La conversione a cui siamo chiamati è una conversione relazionale: con noi stessi, con gli altri, con il creato, con Dio,

Io stessa ho sperimentato questa chiamata come un cammino lento e profondo. Ogni volta che ho rinunciato al superfluo, ogni volta che ho scelto il riciclo, l’acquisto etico, il cibo a km zero, ogni volta che ho educato le mie figlie alla semplicità, ho sentito che quel piccolo gesto era un atto di fede, una liturgia silenziosa, una comunione col Creatore.

La Laudato si’ ci invita a un nuovo stile di vita, fatto di sobrietà felice, gratuità, contemplazione e azione (LS, 222). Questo stile non è triste, non è rinuncia sterile. È una gioia piena, liberata dal consumo, restituita all’essenziale.

Oggi più che mai, abbiamo bisogno di comunità che sappiano generare speranza ecologica. Comunità che preghino, ma anche piantino alberi. Che celebrino l’Eucaristia, ma anche facciano rete con chi difende i territori. Che predichino il Vangelo, ma anche rifiutino l’ingiustizia ambientale.

Perché la vera spiritualità cristiana non separa il cielo dalla terra, ma li riconcilia. E questa riconciliazione comincia da me, da noi, da qui.

Preghiera per la Terra Ferita

Signore della vita,
che hai fatto del mondo il giardino del tuo amore,
insegnaci a vedere nella creazione il riflesso del tuo volto.

Donaci occhi per riconoscere le ferite della terra,
cuore per sentire il grido delle creature,
mani per servire con umiltà e speranza.

Trasforma il nostro dolore in impegno,
la nostra fede in gesti concreti,
le nostre comunità in oasi di fraternità ecologica.

Amen.

Una Proposta di Cammino Spirituale (in 4 tappe)

1. Ascolta
Ogni settimana, dedica 30 minuti al silenzio nella natura. Osserva, contempla, ringrazia. Lascia che il creato ti parli.

2. Converti
Scegli un cambiamento concreto nella tua vita quotidiana: riduci la plastica, scegli prodotti locali, cammina di più. Fai di questa scelta un atto di fede.

3. Educa
Condividi un testo, un film, una riflessione sulla cura del creato con qualcuno. Promuovi la consapevolezza, anche nel piccolo.

4. Celebra
Partecipa a una Messa o preghiera ecologica. Offri il tuo impegno personale sull’altare della comunità. Il creato è sacramento della Presenza.

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