Papa Leone celebrerà il 9 luglio a Castel Gandolfo la nuova messa per la custodia della creazione
A dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ e sull’onda degli incessanti appelli di Papa Francesco a prendersi cura della “casa comune”, Papa Leone XIV ha promulgato la Missa pro custodia creationis. Inserita tra i formulari “pro variis necessitatibus vel ad diversa”, questa Messa non ha nulla di occasionale occasionale, ma è un gesto ecclesiale atteso da molti. Con esso, la liturgia afferma che custodire il creato non è un lusso culturale, ma una dimensione integrante dell’eucaristia.
Il testo liturgico e le letture di questa Messa sono pensati per “accendere” una coscienza capace di vedere nella liturgia non un momento recessivo, ma una fine del male attraverso il culto e l’azione. È come se la Chiesa dicesse che è nel gesto eucaristico che il mondo trova il suo senso. Se il mondo deve essere salvato, lo sarà attraverso questo atto sacramentale.
L’antifona d’ingresso
“I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento”.
L’antifona d’ingresso apre la liturgia con un inno cosmico, che unisce cielo e terra, invitandoci a contemplare l’universo come opera viva del Creatore, la prima parola di una preghiera che riconosce l’intera creazione come tempio di Dio. L’uomo, immagine viva della Trinità, è chiamato a cooperare liberamente con Dio nella creazione, non come un semplice spettatore, ma come co-creatore e mediatore della gloria divina nel mondo. La relazione con il cosmo non è statica, ma dinamica: l’uomo esercita la sua libertà rispondendo alla chiamata del Creatore, e con questa scelta partecipa all’opera creatrice, rivelando un’armonia nascosta che altrimenti resterebbe celata. Dopo la caduta, però, tutto è stato offuscato: la creazione, un tempo trasparente e sacramentale, è divenuta opaca, un ostacolo che riflette il peccato umano. Ma, come l’immagine divina nell’uomo non è stata distrutta, così la bellezza originaria del mondo rimane, pur alterata. I cieli continuano a narrare la gloria di Dio, anche se in modo imperfetto.
La colletta
“O Padre, che in Cristo, primogenito di tutta la creazione, hai chiamato all’esistenza tutte le cose, fa’ che, docili al soffio vitale del tuo Spirito, custodiamo con amore l’opera delle tue mani“.
La salvezza portata da Cristo è cosmica e radicale: non solo l’uomo è redento, ma tutta la materia è risanata e chiamata a tornare a essere sacramento di comunione con Dio. Cristo riporta l’uomo alla sua piena vocazione di mediatore, sacerdote e re della creazione, chiamandolo a trasfigurare l’universo e condurlo alla libertà gloriosa promessa da san Paolo (Rm 8,21). La vera vocazione umana è ritornare alla meraviglia innocente e sacra del creato, disimparando gli “sporchi meccanismi” del mondo caduto e riscoprendo la bellezza originaria, che solo la cooperazione con Dio può trasfigurare e elevare. Solo così l’uomo può affermare di essere veramente “a immagine e somiglianza di Dio”, diventando non più semplice creatura, ma co-creatore, sacerdote e re di un universo chiamato a partecipare alla gloria eterna della nuova creazione.
La preghiera sulle offerte
“Accogli, o Padre, questi frutti della terra e del nostro lavoro: porta a compimento in essi l’opera della tua creazione, perché, trasformati dallo Spirito Santo, siano per noi cibo e bevanda di vita eterna”.
Questa invocazione riassume la collaborazione dinamica tra uomo e Dio: l’uomo offre il frutto del lavoro umano e della terra, e lo Spirito trasforma questa materia in dono vivificante. È la sinfonia della cooperazione creativa e salvifica tra il Creatore e la creatura. L’Eucaristia riscopre e realizza la vocazione originaria dell’uomo: ricevere il creato come un miracolo e restituirlo come un’offerta. Noi offriamo a Dio ciò che noi stessi abbiamo ricevuto da Lui. Il pane e il vino sono il frutto di una storia umana e cosmica, passata attraverso la fatica dell’agricoltore, la creatività dell’uomo, l’ingegno della scienza e la raffinatezza dell’artista.
