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Cancel Culture. La Storia è sotto attacco?

by | 23 Giu 2023 | Cultura

La Cancel Culture (cultura della cancellazione) è la tendenza, diventata molto diffusa in rete ma non solo, a rimuovere dalla produzione culturale testimonianze, personaggi, opere artistiche o addirittura aziende, che si considerano colpevoli di aver sostenuto – anche in passato, o con presunte singole azioni personali – valori che si segnalano o percepiscono dannosi, ovvero contrari ai diritti delle minoranze, alla parità di genere, all’uguaglianza, al “pensiero unico dominante” e che, spesso, si sovrappone alla questione del cosiddetto “politicamente corretto”.

Il termine si è iniziato a diffondere negli ultimi anni, a partire dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone in generale, con riferimento ad alcune azioni di protesta promosse da gruppi più o meno organizzati. Tale termine definiva inizialmente lo “smettere di dare supporto a una determinata persona” con mezzi come il boicottaggio o la “mancata promozione” delle sue attività. Ciò nel tentativo di danneggiare anche economicamente quella persona, giudicata moralmente o socialmente deprecabile. Successivamente, all’interno del dibattito politico statunitense, la cultura della cancellazione fu accostata alle conseguenze dei movimenti sulla coscienza storica americana. Così, la locuzione si è rapidamente estesa a tutti quegli ambiti di revisionismo forzato e moderna iconoclastia che chiedono a vario titolo la rimozione, come già detto, di monumenti, riconoscimenti e toponomastica e, per lo più, all’azione del politicamente corretto.

Se alla base di queste manifestazioni c’è una forte insofferenza per un confronto pacato, un conto sono le reazioni a qualcosa che viene percepito come un modello ingiusto – razzista, sessista – imposto dall’establishment; un altro paio di maniche è interpretare le affermazioni altrui sempre e invariabilmente nel modo più imperdonabile, mobilitandosi per farle cancellare alla ricerca di una purezza di difficile, forse impossibile, raggiungimento.

Probabilmente è ingenuo e profondamente scorretto sostenere che il fenomeno non sia altro che un riconoscimento della libertà di parola, della libertà di pensiero e della sua espressione, un “diritto alla critica”, un rendere responsabili le persone per le loro azioni. Soprattutto quando questa responsabilizzazione, da un lato, è mediata da grandi interessi di parte e, dall’altro, tra le persone comuni, sovente, manca di saggezza e di qualsiasi criterio di proporzionalità, tanto che il fenomeno sta manifestando sempre più aspetti paradossali e discutibili.

Hanno destato attenzione in tal senso, ad esempio, le azioni di censura su alcuni Classici Disney e opere letterarie di autori ritenuti “controversi”. In merito ai cartoni animati, per quanto riguarda Dumbo, la frase incriminata è contenuta in una delle canzoni del film, la quale recita “E quando poi veniamo pagati, buttiamo via tutti i nostri sogni”, considerata irrispettosa verso gli schiavi afroamericani impiegati nelle piantagioni. In Peter Pan, invece, i nativi americani vengono chiamati con un appellativo ritenuto denigratorio, ovvero “pellirosse”. Infine, ne Gli Aristogatti, il personaggio di Shun Gon, il gatto siamese raffigurato con tratti asiatici stereotipati (occhi a mandorla, bacchette ecc.), si ritiene rappresenti una caricatura offensiva del popolo orientale.

Per questi motivi alcuni sono dell’idea che tali cartoon dovrebbero essere visibili al solo pubblico adulto, poiché “includono rappresentazioni negative e/o denigrano popolazioni e culture” e perciò “piuttosto che rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo” è stato dichiarato dalla casa di produzione nella nota introduttiva che precede la visione di questi tre film di animazione.

Ancora più eclatante, però, è il riscontrare l’affermazione di questo ostracismo nei confronti dei monumenti storici. Tra tutti i casi, emblematico è il tentativo di “cancellare” Cristoforo Colombo allo scopo di “purificare” la memoria. Nel luglio del 2020 fu protagonista di queste vicende la capitale dell’Ohio dove venne rimossa dalla piazza antistante il municipio la statua dedicata a Colombo, personaggio in onore del quale la città, oltretutto, prende il nome di Columbus. E qual è stata la motivazione del gesto?

«Per molta gente della nostra comunità», aveva spiegato il sindaco Andrew Ginther prima di passare dalle parole ai fatti, «quella statua rappresenta patriarcato, oppressione e divisione. Tutto ciò non rispecchia la nostra grande città, e noi non vivremo più all’ombra del nostro brutto passato».

In realtà quello di Columbus che “cancella” Colombo non è l’unico episodio del genere, ma solo il più paradossale. È accaduto qualcosa del genere anche a Baltimora: qui il monumento a Colombo è stato prelevato dal suo piedistallo da un gruppo di manifestanti e gettato nel mare. Altre statue poi sono state rovesciate o vandalizzate a Miami, Richmond, St. Paul e Boston dove l’effigie di Colombo è stata decapitata. Senza dimenticare che la crociata “politicamente corretta” contro il celebre navigatore andava già avanti da anni in realtà.

Ma episodi di questo genere si moltiplicano andando a coinvolgere anche altre figure storiche. Nel novembre del 2021 a far discutere fu, ad esempio, la rimozione della statua di Thomas Jefferson, terzo presidente della storia degli Stati Uniti d’America e autore della Dichiarazione d’indipendenza, dalla City Hall di New York, perché in vita, a cavallo tra il ‘700 e l’800, aveva avuto degli schiavi. E la casistica non si ferma qui, con episodi anche più vicini al nostro contesto.

A ben riflettere, la “colpa” imputata a questi personaggi, in ultima istanza, è quella di essere stati uomini del proprio tempo, con i valori e i limiti che aveva la società di allora, impossibili da giudicare e condannare con i parametri contemporanei. Urge, dunque, una riflessione più ampia in tal senso, per evitare di scadere nel parossismo e nell’errore di distorcere il passato in funzione del presente o, addirittura, del futuro.

La memoria collettiva, anche attraverso i simboli storici, è fondamentale per ogni società.

Da una migliore conoscenza del passato, si potranno risolvere meglio i problemi del presente.

Nello studio della storia non è sufficiente spiegare, ma anche e soprattutto, comprendere, nonostante si possa non condividere.

Bisogna saper contestualizzare gli eventi, altrimenti, si rischia di procedere con una lettura inadeguata di quanto accaduto.

La storia è qualcosa di dinamico, una scienza in cammino, uno sforzo verso il miglioramento della conoscenza.

Per tutti questi motivi, la scoperta e la custodia delle fonti è essenziale, senza di esse, non esisterebbe la disciplina storica.

Attenzione, pertanto! È un grave errore abbattere una statua o censurare un’opera d’arte, perché testimonianze, dirette o indirette, di qualcosa che, volenti o nolenti, è avvenuto. Il repulisti ideologico (a tratti demenziale) al quale stiamo assistendo, spesso legato alla questione razziale, non è assolutamente salutare per la nostra società e, soprattutto, per le future generazioni. Mantenere viva la memoria di quello che è stato, è essenziale all’umanità, soprattutto per il suo avvenire. Diverso invece è l’atteggiamento di considerare attraverso un’analisi critica le vicende e i personaggi del passato, evitando di celebrare chi si ritiene abbia agito in modo disdicevole ma, nonostante tutto, facendone memoria, proprio per non dimenticare e trarre così un insegnamento efficacie dalla storia.

Di questo avviso sarebbe anche il grande storico Marc Bloch, il quale nel suo celebre saggio “Apologia della storia o Mestiere di storico” – uno dei maggiori classici della riflessione di metodologia storica del Novecento – porta avanti e sostiene proprio tesi di questo genere, cercando di rispondere alla questione circa l’utilità della storia.

E un ulteriore significativo contributo in tal senso, può arrivare senz’altro anche da un altro storico, Adriano Prosperi, che in un suo piccolo libro di qualche anno fa intitolato “Un tempo senza storia. La distruzione del passato”, propone al lettore uno sguardo preoccupato sulla società della dimenticanza nella quale viviamo. Denuncia, infatti, l’Autore: «Si moltiplicano i segnali d’allarme sulla perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia. Nella realtà italiana di oggi c’è un passato che sembra dimenticato. E il peso dell’oblio è qui forse più forte che altrove. Ma che cosa significa liberarsi del peso del passato?».

Uno scritto, quello di Prosperi, da leggere attentamente allora, per rianimare la speranza senza la quale al posto della storia si cercano le illusioni, o peggio, le ideologie ingannevoli e semplificative e si rischia di portare avanti battaglie ridicole e profondamente dannose per il futuro della comunità umana.

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