Cristo è il capolinea di questa vocazione. La sua esistenza, dal battesimo alla croce, è stata un sacrificio perfetto, una eucaristia in piena, dove l’offerta della propria vita si confonde con la donazione del creato. L’uomo, allora, all’altare non è più solo spettatore, ma partecipante consapevole e responsabile di una dinamica che ha le radici nell’Incarnazione: offrire il mondo in Cristo ed entrare con Lui nella gratitudine al Padre. Nel momento dell’offerta, realizziamo la vocazione umana di riscattare il creato nel suo compimento.
Antifona alla comunione
“Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio.”
Questa antifona ci introduce alla dimensione universale della salvezza: l’Eucaristia non riguarda solo la comunità locale o il singolo credente, ma abbraccia tutti i confini della terra. Il mistero della redenzione si estende all’intero creato, chiamato a partecipare alla gloria divina. L’Eucaristia, come ben sappiamo, non è un rito confinato nel presente: è un “anticipo” del Regno, del “secolo senza fine”. In modo profondo, porta al suo interno il mistero del “già e non ancora”: il cielo scende mentre la terra sale, in uno slancio cosmico di riconciliazione.
Questo evento rituale ci ricorda che la Chiesa è chiamata a vivere non solo nell’attesa, ma lungo la tensione escatologica stessa, resa visibile nella liturgia. Ecco allora che, mentre celebriamo, ci rivolgiamo a un tempo che è storia, ma anche speranza, realtà vissuta ma proiettata verso un mondo trasfigurato.
Preghiera dopo la comunione
“Il sacramento di unità che abbiamo ricevuto, o Padre, accresca la comunione con te e con i fratelli, perché, in attesa dei cieli nuovi e della terra nuova, impariamo a vivere in armonia con tutte le creature”.
L’Eucaristia come comunione è una risposta alla crisi del mondo. Questa preghiera sintetizza, infatti, la missione escatologica e comunitaria dell’Eucaristia: la comunione non è solo con Dio, ma con tutte le creature, invitandoci a una responsabilità concreta e quotidiana di custodia e armonia nel mondo.
L’Eucaristia è comunione, relazione, fuga dal solipsismo. Ci libera da quella che i Padri della Chiesa chiamavano philautía, quell’amore egocentrico che sta alla base dell’inquinamento, dello sfruttamento, dell’ingiustizia. Diventa rito generativo di fraternità, dove l’uomo scopre che non è creato per dominare, ma per custodire, servire, condividere.
Quando spezziamo il pane, partecipiamo alla sorte degli altri uomini e delle altre donne: il sangue del vino diventa impegno di giustizia, la tavola diventa segno di equità. Il pane quotidiano e soprasostanziale non è solo nutrimento dei corpi, ma nutrimento della socialità, alimenta la cultura del dono, forma menti e cuori. Da questo vangelo eucaristico nascono azioni concrete di tutela ambientale, economia cooperativa, condivisione dei beni, lotta alle disuguaglianze.
Tra vocazione cosmica e missione civile
La Missa pro custodia creationis, perciò, è l’espressione liturgica più alta della nuova ecologia integrale: mette in risonanza spiritualità, teologia, impegno, lavoro, politica, vocazione umana. Ecco perché va difesa, celebrata e vissuta con intensità:
- Perché risveglia la coscienza sacramentale del nostro ruolo di custodi.
- Perché rinnova il senso del lavoro, non come fatica sterile, ma come luogo teurgico e creativo.
- Perché rilancia la lotta contro il male, non con dichiarazioni ideologiche, ma con un modo di essere dentro il mondo.
- Perché promuove la comunione universale, tra uomini, piante, animali, terra, cielo.
In definitiva, questa Messa è un progetto di salvezza, un canto cosmico che unisce la terra al cielo. È una chiamata urgente: che ogni cuore ritrovi la bellezza dell’Eucaristia, che ogni mano imiti la creatività divina, che ogni comunità viva come sinfonia della creazione, per i secoli dei secoli.